Inviati - Il mondo in un villaggio

Fausto Giaccone, Macondo

Il mondo letterario di Gabriel García Márquez rivelato dal fotografo italiano Fausto Giaccone, in un libro pubblicato da Postcart, Macondo The World of Gabriel García Márquez (128 pp., 28x28 cm, euro 44,90, 74 foto in tricromia). 
Come scrive Gerald Martin, il più importante biografo di Márquez: “Ho passato quasi vent’anni a fare ricerche sulla vita e le opere di Gabriel García Márquez, uno dei più grandi autori della letteratura mondiale. Ricerche non solo nelle biblioteche e negli archivi, ma anche lungo le strade, i fiumi e le coste della Colombia, prendendo appunti ovunque mi trovassi. Negli stessi anni, in modo del tutto indipendente, un altro europeo, Fausto Giaccone, lavorava a creare un equivalente visivo di queste esperienze, anche lui lungo le strade, i fiumi e le coste colombiane, scattando fotografie dovunque andasse». Qui, di seguito, Giaccone presenta il suo lavoro.


MACONDO - The world of Gabriel García Márquez
128 pp., 28x28 cm, euro 44,90, 74 foto in tricromia - Postcart, 2013

«Ho letto Cent’anni di solitudine mentre facevo un ben poco guerresco servizio militare spostando carte da una scrivania all’altra in un ufficio a Roma. Per sfuggire alla noia di quei giorni leggevo di tutto, a ritmo frenetico. Eppure furono quelle pagine, quelle e non altre, che, svelandomi il mistero e il fascino di mondi sconosciuti, diventarono il salvagente che mi permise di restare a galla durante uno dei periodi più scoraggianti e problematici della mia esistenza. Ricordo che pensavo: “Questo libro mi sta salvando la vita”. Era il 1971, e a malapena sapevo quale fosse la collocazione della Colombia sulla carta geografica.

Fu solo 16 anni dopo, nel dicembre 1987, che vi misi piede per la prima volta, inviato dal settimanale Epoca per una serie di reportage. Poi, nel corso del tempo, sempre per testate diverse, sono tornato in Colombia numerose volte per servizi fotografici. In ognuno di questi lunghi viaggi il mio compagno è stato un romanzo o un libro di racconti di García Márquez: uno stimolo alla scoperta o una consolazione nei momenti di solitudine.


© Fausto Giaccone. Colombia / Magdalena / Aracataca (la Macondo di Cent'anni di solitudine). Interno della Casa Museo. Questa era la casa dei nonni con cui Gabriel visse i primi anni, Tranquilina Iguarán e Nicolás Marquez Mejia, colonnello liberale della Guerra dei Mille Giorni e notabile del paese (raffigurato da GG Marquez nel personaggio del colonnello Aureliano Buendia). Il ritratto è quello della mamma dello scrittore, Luisa Santiaga Márquez Iguarán. «Arrivò a mezzogiorno in punto. Si fece strada con il suo andare lieve fra i tavoli carichi di libri in mostra, mi si piantò davanti, guardandomi negli occhi con il sorriso malizioso dei suoi giorni migliori, e prima che io potessi reagire, mi disse: Sono tua madre.»

Nel 2006, durante uno di questi soggiorni di lavoro, ho intuito improvvisamente che era ormai inevitabile che il mio sguardo su questo Paese uscisse dagli schemi preordinati del servizio fotografico su commissione e seguisse un proprio percorso addentrandosi nel mondo del grande scrittore, nei luoghi della sua vita e in quelli dei suoi romanzi; luoghi che, a mio avviso, si specchiano gli uni negli altri. Era arrivato il momento di raccontare per immagini il mio Caribe colombiano, di elaborare tutti gli appunti, gli stimoli, le riflessioni che la lettura dell’opera di García Márquez aveva suscitato e fonderli con quelli registrati nei tanti viaggi precedenti in Colombia. Sapevo bene ciò che volevo tentare: ritrarre quel microcosmo umile e minuto che mi circondava e nel quale tuttavia riconoscevo senza ombra di dubbio la grandiosa allegoria della storia universale che tanto mi aveva affascinato in Cent’anni di solitudine.


© Fausto Giaccone. Colombia / Magdalena / Aracataca (la Macondo di Cent'anni di solitudine di Gabriel Garcia Márquez). Una domenica pomeriggio nel patio di un'umile abitazione del villaggio. Una donna taglia i capelli al marito che tiene la figlia sulle ginocchia. «L'unico angolo di serenità fu creato dai pacifici negri delle Antille che costruirono una strada marginale, con case di legno su palafitte, e verso sera si sedevano sulla veranda a cantare inni malinconici nel loro farraginoso farfuglio.» Da Cent'anni di solitudine

Non ho mai parlato con Gabo, come il geniale scrittore è familiarmente chiamato nel suo Paese, non ho mai insistito per incontrarlo personalmente. Nell’atto di mettermi a narrare il suo mondo, ho preferito impregnarmi delle sue storie, leggere e rileggere le sue opere nell’originale spagnolo, e lasciare che la musicalità del linguaggio guidasse i miei passi sulla scia delle fantasie e delle nostalgie evocate dai suoi racconti. Il mio contatto più diretto con lui è stato Jaime García Márquez, il fratello numero otto, come lui stesso si autodefinisce, uno dei dirigenti della Fundación Nuevo Periodismo Iberoamericano di Cartagena de Indias, fondata da Gabo. Da Jaime sono venuto a conoscenza di diversi episodi di vita familiare, da lui sono andato e tornato diverse volte, tra una spedizione e l’altra, per verificare particolari, confrontare ipotesi, sempre curioso com’ero di mettere a fuoco quei piccoli dettagli che potessero essere fonte d’ispirazione per il mio lavoro. Mi ha sempre accolto con il sorriso prima di lanciarsi in generose affabulazioni.


Fausto Giaccone. Sud America / Colombia / Magdalena / Davanti la stazione ferroviaria di Cienaga, un paesino vicino Santa Marta, fu compiuta una terribile strage nel dicembre del 1928 ad opera dell'esercito colombiano su ordine della compagnia nordamericana United Fruit. Si sparò contro i lavoratori che avevano minacciato uno sciopero. Nella foto il monumento al machetero (il raccoglitore di banane) nel luogo della strage. Opera dello scultore colombiano Rodrigo Insabbi Betancourt. «Guarda» mi disse «È stato lì che è  finito il mondo.» Io seguii la direzione del suo indice e vidi la stazione: un edificio di legno scrostato, con tetti di zinco a due spioventi e balconi coperti, e davanti una piazzetta arida che non poteva contenere più di duecento persone. Era stato lì, come mi precisò mia madre quel giorno, che nel 1928 l’esercito aveva ucciso un numero mai definito di braccianti delle piantagioni di banani.»
Da Vivere per raccontarla

Dal 2006 ho compiuto tre viaggi in Colombia seguendo questo progetto, sempre col bagaglio ridotto al minimo, usando i mezzi di locomozione locali – autobus, lance a motore, moto-taxi – e dormendo in locande economiche. Anche per l’attrezzatura fotografica ho scelto di lavorare con un equipaggiamento essenziale, quasi sempre una macchina con ottica normale, rinunciando volutamente alla spettacolarizzazione tipica dell’estetica del fotogiornalismo.Nel 2010, durante l’ultimo di questi viaggi, ho ripreso in mano Cent’anni di solitudine. È difficile descrivere le sensazioni provate rileggendolo dopo 39 anni, trovandomi negli scenari stessi in cui il romanzo si dipana. Forse perché ormai conoscevo bene il Paese e la sua gente (o forse perché avevo quaranta anni di più…), l’effetto di sorpresa e di mistero della prima volta non si è ripetuto; eppure, forse proprio per gli stessi motivi, molto più di allora mi ha colpito il linguaggio. García Márquez – nato in un villaggio polveroso di poche anime vicino alla costa caraibica, con alle spalle nient’altro che la tradizione orale del matriarcato degli indios Wayúu della Guajira, trasmessagli dalla nonna materna Tranquilina Iguarán – compie il prodigio di elaborare una lingua universale che trascende la realtà e nel contempo vi rimane assolutamente fedele.


© Fausto Giaccone. Sucre, dipartimneto di Sucre. La banda del paese si allena in vista della processione del giorno dopo. Il tema della musica popolare è spesso presente negli scritti di Gabriel García Márquez.

Per García Márquez la morte è sempre al centro della sua concezione tragica del mondo. E questo fa sì che non ci sia nessuno come lui che sappia descrivere le passioni e la morte come nostalgia della vita, come nel finale del Generale nel suo labirinto quando racconta il momento in cui Simón Bolívar si rende improvvisamente conto che non vedrà il nuovo giorno che sta per sorgere. Per questo, uno dei personaggi di una novella, a chi gli chiede se abbia paura della morte, risponde: “Paura no! Mi fa rabbia!”

Più volte, seduto a leggere al caffè o al ristorante, sono scoppiato a ridere per delle frasi imprevedibili e folgoranti o mi sono ritrovato con le lacrime agli occhi. Mi sono chiesto spesso dove fossero i limiti tra realtà e finzione letteraria, ma lo stesso Gabo, del resto, ha ripetutamente dichiarato che alcuni dei particolari più fantasiosi dei suoi racconti siano nati da elementi reali. Durante una riunione familiare a Cartagena, Jaime García Márquez mi ha presentato una delle sorelle, Margot, raccontando che da bambina mangiava la terra e la calce grattata dalle pareti, proprio come la Rebeca di Cent’anni di solitudine.


© Fausto Giaccone. Sucre, dipartimento di Sucre: Un pescatore nella Laguna de la Mojana. La famiglia García Márquez trascorse diversi anni nella cittadina di Sucre, circondata da un pelago di acque. Così la ricorda lo scrittore nella sua autobiografia Vivere per raccontarla: «La settimana dopo sbarcammo a Sucre come se vi fossimo nati. (...) Non solo la città ma anche la regione intera era un pelago di acque docili che mutavano colore per gli strati di fiori che le coprivano secondo i periodi, secondo il luogo e secondo il nostro stesso stato d’animo. Il suo splendore rammentava quello delle gore da sogno del sudest asiatico».

Sono stato più volte ad Aracataca, il villaggio nataledello scrittore, la mitica “Macondo” della famiglia Buendía, trascorrendovi l’ultima volta ben dieci giorniaccompagnato da Rafael Darío Jimenez, memoria storicadella regione. Con lui ho visitato l’antico compound della United Fruit, la compagnia nordamericana che con le sue piantagioni di banane causò la fortuna e la rovina di Aracataca/Macondo. Nel 2006 avevo fatto ancora in tempo a parlare con Pablo Cortina, quasi centenario, ultimo testimone della stragedei lavoratori della Compagnia bananiera compiuta dall’esercito colombiano durante lo sciopero del 1928, episodio centrale di Cent’anni di solitudine. Il Mercoledì delle Ceneri del 2009, nella cattedrale di Valledupar, mi sono trovato a fotografare un bambino che portava sulla fronte la croce di cenere e non ho potuto fare a meno di ripensare alle pagine di Cent’anni di solitudine in cui si narra dell’arrivo a Macondo dei diciassette figli illegittimi del colonnello Aureliano Buendía nel giorno del Mercoledì delle Ceneri: «Di ritorno a casa, quando il minore volle pulirsi la fronte, scoprì che il segno era indelebile, e che lo era pure quello dei suoi fratelli».


© Fausto Giaccone. Colombia / Magdalena / Aracataca (la Macondo di Cent'anni di solitudine di Gabriel Garcia Márquez). Durante un acquazzone tropicale, un ragazzo si fa la doccia sotto la grondaia.

Da Magangué, sul Río Magdalena, mi sono imbarcato su una lancia a motore per raggiungere Mompós, uno stupefacente villaggio coloniale, da sempre famoso per la sua oreficeria. Dimenticato sulle rive di un braccio minore del fiume, è miracolosamente sfuggito allo scempio del tempo e della modernizzazione. Qui, alla fine degli anni ’90, avevo incontrato Luis Guillermo Trespalacios, che ancora fabbricava pesciolini d’oro come il colonnello Aureliano Buendía. Sul Río Magdalena si conclude il romanzo L’amore ai tempi del colera e sullo stesso fiume naviga Simón Bolívar nel suo ultimo viaggio in Il generale nel suo labirinto. Sul Río Magdalena, a bordo di battelli a vapore che provenivano dai cantieri del Mississippi, Gabo studente viaggiò ben undici volte in un senso e nell’altro fra lacosta caraibica e “la città di Bogotá, lontana e fosca”. Spingendomi oltre, lungo la via d’acqua, ho avuto una rivelazione: la cittadina di Sucre. Dal balcone del mio albergo affacciato sulla piazza principale, Isidro Álvarez Jaraba, studioso di quei luoghi remoti e delle loro leggende, mi ha indicato tre edifici allineatidi fronte a noi: la casa dove Gabo ambienta uno dei racconti di I funerali della Mamá Grande, la casa dove la famiglia García Márquez visse dal 1939 ai primi anni ’50, e, in mezzo, la casa di fronte alla quale, per motivi d’onore, venne accoltellato nel 1951 Cayetano Gentile Chimento.


© Fausto Giaccone. Colombia / Valledupar, dipartimento del Cesar. Academia de Vallenato del Turco Gil: la musica del vallenato è una passione molto diffusa nella Costa colombiana e molto amata da Gabriel García Márquez che è stato uno degli ispiratori di un famoso festival dedicato a questa musica, che si tiene nella città di Valledupar ogni anno. Uno dei più grandi musicisti di questo genere, Rafael Escalona, scomparso nel 2009, è stato tra i più grandi amici del Nobel. Al muro, il ritratto del musicista cieco Leandro Diaz, un mito per gli appassionati di questa musica.

Il giovane, che diventa poi il Santiago Nasar di Cronaca di una morte annunciata, era di origine italiana e amico dei fratelli García Márquez. Ho visitato la sua tomba nel piccolo cimiterodel villaggio ed è stato proprio qui, a Sucre, che, in una sorta di mostraimprovvisatasotto un boschetto d’alberi polverosi davanti alla scuola del paese, ho esposto per la prima volta, di fronte a una classe attenta e incuriosita, una serie di fotografiedei miei viaggi precedenti. E anche qui a Sucre, nel boschetto polveroso e nella piazza, ho riconosciutoMacondo. Come ad Aracataca e nei villaggi lungo la tratta della ferrovia che una volta attraversava le piantagioni di banane della compagnia nordamericana: Tucurinca, Prado Sevilla, Orihueca, Guacamachito, Río Frío, Neerlandia, Guacamayal. Il suono dei loro nomi mi ha indicato la strada da seguire. Le tracce di quel passato mi hanno portato fin dentro le dimore più antiche, sopravvissute all’oblio di cento anni di abbandono e solitudine».


© Fausto Giaccone. Barranquilla. Una delle sale del museo cittadino chiamato Museo romantico,dedicato alla cultura dell'importante città commerciale sull'oceano Atlantico, è esposta la macchina da scrivere Underwood che negli anni '40 fu prestata a García Márquez per scrivere la sua prima novella, La tercera resignación, del 1947.

Chi è

Fausto Giaccone architetto di formazione, lavora come fotogiornalista dal 1968. Ha collaborato con le principali testate giornalistiche italiane e internazionali su temi sociali e culturali. Dal 1995 fa parte dell’Agenzia Anzenberger di Vienna. Ha pubblicato nel 1987 Una storia portoghese su un villaggio del sud del Portogallo seguito durante e dopo il periodo della rivoluzione,’68 Altrove nel 2008, a quarant’anni dagli eventi del 1968 e nel 2013 Volti di Cavallino Treporti, ritratto di un territorio della laguna veneta.

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