Intervista 1

A cura di:

Survival, Francesca Casella
 

Il governo non ce la dà a bere
Particolare della campagna pubblicitaria mondiale di Survival in versione italiana.

Malgrado secoli di massacri e persecuzioni, i popoli indigeni sono sopravvissuti in tutti i continenti. Più di cinquemila popoli diversi che hanno saputo sviluppare tecniche efficaci per sopravvivere anche nelle regioni più remote e inospitali della Terra. Abitano nelle foreste tropicali, nelle praterie, nei deserti così come tra i ghiacci perenni. Alcuni sono indistinguibili dalle società che li circondano. Molti altri, invece, conservano la loro distinta identità pur vivendo da secoli a fianco dei colonizzatori. Alcuni, infine, non hanno mai avuto alcun contatto con il mondo esterno, si tratta certamente dei popoli più vulnerabili del pianeta.

Se in molte nazioni i popoli indigeni sono piccole minoranze, in altre rappresentano la maggioranza della popolazione. Ad esempio, non considerando gli indonesiani che hanno colonizzato la parte occidentale dell'isola, la Nuova Guinea è abitata interamente da popoli tribali. In Groenlandia sono il 90%, in Bolivia il 66%. I Quechua costituiscono quasi la metà della popolazione del Perù e, insieme ai Quechua boliviani, il popolo indiano più numeroso d'America, tuttavia, nel quadro politico di questi paesi non hanno voce in capitolo.

Survival, l'organizzazione internazionale che si batte per la tutela dei diritti dei popoli indigeni e tribali, ha compiuto 40 anni. Fondata nel 1969 a Londra con l'obiettivo di aiutare i popoli indigeni a difendere le loro vite, a proteggere le loro terre e i loro fondamentali diritti umani contro ogni forma di sterminio, persecuzione e razzismo, Survival segue ogni anno almeno 80 casi di violazione dei diritti dei popoli indigeni in oltre 40 paesi diversi. A Francesca Casella, direttrice di Survival Italia, abbiamo chiesto di darci il quadro di una condizione difficile.

Yanomami, Brasile © Fiona Watson / Survival
Yanomami, Brasile © Fiona Watson / Survival

Per chi si batte Survival, ormai da quattro decenni?
Per i popoli più indifesi e aggrediti del nostro pianeta. Intere popolazioni, milioni di esseri umani, costantemente a rischio genocidio. Ciò avviene non nell'epoca preistorica, non ai tempi delle crociate, non durante l'ultima guerra mondiale. Tutto ciò avviene oggi. Sono uomini e donne, vecchi e bambini nostri contemporanei che ogni giorno subiscono l'aggressione di virus e batteri per i quali non hanno difese. Ogni giorno vedono le loro terre aggredite, le loro case violate, le loro ancestrali vite sconvolte dall'arrogante e cieco incedere del cosiddetto mondo civilizzato. Un mondo che, se fosse tale, avrebbe l'accortezza e l'intelligenza di rendersi conto delle conseguenze delle proprie azioni. Un mondo che dovrebbe avere imparato ad avere rispetto per le diversità, che dovrebbe proteggere e custodire chi è in così manifesta situazione di pericolo e di debolezza e chi rivendica solo di poter continuare a vivere come e dove sempre ha vissuto. Un mondo che è invece così irrimediabilmente spinto nel vortice della conquista delle terre e dello sfruttamento di ogni risorsa, che si dimostra ogni giorno sordo ai lamenti di chi ne viene calpestato. Intere popolazioni subiscono così continue e reiterate aggressioni, che mettono in crisi le loro esistenze e spesso in pericolo le loro stesse vite. Tutto ciò nel silenzio generale, nell'ignoranza di ogni principio umanitario ed etico, nella noncuranza di leggi e accordi internazionali.

Ma come agisce di fatto Survival per sostenere i diritti delle popolazioni indigene?
Questi popoli non hanno bisogno di coperte, di cibo o di case. Questi popoli hanno bisogno di una voce, hanno bisogno di avvocati, hanno bisogno di leggi e accordi internazionali, hanno bisogno di rispetto per le loro identità.

Penan, Sarawak © Robin Hanbury-Teninson / Survival
Penan, Sarawak © Robin Hanbury-Teninson / Survival

Chi e quanti sono i popoli indigeni?
I popoli indigeni del mondo contano almeno 370 milioni di persone. Rappresentano il 6% della popolazione del nostro pianeta e sono distribuiti in più di 70 nazioni diverse. Tra loro, circa 150 milioni sono classificati in senso stretto come "popoli tribali". Descriverli senza correre il rischio di generalizzare è difficile perché comprendono una grande varietà di tribù e conducono stili di vita diversissimi in un'incredibile diversità di ambienti. Anche se non esiste una definizione unanimemente accettata da tutti, con i termini "indigeno" o "tribale" ci si riferisce generalmente a popoli organizzati in comunità tribali da generazioni. Spesso si tratta degli abitanti originari dei paesi in cui vivono, o di coloro che vi abitano da centinaia se non addirittura da migliaia di anni. Normalmente, sono popoli in larga misura autosufficienti, e vivono delle risorse del loro territorio: di caccia, pesca e raccolta, oppure di agricoltura e allevamento su piccola scala. Le loro economie si fondano quasi sempre su una conoscenza molto intima e profonda delle loro terre, con cui mantengono un legame inscindibile.

Cosa rappresenta per loro la terra?
Tutto, nel senso più letterale del termine. È l'unico luogo in cui possono apprendere e tramandare il loro sapere millenario; in cui possono procurarsi il cibo e tutto ciò che è necessario alla loro sussistenza; in cui possono praticare la loro medicina e celebrare la loro identità. Spesso sono minoranze. Le loro comunità si distinguono nettamente da quelle non-tribali: parlano un'altra lingua, hanno usi e cultura propri ereditati dagli avi, e si considerano essi stessi diversi e distinti dalle società dominanti che li circondano. I popoli tribali non coincidono necessariamente con gli aborigeni o con gli indigeni: mentre "indigeni" sono tutti gli abitanti nativi di una certa regione, infatti, "tribali" sono solo i popoli che vivono in comunità tribali, e che dipendono dalla terra in cui abitano per ciò che riguarda ogni aspetto della loro vita. Tutti gli aborigeni australiani sono "indigeni", ma soltanto alcuni vivono ancora in società tribali e considerano se stessi come tali. Plasmati, nel corso dei secoli, dalla ricchezza e dall'asprezza dei loro diversi ambienti, gli indigeni che abitano oggi il nostro pianeta costituiscono un caleidoscopio di umanità e culture sorprendenti, irrinunciabili per ognuno di noi. 

Tienanmen peruviana © Thomas Quirnen
Tienanmen peruviana
© Thomas Quirnen / www.catapa.be

Boscimani, Botsvana © Survival
Boscimani, Botsvana © Survival

Oggi come si può definire la loro condizione?
Come la terra ha dato loro la vita, ora la sua distruzione li uccide. Dai ghiacci artici fino ai deserti africani, l'unica esperienza che tragicamente li accomuna è l'invasione dei loro territori, iniziata secoli fa in un bagno di sangue e condotta ancora oggi con la stessa determinazione e la stessa feroce brutalità. Sfrattati dai coloni e dallo sfruttamento forestale e minerario, inondati dall'acqua delle dighe e sterminati da malattie verso cui non hanno difese immunitarie, nel nome del progresso, i popoli indigeni contemporanei continuano a essere privati dei loro mezzi di sussistenza e della loro libertà; ad essere violentati, uccisi o costretti a omologarsi a società aliene. A differenza del passato, oggi la legge internazionale riconosce i loro diritti sulle terre ancestrali, ma raramente vengono rispettati. Dietro le persecuzioni ci sono solo l'avidità e un razzismo che si ostina a dipingere i popoli tribali come arretrati o primitivi; come reperti archeologici destinati inevitabilmente all'assimilazione culturale ed economica oppure all'estinzione.

C'è un modo, il più corretto possibile, di considerarli?
Come nostri contemporanei, in ogni continente i popoli tribali sono stanno lottando per mantenere la propria identità e riprendere il controllo delle loro vite e delle loro terre. Frutto di un continuo sviluppo e perfezionamento, i loro stili di vita non sono inferiori. Sono solo diversi e, nel corso del tempo, hanno saputo dare risposte efficaci e dinamiche alle sfide di un mondo in perenne trasformazione. Costretti dalla miopia e dalla forza soverchiante del nostro modello di sviluppo a confrontarsi quotidianamente con la minaccia di estinzione fisica e culturale, tutto ciò che i popoli indigeni chiedono è solo terra a sufficienza per vivere, e la libertà di decidere autonomamente del loro futuro.

Poi vi sono i popoli cosiddetti "incontattati". Le immagini dall'alto della tribù amazzonica, fotografata in Brasile, appena al di là del confine peruviano, hanno fatto il giro del mondo dando la prova evidente che esistono ancora gruppi non conosciuti.
Non si sa esattamente quanti siano i popoli incontattati, ma sappiamo con certezza che esistono: lo provano alcuni incontri fortuiti e le tracce che lasciano dietro di sé: frecce, utensili e case abbandonate in fretta e furia. Anche se il numero dei membri di ogni singolo popolo varia moltissimo, da un solo sopravvissuto fino a cento o duecento persone, tutto lascia pensare che siano un centinaio.

Dove sono stati individuati?
In Brasile, per esempio, ne sono stati individuati almeno 40, 15 in Perù. In Asia li troviamo nelle Isole Andamane e in Nuova Guinea. Il resto vive tra Bolivia, Colombia, Ecuador e Paraguay.

Cosa si sa dei popoli incontattati?
Molto poco, se non che il loro isolamento è sempre frutto di una scelta obbligata, compiuta per sopravvivere alle invasioni. Molti hanno sofferto la perdita dei loro cari per mano dell'uomo bianco, nel corso di decenni di massacri silenziosi o per effetto del dilagare di malattie introdotte dall'esterno come influenza, morbillo e varicella. Spesso sono essi stessi dei sopravvissuti, o discendono da sopravvissuti ad atrocità commesse in epoche precedenti; violenze raccapriccianti che hanno lasciato segni indelebili nella loro memoria collettiva inducendoli a rifuggire da ogni contatto con il mondo esterno. Talvolta hanno, o hanno avuto, sporadici rapporti con i popoli indigeni più vicini ma, qualunque sia la loro storia personale, nella maggior parte dei casi, la loro fuga continua ancora oggi. Sono circondati su tutti i fronti.

Incontattati in Brasile © Gleison Miranda / FUNAI
Incontattati in Brasile © Gleison Miranda / FUNAI

Da chi?
Le compagnie petrolifere e di disboscamento invadono i loro territori in cerca di risorse naturali; i coloni usurpano le loro terre e le convertono in allevamenti di bestiame e aziende agricole. Le strade aprono le porte a bracconieri, missionari fondamentalisti, epidemie e turisti. Le foreste da cui dipendono per il loro sostentamento vengono tagliate a ritmi vertiginosi; la selvaggina è sempre più scarsa. Anche se cercano di sopravvivere all'avanzata della "civilizzazione" rifugiandosi in luoghi sempre più remoti, mantenersi in salvo sta diventando ogni giorno più difficile.

Cosa si può fare?
A dispetto di quanti pensano che siano reliquie del passato, reperti archeologici destinati inevitabilmente all'assimilazione culturale ed economica, oppure all'estinzione, la storia dimostra che laddove le loro terre vengono riconosciute legalmente e protette in modo adeguato, il loro futuro è assicurato. Decidere se e quando interagire con gli altri è una decisione che spetta solo a loro. Nel frattempo, a noi resta un solo, difficile compito: quello di fare in modo che il loro inequivocabile ammonimento al mondo estero – "State alla larga!" – venga rispettato.

Il lavoro di Survival è iniziato nel 1969 in un seminterrato di Londra, dove un pugno di volontari condivideva lo spazio con altre piccole associazioni.
All'epoca, i problemi maggiori dei popoli indigeni erano gli stermini di massa, la schiavitù, le epidemie e la disperazione di vedere improvvisamente cancellato il proprio universo nella quasi totale indifferenza del resto del mondo. Da allora, è stata fatta tantissima strada.

Yali, Papua © Jeanne Hertert / Survival
Yali, Papua © Jeanne Hertert / Survival

Che bilancio si può fare di questi 40 anni?
Oggi, ovunque abitino, molti popoli tribali continuano a essere privati dei mezzi di sussistenza e costretti a cambiare vita; le loro terre restano invase da coloni, minatori, tagliatori di legna; i loro villaggi inondati da dighe e spazzati via da allevamenti di bestiame o parchi turistici. Tuttavia, l'atteggiamento dell'opinione pubblica nei loro confronti è radicalmente cambiato. Laddove quarant'anni fa l'assimilazione e l'estinzione dei popoli indigeni venivano date per scontate ed erano giudicate solo come un doloroso ma inevitabile prezzo da pagare nel nome del progresso, oggi, in molti hanno cominciato a riconoscere l'inalienabilità dei loro diritti, finalmente protetti anche dalle leggi internazionali e dalle costituzioni di molti paesi, soprattutto in Sud America. E il movimento indigeno mondiale è più forte che mai. Certo gli ostacoli da superare restano tantissimi: l'avidità, la miopia, il razzismo e le dittature. Ma le persone decise a lottare per aiutare i popoli tribali a mantenere il loro posto nel mondo e a determinare autonomamente il loro futuro, sono sempre più numerose. È probabilmente questo il successo più importante raccolto sinora da Survival o, meglio, dai popoli indigeni stessi con il sostegno di migliaia di persone da ogni parte del pianeta.

Come fate a mantenere la vostra indipendenza?
Non accettando fondi da nessun governo. A finanziare le nostre attività sono solo le donazioni dei sostenitori e i proventi delle attività di raccolta fondi. Spero che in molti vogliano aiutarci a continuare il nostro lavoro finché ai popoli indigeni non sarà stato riconosciuto il loro legittimo posto nel mondo. Le loro sono società ricche, contemporanee e vibranti, chiedono solo di poter continuare a vivere, libere da persecuzioni e secondo sili di vita e di sviluppo liberamente scelti.

www.survival.it

Enawene Nawe, Brasile © Fiona Watson / Survival
Enawene Nawe, Brasile © Fiona Watson / Survival

 

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