Intervista a Claudia Rocchini

A cura di: Dino del Vescovo

Nasce anche dalla collaborazione fra Nikon e il Parco Faunistico Oasi di Sant'Alessio di Pavia, l'idea di intervistare la giornalista e fotografa Claudia Rocchini. Fotografa “di natura e in natura”, come la stessa Claudia preferisce definirsi, offre nelle risposte che seguono un interessante punto di vista sulla fotografia naturalistica in genere, e più nello specifico sulle riprese ottenute in aree semi-controllate dall'uomo. Spiega inoltre come possa instaurarsi empatia fra il fotografo e l'individuo o la particolare specie di interesse. Appassionata e sensibile alle tematiche ecologiche e ambientali, la fotogiornalista si occupa tra l'altro di affiancare i fotografi nella promozione e sviluppo delle loro attività professionali, vantando ottime conoscenze di marketing tradizionale e dei metodi legati ai più moderni mezzi di comunicazione e diffusione, su tutti i social network.

Nikonista sin dalla sua prima reflex digitale, una Nikon D40x, apprezza della casa giapponese l'aspetto ergonomico e della facilità di accesso ai comandi. Collabora con la rivista FOTOGRAFIA REFLEX, per la quale cura la rubrica “Io Fotografa”. Attualmente lavora e scatta con una Nikon D700 a cui seguirà con ogni probabilità la top di gamma D4.

Buongiorno Claudia, come definiresti la fotografia naturalistica?
Personalmente faccio riferimento a quel genere di fotografia che si occupa di paesaggio, di flora e di fauna, di dettaglio, di tutto ciò che attiene alla natura. Il fotografo naturalista in senso stretto, dovrebbe limitarsi a una mera documentazione della scena che si svolge sotto i suoi occhi, senza introdurre alcun artifizio correttivo, ma offrendo semplicemente, della stessa, una interpretazione fotografica. Dovrebbe inoltre avere la conoscenza scientifica necessaria e sufficiente per capire cosa sta riprendendo. In questi concetti si riassume secondo me la fotografia naturalistica.
Se si affronta l'argomento in modo più ampio, prendendo in considerazione pareri e punti di vista espressi sui forum e nelle community a tema, ci si imbatte però in una domanda discriminante: il fotografo naturalista opera solo in natura libera o anche in ambienti semi-controllati dall'uomo? I cosiddetti “puristi” propendono per la prima opzione ma non di rado cadono in contraddizione.

In che modo?
Ricorrendo per esempio a strumenti di richiamo, per quanto riguarda le specie ornitologiche, invadendo nidi e interferendo, più in generale, con lo svolgersi della vita animale in natura. Per alcuni di loro, poco importa se l'eccessiva vicinanza a un nido causa l'abbandono dei pulcini da parte dei genitori, con le inevitabili conseguenze che questo atteggiamento poco responsabile comporta: ciò che conta è operare in natura libera!

Quindi si intravede da parte di alcuni fotografi poca attenzione?
Purtroppo sì. E si fa anche di più pur di portare a casa lo scatto che si ha in mente. So di fotografi che conservano le farfalle in freezer per tirarle fuori al mattino, posizionarle nel modo fotograficamente più conveniente e attendere che si formino le tanto suggestive goccioline di rugiada sulle ali. Può sembrare strano ma accade anche questo.

Perché “fotografia in natura e di natura”?
Perché personalmente fotografo indifferentemente in natura libera e in ambienti semi-controllati dall'uomo. È una definizione che ho “rubato” al collega-amico Fabio Liverani per evitare che nascano polemiche quando mi viene chiesto se sono, o meno, una fotografa naturalista. Preferisco quindi considerarmi un'appassionata di fotografia attinente la fauna e la flora, e la natura in senso letterale. Non mi limito a immortalare il soggetto con un approccio “predatorio”, usando cioè la reflex come fosse “un fucile o un cannone”, ma mi informo sulle specificità di ogni specie con il solo fine di ottenere scatti più suggestivi.

Cosa è l'empatia? C'è un modo di instaurarla fra un essere umano e un altro animale?
L'empatia è quella capacità di comprendere appieno lo stato d'animo altrui, di gioia o di dolore. Ciò non significa mettersi nei panni dell'altro, ma portare l'altro nel nostro mondo o mostrargli disponibilità a essere portati nel suo. L'empatia che può instaurarsi con un animale è un discorso quindi delicato, perché può condurre a distorsioni del concetto di rapporto fra uomo e natura, o uomo e animale. Si rischia cioè un eccesso di umanizzazione di quest'ultimo.
Un conto è il nostro rapporto personale verso l'unico soggetto che si ha di fronte, sia questo un gatto, una papera o una farfalla; altro conto è capire, conoscere, informarsi in merito al ruolo che la specie a cui appartiene quel soggetto assume nel contesto del rapporto fra uomo e natura. Nel primo caso caso l'approccio al singolo esemplare è quello che chiamo “approccio zoom”, nel secondo si passa alla “modalità grandangolo” e a capire che esistono leggi ambientali che vanno rispettate e che l'umanizzazione che spesso ci induce a provare dei sentimenti verso il singolo esemplare, può rivelarsi inopportuna.
Quando fotografo gli animali, mi piace dire che cerco di tirar fuori da loro il lato umano, e in me il lato animale. L'ideale sarebbe quindi incontrarsi a metà strada. Deve esserci un momento emotivo da tradurre fotograficamente. Qual è questo momento? Come lo identifico? Andando oltre l'aspetto meramente documentaristico, focalizzandomi su una posa particolare, sui dettagli, sulle frazioni di secondo che provocano emozioni. Credo che tutto ciò si riassuma al meglio nella fotografia che ritrae l'airone bianco maggiore spiccare il volo con un gamberetto di acqua dolce nel becco.


Una breve parentesi sulla tua seconda attività: in che modo supporti un professionista nell'ampliamento del suo business fotografico?

Prima di impostare qualsiasi progetto di marketing, comunicazione o promozione, è necessario che il professionista o l'azienda siano disponibili a guardarsi da fuori per capire come vengono percepiti dal pubblico. Comincio con il chiedere al fotografo perché mai un allievo o un cliente dovrebbe rivolgersi a lui, cosa lo distingue dagli altri, quali sono i suoi punti di debolezza, quali quelli di forza, cosa sta offrendo o, ancora, quali sono i vantaggi nel lavorare con lui piuttosto che con gli altri. Tutto ciò lo sta comunicando, lo sta facendo in modo chiaro? Non basta dire che il proprio lavoro sia di qualità. Spesso i fotografi si focalizzano su dettagli che un cliente quasi mai sarà in grado di percepire come importanti: non sempre i clienti sono esperti e preparati. La qualità non serve a nulla se non si è capaci di comunicarla in modo adeguato. La comunicazione, quindi, non deve essere considerata un costo ma un investimento importante tanto quanto, se non di più, l'acquisto dell'attrezzatura.
Una volta che si è risposto a queste domande, si passa a un'analisi “spietata” di quello che si offre, quindi a ottimizzare l'offerta sulle esigenze dei clienti. In generale, si risulta più efficaci nel proporre il proprio prodotto o il proprio servizio, se il focus non è sul prodotto ma sulla persona che lo propone o sullo spirito dell'azienda. Va comunicata la passione, il perché stai facendo questo o quello.

Workshop, uno dei vocaboli della “lingua non italiana” più in voga. Cosa mi dici al riguardo?
A mio parere, data l'inflazione d'offerta a tal riguardo, conviene spiegare in cosa ci si differenzia dagli altri. È importante mettere il focus sul tipo di didattica che si sta offrendo. Non esiste un servizio tipo TripAdvisor incentrato sui corsi fotografici, quindi l'unico modo per informarsi è leggere i commenti degli allievi su forum, community e quant'altro.
Le lamentele più frequenti riguardano programmi non esaustivi, didattica non adeguata, organizzazione superficiale, scarsa capacità comunicativa del tutor. Saper fare belle fotografie non significa infatti saper spiegare come fare belle fotografie.
Sembra quindi che domanda e offerta facciano fatica a comprendersi. Uno degli equivoci più frequenti è pensare che un corso di fotografia si concretizzi in un corso sulle corrette impostazioni dell'attrezzatura fotografica: si tende cioè a confondere la tecnica fotografica con la tecnologia degli strumenti utilizzati. Non è possibile naturalmente che un insegnante conosca tutte le impostazioni primarie delle mille reflex presenti sul mercato. Non si ha tempo di metabolizzare un modello che ne esce un altro. Forse bisognerebbe pensare di organizzare workshop, per esempio di naturalistica, dedicati a un particolare modello di reflex associato a due, tre obiettivi al massimo. È però necessario essere sufficientemente preparati su certi modelli: vedi il team NPS che delle reflex Nikon sa proprio tutto.

Sei nikonista? E perché?
Sì, sono nikonista. È stata una scelta tecnica che ha tenuto conto di ergonomia, peso, intuitività di accesso ai comandi e soprattutto resa del colore. Quando ho deciso di passare al digitale, la mia prima reflex è stata una Nikon D40x. Oggi lavoro con una Nikon D700 e forse passerò in un futuro prossimo alla D4. Perché la D4 e non la D800 considerata da tutti l'erede della D700? Perché per il genere di fotografia da me praticato, trovo che le caratteristiche di velocità della D4, con i suoi 11 fps, siano più indicate. E poi ritengo eccessivi, sempre per le mie necessità, i 36 megapixel della D800.

L'obiettivo più efficiente per fotografare animali a distanza?
Più che di obiettivo, parlerei di focale che in generale è quella che mi consente di ottenere il miglior risultato. Per quanto riguarda la scelta delle ottiche devo necessariamente badare al peso in modo da essere libera nei movimenti e non rischiare di dover investire in fisioterapista all'indomani...

Social Network. Aiutano o meno i fotografi?
Altro argomento che merita attenzione. I social network sono nati come strumenti per mettere in contatto le persone. Oggi rappresentano il modo in cui decidiamo di mostrarci al mondo. Si commette spesso l'errore di dedicarsi pochi minuti al giorno, raccogliere in modo compulsivo contatti di cui non si sa nulla o quasi, veicolando fotografie che rappresentano la propria attività. Si tende ciò ad affidare al social networking il cosiddetto “viral marketing”, considerando questo come il corrispettivo tecnologico del passaparola.
In realtà i social network dovrebbero fare da customer service, impostare cioè una relazione continua fra i fotografi che ne fanno uso e i potenziali clienti. Non è sufficiente esserci ma bisogna viverci. Nei social siamo noi a diventare il marchio: la promozione riguarda noi stessi, non più il nostro prodotto. Faccio un esempio: un'immagine pubblicata su Facebook, tra le mille immagini che il social propina in Home Page, sarà più interessante se scriviamo una didascalia che spieghi come è stata ottenuta. Tutto ciò disabitua le persone dal commento frettoloso tipico delle piattaforme sociali e soprattutto aiuta a creare relazioni tra noi e i nostri contatti. Altro elemento importantissimo è che non bisogna fingere di essere ciò che non si è: la finzione è un ruolo che non si riesce a gestire a lungo. Se non si tiene conto di tutti questi aspetti, il social network rischia di diventare un boomerang che alla fine si ritorce contro.

Che rapporto hai con il Parco Faunistico Oasi di Sant'Alessio?
La mia attività didattica vuole proporre agli allievi situazioni in cui possano esercitarsi a fotografare animali in volo, animali che curano i propri piccoli, a realizzare ritratti. In questo l'Oasi di Sant'Alessio mi viene incontro.
Frequento l'Oasi dal 2008. Mi piace perché al suo interno è l'uomo a essere ospite: si attraversano tunnel nascosti in mezzo al bosco, con vetri di osservazione da cui l'essere umano vede l'animale senza che questo percepisca la presenza del primo.
Ho inaugurato un gruppo Flickr dedicato all'Oasi già a metà degli anni Duemila, ma dal 2010 ho deciso di farne il centro della mia attività di tutor. L'Oasi è un laboratorio naturalistico a cielo aperto ed è un compromesso fra quella necessità di osservare specie selvatiche in completa libertà e il volerle vedere in condizioni quanto più possibile simili a quelle naturali.
In trent'anni si sono effettuate ricerche sulle condizioni migliori per far vivere le varie specie. La cicogna bianca era scomparsa cinque secoli fa nella Pianura Padana mentre ora il paese di Sant'Alessio è il centro di massima diffusione locale della stessa specie. Avendo quindi apprezzato negli anni i risultati di questo esperimento, collaboro con l'Oasi di Sant'Alessio per la diffusione delle nuove iniziative. Organizzo quindi workshop e concorsi supportati di vari brand tecnici come Nikon e Manfrotto: l'ultima si è svolto domenica 24 febbraio 2013.

Potessi tornare indietro, rifaresti tutto quello che hai fatto?
Mi piacerebbe rivivere i miei 20 anni con l'esperienza dell'età di oggi: impossibile da fare ovviamente. Se rifarei tutto? Sì. Forse passerei più tempo consapevole insieme a mia mamma che alcuni mesi fa è venuta a mancare. Senza il suo supporto, certe scelte non sarebbero state possibili.

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