L'influenza dei grandi fotografi internazionali sulla fotografia di matrimonio

A cura di: Edoardo Agresti

Come ho scritto in precedenza, il fotografo in generale, ma a maggior ragione il fotografo di matrimonio (vista la sua fama di “improvvisatore” e di “professionista di scarso livello qualitativo”), dovrebbe crescere e maturare grazie anche allo studio e al confronto con importanti fotografi riconosciuti a livello internazionale.
Credo che per migliorarsi, sia importante conoscere il lavoro di colleghi che in qualche modo hanno fatto o stanno facendo la storia della fotografia. Non per copiare. La fotografia, d’altronde, è un qualcosa che nasce e si evolve dentro di noi. Fotografare vuol dire mettersi a nudo nelle immagini che riflettono le proprie emozioni, la propria storia, il proprio stato d’animo.

Se facciamo questo lavoro con il cuore, mettiamo una parte di noi in ogni scatto e sarà sempre quella più intima e personale. Quindi, se ci limitiamo a copiare, non facciamo altro che venire meno al significato profondo che la fotografia esprime attraverso ogni singola immagine.
Ciò non si traduce nell’impossibilità di ispirarsi a qualche fotografo. Tutt’altro: è proprio dallo studio degli scatti più famosi che nascono dentro di noi nuovi stimoli, domande, riflessioni che conducono alla scoperta di qualcosa di personale.

Tutti noi fotografi ci siamo ispirati a qualcuno dei grandi del presente o del passato; abbiamo – o almeno avremmo dovuto farlo – studiato le foto di coloro verso i quali ci sentiamo più vicini e che meglio di altri si avvicinano a quello che cerchiamo di esprimere con i nostri scatti. Magari cerchiamo di imitarli per apprenderne la tecnica. Non ho mai nascosto i miei studi sulla luce di Steve McCurry o sul mosso e cupo bianco e nero di Paolo Pellegrin(5). Ho letto e mi sono ispirato a molte foto di Erwittgli amanti su tutte – che ho poi riproposto anche nel matrimonio (quanti di noi l’hanno fatto forse inconsapevolmente), così come al suo punto di vista dal basso utilizzato per fotografare i cani(6).



N
aturalmente questi studi dovrebbero servire a crescere e a raggiungere un modo espressivo che sarà una sintesi delle diversi fonti, un qualcosa di solo tuo, che nasce e matura dentro di te. Magari si coglieranno sempre le influenze dei tuoi mentori, ma se vorrai distinguerti da loro e in qualche modo essere te stesso, nei tuoi scatti si dovrà riconoscere la tua personalità, si dovrà percepire uno stile proprio con il quale trasmettere le tue emozioni e fermare quelle degli altri.
È un punto su cui mi soffermo sempre sia nei miei workshop di matrimonio, sia durante i miei Nikon School Travel. Guardate le mie foto, i miei scatti, i miei tagli, magari esercitatevi riproponendo la mia stessa inquadratura, ma ricordatevi che quella foto è mia. E non lo dico per una questione di “possesso esclusivo”. Quella foto è mia perché mi rappresenta, perché è la sintesi dei miei studi, del mio passato, del mio presente, dei miei sentimenti, del mio stato d’animo, del mio essere unico come lo è ognuno di noi, dell’essere Edoardo Agresti.
Don McCullin diceva, a proposito di sue foto fatte nel momento di un terribile massacro: “Non è colpa mia se quel giorno c’era la luce di Goya”. Il problema è che dovunque lui andasse – come dice Scianna in una sua recente intervista – c’era questa luce di Goya!
I suoi occhi la trovavano. In questo sta la personalità, il cosiddetto stile di un fotografo.

NOTE:
5 • consiglio la “lettura” di Dies Irae di Paolo Pellegrin edito da Contrasto
6 • consiglio la “lettura” di Vita da cani di Elliott Erwitt edito da Phaidon

Metodi di pagamento: