Emergency compie 10 anni.
In occasione del decennale, l'associazione ha organizzato
una serie di mostre e realizzato
un catalogo fotografico in
tiratura limitata. Oltre 200 fotografie, volti, paesaggi
e storie da quattro paesi (Afghanistan con foto di Marco
Cattaneo e Jasmina Trifoni, Iraq
con foto di Michele Cazzani, Cambogia con
foto di Pino Ninfa, Sierra Leone con foto
di GiBi Peluffo) dove Emergency è
da tempo presente con i suoi centri chirurgici e di riabilitazione
per portare soccorso alle vittime delle guerre e delle mine
antiuomo.
Il catalogo 10 anni di Emergency.
Fotografia della guerra e della speranza sarà
in distribuzione durante le conferenze del lunedì
sera in Stazione Centrale, nelle sedi di Milano e Roma e
in alcune librerie specializzate. Di seguito riportiamo
l'intoduzione al volume.
Sierra Leone:
Una venditrice di frutta si reca al mercato.
Un gruppo di bambini trova refrigerio in una pozza.
La raccolta dei datteri.
Sierra Leone:
I bimbi più piccoli vengono appesi alla bilancia.
Una madre con il suo bambino.
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Dieci anni di vita di Emergency.
Della vita di chi tra noi ha pensato
e voluto Emergency, di molte
migliaia di persone, che l'hanno conosciuta, accettata,
sostenuta. Dieci anni in un
album di fotografie nelle quali queste persone non compaiono.
Il primo piano è per chi dicendo Emergency
non dice come ha impiegato la sua vita e il suo tempo, ma
dice che la sua vita c'è invece di non esserci, che
il suo tempo continua anziché essere concluso. Sguardi
terrorizzati di chi, in un attimo, ha visto messo in questione,
sconvolto il futuro che aveva immaginato, aspettato, sognato.
Corpi irrimediabilmente modificati
da ferite, mutilazioni, inabilità. Identità
offese di persone costrette ad essere altro da come si conoscevano
e si pensavano, da come erano nate. Le immagini
non argomentano, s'impongono. La verità
fisica del dolore non è un pensiero ma un'evidenza
che non ammette repliche. E quando dalla sofferenza riesce
ad affacciarsi la consapevolezza,
la coscienza è stupore: com'è possibile che
qualcuno abbia voluto questa distruzione
del mio corpo, del mio futuro, di me? Come è possibile
che non la consideri una sventura, che la chiami vittoria?
Qualcuno che non mi ha mai conosciuto e mi ha già
dimenticato, o mi ricorderà come un successo, un
trofeo?
Kurdistan:
Kawa ha perso gli arti inferiori e il braccio destro
in seguito allo scoppio di una "Valmara 69".
Soran e Fellah prima della partita di calcio definiscono
la tattica di gioco.
Preparazione prima di scendere in campo. |
Immagini di pronto soccorso,
di sala operatoria, di corsia dicono della guerra
verità che nessun trattato militare o di diritto
nazionale o internazionale, nessuna legge
o risoluzione potranno mai
nascondere, negare, giustificare. Non un suo aspetto marginale,
ma la sua verità fondamentale,
definitiva. È nata da
questi nostri sguardi agli sguardi dei molti Ahmed o Sadiq,
di tante Kadiatu o Ya Than la nostra ripugnanza
fisica e istintiva per la guerra. Ci attribuiscono un pacifismo
astratto mentre pensiamo alla concretezza brutale di ferite
e mutilazioni; chiamano radicalismo
il ricordo dell'ansia con cui si controlla il respiro di
una bimba in rianimazione. Ma non sono stati solo cognizione
del dolore questi dieci anni. Abbiamo conosciuto
le risorse della vita, la volontà
ostinata di ricominciare, la speranza. Riprendere a camminare
è ben altro che un'immagine, per un amputato. Ma
non è solo protesi e fisioterapia: è una riappropriazione
di sé, la capacità di muoversi in un mondo
ancora più bello e più prezioso, per chi ha
temuto davvero di perderlo. I paesaggi
incredibili e incantati non sono soltanto i campi minati
di oggi, né solo un ricordo. Possono, devono ritornare
l'orizzonte della vita, il contesto della felicità.
Anche questo ci dicono la tenacia e la volontà di
futuro che abbiamo il privilegio di incontrare. Contrapposta
ma altrettanto reale dell'assurdità crudele della
guerra è l'evidenza serena della pace
possibile. Siamo in Iraq, in Cambogia, in Afghanistan, in
Sierra Leone. Siamo stati in Ruanda, in Algeria. Saremo
presto in altri paesi. A curare
ferite di guerra, e proprio per questo a inseguire
la pace. Che è un sogno, ma insieme una realtà
possibile, più ragionevole e umana del suo contrario.
Lo abbiamo imparato in dieci anni. Lo dice quest'album con
le foto di famiglia. Una famiglia
di cinque-sei miliardi di componenti,
nella quale vogliamo sentirci – tutti devono sentirsi
– rassicurati, a casa.
Afghanistan:
Inutili i tentativi di soccorrere un bambino colpito
da una scheggia
sulla strada che porta a Salang.
Uno dei taleban rinchiusi nella cella assegnata ai
mullah.
Afghanistan:
Madre e figlio "protetti" dal burqua.
Donna in attesa di ritirare i medicinali al dispensario
di Kapisa,
non lontano dalla linea di fronte tra taleban e mujaheddin.
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