Quel ritratto volevo proprio
farlo, ma il mio soggetto non aveva alcuna voglia di collaborare
e soprattutto non voleva saperne di stare in posa. Un soggetto
difficile, da fotografare con la luce giusta per nascondere
quel naso troppo pronunciato.
Poi finalmente ecco l'attimo, l'espressione giusta: click.
Lui era un cucciolo d'elefante
incontrato allo zoo, io un cucciolo
d'uomo di tre anni o poco più. Da allora quella
piccola scatola magica non
ha mai smesso di accompagnarmi.
Inizialmente la consideravo un giocattolo molto divertente,
poi a rapirmi è stato il mistero
che si cela dietro al suo click, la possibilità di
catturare una frazione di realtà
e portarsela dietro per sempre.
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© Alessandro
Barteletti
The Watcher |
© Alessandro
Barteletti
Swang Song |
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All'epoca mio padre lavorava
anche come fotografo e spesso la sera si chiudeva in camera
oscura. Più volte ha tentato di portarmi lì
dentro ma non c'era niente da fare. Stare al buio e vedere
tutto rosso non mi piaceva proprio. In famiglia, perciò,
le fotocamere serie erano di
casa, le sue Nikon
mi affascinavano ma, in quegli anni, per me era assolutamente
vietato toccarle. Io potevo utilizzare solo una pocket 110
e un paio di compatte 126. Poi è arrivata la prima
reflex ad obiettivo fisso.
Nel '97 ho cominciato a collaborare con alcuni periodici
di aviazione. Insomma, per un motivo o per l'altro, con
la scusa di uno strumento più versatile, era finalmente
giunto il momento della mia prima
Nikon, una F90X, e del
glorioso 28-80 3,5-5,6. In
quel periodo, infatti, accanto all'hobby della fotografia,
si consolidava sempre di più la passione per il volo,
convincendomi che quello sarebbe stato il mio futuro.
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© Alessandro Barteletti
Carmen Consoli |
© Alessandro Barteletti
Elisabetta Rocchetti |
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Comincia l'università: ingegneria
aerospaziale. Dopo cinque anni di liceo classico,
studio qualcosa che non solo è interessante, è
la mia passione! Passano le prime settimane, comincio ad
adattarmi al nuovo ambiente, levo le batterie
dalla Nikon. Nel giro di pochi mesi mi ritrovo imprigionato
in un mondo freddo, fatto solo di numeri.
Passa un anno abbondante: una mattina trovo finalmente
il coraggio per ammettere che stavo commettendo un errore.
Ad un tratto tutte le certezze sono svanite: non sapevo
più niente di quello che avrei fatto e di quello
che sarei stato. Forse avrei provato a scrivere, in fondo
lo stavo facendo ormai da diversi anni collaborando con
varie riviste e dedicandomi alla stesura di un libro. Tornato
a casa, in maniera meccanica apro il cassetto, tiro fuori
quattro stilo e le metto nella F90.
Esco, scatto, comincio a riscoprire la sfera umana della
vita.
© Alessandro Barteletti
- Nick Cave |
Fare click diventa una necessità,
mi fa stare bene. Per la prima volta mi rendo conto che
fotografare può essere una scelta
di vita, un mestiere. Eh sì, avevo proprio
ragione, mi sarei messo a scrivere: la luce
sarebbe stata il mio inchiostro,
la macchina fotografica la
mia penna.
Da quel giorno, scatto dopo scatto, ho mostrato le mie foto,
ascoltato consigli e, soprattutto, scoperto che quella
stanza buia dove si vede tutto rosso, in fondo non
è così male.
Ho avuto la fortuna e il privilegio di incontrare, fotografare
e parlare con alcuni dei grandi maestri
del reportage, del ritratto, della moda, del glamour. Autori
come Sebastiao Salgado, Gianni
Berengo Gardin, Helmut Newton,
Giuseppe Pino, Guido Harari
e altri ancora. Anche grazie ai loro suggerimenti, al loro
carisma, al loro entusiasmo ancora così vivo dopo
decenni di mestiere, mi sono definitivamente convinto di
aver fatto la scelta giusta.
La fotografia è diventata una continua fonte di
stimoli, un motivo per avere curiosità, uno strumento
di crescita, di indagine e di conoscenza. Conoscenza
di persone, luoghi, situazioni, storie. Un percorso che
inevitabilmente mi ha portato verso il reportage
e il ritratto. Due generi apparentemente
distanti ma che, a mio avviso, possono essere fusi in un
unico modo di osservare e catturare
la realtà.
Mi piace pensare che attraverso una mia fotografia posso
far osservare agli altri ciò che io vedo.
© Alessandro Barteletti -
Roberto Ciufoli |
Non ho frequentato nessuna scuola. Il percorso da autodidatta
mi ha permesso di scoprire un po' per volta i miei maestri
in modo tutt'altro che accademico. Attraverso i loro lavori,
i loro libri, ho cercato di carpire ogni possibile aspetto
del loro modo di fare fotografia, di porsi davanti ad una
determinata situazione, alla gente, le scelte di ritrarre
ogni persona in un certo modo, fino ad aspetti meramente
tecnici come inquadrature e uso della luce. Tutti elementi
che, una volta assimilati nel modo giusto, selezionati e
filtrati dal proprio punto di vista, con il tempo e con
l'esperienza aiutano a formare lo stile.
Una sfida continua dove non bisogna mai dare nulla per
scontato. È troppo facile fermarsi dopo i primi buoni
risultati e cadere nel baratro di un esercizio
di stile. Proprio per questo, se dovessi citare un
riferimento, non avrei alcuna esitazione a scegliere Annie
Leibovitz con il suo approccio sempre diverso,
mai ripetitivo. Eppure le sue foto, apparentemente così
varie, sono subito riconoscibili grazie ad un filo conduttore,
una firma invisibile: l'idea.
Ho sempre privilegiato l'essenzialità del bianco
e nero. Senza alcuna distrazione, punta direttamente
al contenuto, al messaggio, al cuore dell'immagine. Sono
convinto che bisogna avere un occhio per il bianco e nero
e un occhio per il colore, bisogna pensare in un modo o
nell'altro. Fare la stessa foto in entrambi i modi
non ha senso. Con la sua semplicità e, talvolta,
drammaticità, ho sempre sentito il bianco e nero
più alla mia portata, più in linea con il
mio modo di osservare. Senza considerare le infinite possibilità
creative dello sviluppo e della stampa con le gioie
della baritata!
Nonostante tutto sto cercando di trovare un mio punto
di vista anche nel colore, soprattutto per motivi
commerciali. Attualmente lavoro sia in 35mm
che in medio formato. Al corredo
Nikon ho affiancato un'Hasselblad
e una Leica M6 a telemetro.
Sono tre sistemi diversi tra di loro, ognuno con i suoi
vantaggi e svantaggi, ma perfettamente complementari e in
grado di offrire un feeling perfetto a seconda delle circostanze.
Non ho mai sentito la necessità di una digitale.
Per il tipo di fotografia che attualmente mi interessa i
limiti sarebbero superiori ai vantaggi. Preferisco di gran
lunga le mie F ed F2, magari con un bel 24mm
- il mio occhio fotografico - robuste, affidabili, pesanti
e sempre pronte a regalare grandi soddisfazioni.
www.alessandrobarteletti.com
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© Alessandro Barteletti
Sebastiao Salgado |
© Alessandro Barteletti
Dalai Lama |
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Chi sono
Sono nato a Roma nel 1981, pochi mesi prima che esplodesse
la mia passione per la fotografia.
Durante gli anni del Liceo Classico ho cominciato a collaborare
con alcune riviste di aviazione, scrivendo articoli soprattutto
di carattere storico. La ricerca su un particolare prototipo
di caccia italiano, durata sedici mesi, è sfociata
nel 2002 nella pubblicazione del libro "Reggiane RE
2006, una storia vera", premiato al V Premio Letterario
Associazione Arma Aeronautica.
Dopo una non felice esperienza nell'ambito della facoltà
di Ingegneria Aerospaziale, mi sono iscritto alla facoltà
di Scienze e Tecnologie della Comunicazione e contemporaneamente
ho scoperto che la fotografia, oltre che un hobby, può
essere anche una scelta di vita.
Un mio reportage fotografico sul restauro di aerei d'epoca
è stato selezionato nel 2002 per la mostra finale
del concorso internazionale Fotoesordio, categoria "under
35".
Dal 2003 ho cominciato a collaborare con varie riviste ed
agenzie seguendo anche alcuni fotografi come assistente.