Intervento

A cura di:

Fotografia 2.0, la fine del negativo
Rosa Pugliese

Titolo provocatorio, è vero. Ma, in fondo, fu da una provocazione simile che iniziai a pensare una tesi di laurea su quella che ormai si definisce la seconda generazione della fotografia.
Sono dell'idea che tutto ciò che provoca confronto non fa che arricchire la propria visione delle cose. Per questo motivo non mi sono mai schierata nè da una parte nè dall'altra della disputa analogici vs digitali, amo cogliere il bello che sta nella differenza.

Il digitale, nel bene e nel male, ci costringe in qualche a modo a parlare di fotografia e a decidere che cosa rappresenta per ciascuno di noi quest'arte che non si stanca mai di raccontare il mondo ai suoi abitanti. Il problema reale forse, almeno in questo momento, è che l'attenzione si stia spostando in maniera eccessiva e ossessiva dalla fotografia alla macchina fotografica. A chi spetta, insomma, il compito di scattare delle belle foto se la sola preoccupazione dei fotografi (o di chi si improvvisa tale) è cambiare macchina fotografica per un paio di pixel in più o uno schermo leggermente più grande? Se ci focalizzassimo invece sul risultato, probabilmente riusciremmo a trovare nel digitale più di qualche beneficio.

Nonostante quello che pensano i più nostalgici (leggi "coloro che scattano solo in bianco e nero e solo a pellicola") la poesia della fotografia non dovrebbe essere nei lunghi tempi di attesa dello sviluppo, nella difficoltà di inviare le immagini al giornale e nelle nottate passate in camera oscura. La poesia della fotografia dovrebbe risiedere nello sguardo curioso, un po' speciale di colui che preme il polpastrello su quel tastino nero dal suono delizioso. Nello sguardo, per dirla con le parole di Margaret Bourke-White, «di chi riesce ad andare sempre un po' più in là, dove gli altri tirerebbero dritto».

Se il digitale ha cambiato il fotografo, questo è certamente un altro discorso e non lo escluderei. Oggi, costi accessibili sia per quanto riguarda l'attrezzatura fotografica sia per quanto riguarda la possibilità di muoversi, ha permesso a chiunque di fare delle foto "belle", quantomeno dalla possibilità molto più alta di migliorarsi. Oggi il digitale ha permesso a chiunque di fermarsi e scattare, scattare più di una volta, cancellare, scattare ancora. E non c'è scuola migliore dei tentativi e degli errori, potendoseli permettere. Il cambiamento è culturale, più ampio di quello che sembra.


Rosa Pugliese - Trastevere (Roma)

Il digitale da solo non avrebbe fatto poi così tanto clamore se non si fosse avvinghiato ad un'altra parola molto di moda, Internet. La possibilità di unire all'immagine il suono, permette ai più creativi di generare linguaggi nuovi, non per questo meno belli, certamente non puramente fotografici, ma di forte impatto comunicativo. E così sono nate nuove professioni, di cui i giovani si stanno già impossessando. Se la camera oscura non c'è più, chi fa le veci della camera oscura? Chi sa usare bene il computer e i software di fotoritocco, naturalmente. Niente di più, niente di meno di quello che si faceva prima. Solo più a portata di mano e più economico (qualcuno direbbe anche più ecologico).

Così alla fine del percorso, oggi, mi guardo indietro e vedo strade che si ramificano, che si allontanano e qualche volta si intersecano, e vedo in fondo strade fatte dallo stesso terriccio: la vita. Ho avuto il piacere di ascoltare diverse voci appartenenti al panorama della fotografia, e per fortuna la sola conclusione che mette d'accordo tutti è che non importa quale sia lo strumento utilizzato, non importa quanti pixel servano per catturarla, la vita va oltre. Non è una questione di metri di pellicola o di memoria delle card, è la capacità di guardare. A questo proposito mi torna in mente una frase di Tiziano Terzani quando dice «ma che non ci vada nessuno, credendo di trovare quel che ci ho trovato io, perchè ognuno fa di ogni cosa - un posto, una persona, un avvenimento - quello che vuole, quello di cui, in quel momento, ha bisogno. E niente, niente come la fantasia aiuta a vedere la verità».


Rosa Pugliese - Madre e figlio, Pietrapaola (Cosenza)

Lo strumento è solo una scelta personale, come chi decide di dipingere con colori ad olio perchè solo attraverso quel tipo di tecnica riesce ad esprimere il suo punto di vista sulla realtà. Certo in fotografia sono pochi a potersi permettere ancora il lusso di lavorare in pellicola. Le logiche del mercato seguono le curve di photoshop. Tano D'Amico sostiene d'aver assistito a diverse invenzioni rivoluzionarie nella sua vita (e se lo dice lui, ci credo) ogni volta viste come una minaccia, ogni volta nascevano come anarchiche rispetto al sistema, per poi integrarsi dentro allo stesso. Questa seconda generazione della fotografia (e del giornalismo) è figlia del web, si sviluppa nei social network come Flickr, passa attraverso le photogallery non troppo dignitose dei giornali on line, fa discutere quando si tira troppo la "curva" e, spavalda, diventa multimediale. Temerla non fa bene alla creatività, non fa bene alla curiosità e al bisogno di esprimersi che oggi emerge in forme, tante, sempre diverse. La verità, tutta la verità, nient'altro che la verità è un giuramento che la fotografia non ha mai potuto fare. Oggi come ieri, in bianco e nero come a colori, in analogico come in digitale.


Rosa Pugliese - Sguardo

Chi è
Rosa Pugliese, 25 anni, Calabrese. Si occupa di comunicazione per un ente pubblico ed è responsabile della redazione romana di FotoUp.net. Come tutti i neolaureati ha con la vita quotidiana un contratto a tempo determinato, nessuna certezza e tante passioni. La fotografia è una di queste. Non ha soldi per viaggiare nel mondo reale, ma in quello virtuale non si ferma mai. Cresciuta nell'era del digitale ha appena comprato una Nikon FM2.


Rosa Pugliese
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