Intervista a Claudia Rocchini

A cura di: Dino del Vescovo

A poco più di un anno dall'ultimo incontro, torniamo con piacere a intervistare Claudia Rocchini, fotografa “di natura e in natura” come la stessa ama definirsi. Il suo rapporto con il parco faunistico “Oasi di Sant'Alessio”, sito in provincia di Pavia, è sempre più consolidato, al pari del ruolo che la Nital di Moncalieri, con i brand Nikon, Epson, Lowepro, Joby e Lexar, ha assunto in qualità di sponsor dei concorsi fotografici che la stessa fotografa organizza e coordina presso il parco. Questa volta c'è di più: nasce il libro dal titolo “I segreti dell'Oasi – La natura meravigliosa di Sant'Alessio”, edito da Rizzoli, che in 239 pagine e 200 immagini, ripercorre la storia fotografica (e non) di un parco che ha pochi eguali nel mondo, e che negli ultimi anni è risultato il più frequentato dai fotografi naturalisti d'Europa. Apprezzato dalla stampa nazionale – articoli dedicati sono comparsi su La Stampa e la Repubblica -, il libro è in vendita da maggio 2014 nelle librerie italiane, online e presso l'Oasi di Sant'Alessio. Claudia Rocchini si è occupata del coordinamento fotografico; Harry Salomon, creatore del luogo, insieme alla sua famiglia, ha redatto i testi, mentre il noto regista Ermanno Olmi, frequentatore entusiasta dell'Oasi, ha composto l'introduzione. L'intervista è la giusta occasione per parlare del libro, ma lascia ampio spazio al modo di pensare e di interpretare la fotografia naturalistica da parte della fotografa.

In sintesi, cosa è l'Oasi di Sant'Alessio?  

È un parco faunistico che si trova Sant'Alessio con Vialone, in provincia di Pavia, nato nei primi anni 70 con lo scopo, allora rivoluzionario, di allevare specie in pericolo per restituirle alla natura. Con gli anni, l’Oasi si è evoluta, prima con un’accurata ricostruzione degli ambienti umidi delle nostre pianure poi, nel 1994, con l’apertura ai visitatori.

Che tipo di animali ospita?

Gli animali dell’Oasi si dividono in tre categorie: la gran parte è selvatica e frequenta l'ambiente per il suo grado di naturalezza e sicurezza; un’altra parte è costituita dalle specie allevate per la reintroduzione e infine un gruppo è mantenuto per ragioni di studio, dei metodi migliori che ne consentano l’allevamento in cattività, o didattiche.
Quelli degli ultimi due gruppi sono custoditi in voliere che, quasi tutte, riproducono gli habitat naturali e almeno parte dei rapporti fra specie e specie, e fra animali e piante.

Che legame Nikon e la Nital hanno con l'Oasi di Sant'Alessio?

Premesso che Nikon, quindi la Nital, già sosteneva l'Oasi fornendo binocoli per il birdwatching ai visitatori, da un punto di vista strettamente fotografico il legame è stato inizialmente indiretto: Nikon era sponsor dei miei corsi, sia presso l'Oasi sia in altre location e generi. Successivamente, visto il gradimento crescente della formula “tour fotografico” dedicata ai principianti e dei workshop per fotoamatori evoluti, ho proposto un coinvolgimento diretto con il parco. Ciò è avvenuto con la promozione e la sponsorizzazione del concorso legato all'Oasi, giunto quest'anno alla sua terza edizione. Sponsorizzazione che coinvolge, oltre a Nikon, anche da Nikon School, Lowepro, Vanguard, Joby, Lexar, Epson, Profoto e le riviste specializzate con cui collaboro, FOTOGRAFIA REFLEX e Digital Photographer Italia.

Parliamo del libro “I segreti dell'Oasi. Quando nasce l'idea?

Nel 2008, colpita dalla bellezza dell'Oasi e dal lavoro fatto per la protezione e il recupero delle specie a rischio, ho aperto un gruppo su Flickr che contenesse le fotografie fatte nel Parco.
Nel 2011 è nata l'idea del concorso fotografico suddiviso in tappe mensili, coincidenti con il periodo di apertura del Parco, da febbraio a novembre: ogni mese viene aperto un post nel gruppo in cui gli iscritti pubblicano le fotografie.
A fine mese sono aperte le votazioni, secondo un doppio meccanismo: prima la votazione della giuria popolare cui segue la votazione della giuria qualificata che esprime tre vincitori tra le 10 fotografie che hanno ottenuto il maggior gradimento popolare.
Tra i giurati, oltre a Giulio Forti, editore e direttore delle due riviste, e a Gabriele Caccialanza, fondatore e presidente del Festival Internazionale del Cinema naturalistico "Lo stambecco d'oro", vi è anche Marco Ausenda della Divisione Internazionale Illustrati di RCS Libri oltre che amministratore delegato di Rizzoli International. Colpito dall'alta qualità delle fotografie in gara, ci ha proposto di fare un libro sull'Oasi che ne raccontasse la storia, fotografica e non.

Che ruolo hai avuto nella realizzazione? Di cosa ti sei occupata?

Ho avuto un doppio ruolo: come fotografa e come coordinatore fotografico. Mi sono occupata della selezione dei fotografi che hanno aderito al progetto, scelti per la qualità degli scatti. Ho operato una prima selezione delle fotografie da proporre per la pubblicazione (quasi 1000), post producendole in modo da creare una coerenza cromatica di base, nel rispetto dei colori naturali degli esemplari ritratti e delle esigenze di prestampa. Riguardo alle mie fotografie pubblicate, sono state scelte in parte da me, in parte dai responsabili dell'Oasi oltre che per la qualità, anche per l'esigenza di pubblicare immagini di esemplari che spesso vengono trascurati. Esaurita questa prima fase, ho collaborato assieme ai responsabili del Parco con il team editoriale Rizzoli nelle varie fasi di editing, verifica prove colore eccetera. Il libro, cartonato con sovraccoperta, contiene oltre 200 fotografie per 240 pagine. I testi sono stati invece scritti da Harry Salamon, fondatore e responsabile dell'Oasi.

Sei stata retribuita per questo progetto?

Premetto che sono contraria alla politica di regalare fotografie in cambio di visibilità, pratica purtroppo frequente nel nostro settore, e fonte di accese polemiche. Ma se da un lato comprendo le ragioni di chi vuole iniziare la professione e ha necessità di mettersi in evidenza, dall'altro non ritengo sia un comportamento eticamente accettabile da parte di fotografi professionisti, se non in rare eccezioni, tra cui quelle di partecipare a progetti benefici.
Per il lavoro di coordinamento fotografico sono stata messa sotto contratto da Rizzoli e quindi regolarmente retribuita. Riguardo alle fotografie, le ho donate, nonostante l'offerta di royalties da parte dei responsabili del Parco. E altrettanto hanno fatto gli altri fotografi che hanno partecipato al progetto. Il libro è nato con l'idea di sostenere le attività dell'Oasi che, a differenza delle varie associazioni animaliste, non percepisce fondi pubblici. Né li vorrebbe, aggiungo. Dunque, se questo libro non avesse avuto un fine benefico non avrei dato i miei scatti a titolo gratuito né mi sarei prestata a chiederli ad altri.

Ermanno Olmi scrive la prefazione al libro. Perché?

Olmi è giunto per caso all’Oasi nel 2012 per eseguire delle prove di macchina. È rimasto colpito dalla qualità naturale e insieme paesaggistica dell’ambiente e dal lavoro fatto dalla famiglia Salamon per crearlo e mantenerlo. Ha quindi deciso di girare nell’Oasi gran parte delle riprese destinate a confluire nel documentario che sta preparando per l'Expo, l’esposizione mondiale del 2015 il cui tema, ricordiamolo, è il problema del nutrimento dell'uomo e della Terra.

L'Oasi è la seconda in Europa per affluenza di fotografi? Come ti spieghi questo successo?

Devo fare una correzione: era seconda, è diventata prima nell'arco dei mesi successivi alla decisione di pubblicare il libro. Il successo penso sia dovuto alle stesse ragioni che hanno colpito Ermanno Olmi. In più, alla possibilità di avvicinare animali selvatici in totale autonomia e animali nelle voliere, dove l’ambiente e i comportamenti sono praticamente identici a quelli naturali. Il celebre ornitologo inglese Tony Soper pubblicò un volume, poi ripreso in Italia nel 1990, con il titolo “La gabbia senza sbarre”: le sue idee, di cui tutti ancora parlano ma che nessuno ha concretamente realizzato, sono le stesse alla base del lavoro fatto in oltre quarant'anni nell’Oasi. Questa è purtroppo, e sottolineo “purtroppo”, un unicum, e non solo nel panorama europeo. Non so in quanti lo abbiano capito. I nostri amici fotografi, certamente sì.

Quanti animali e quante specie oggi conta? Quale specie ti piacerebbe vedere in un prossimo futuro?

Le specie di piante comprendono la maggior parte di quelle delle nostre pianure. E ti anticipo che per l’anno prossimo è prevista una lunga manifestazione che consisterà nella rassegna di quasi tutte le erbe, fiori, cespugli e alberi della pianura padana, naturalmente tutti o quasi inseriti nel paesaggio e commentati. Inoltre, proprio per gli studi dei conduttori sui rapporti animali-ambiente, esiste una colossale raccolta delle specie di piante che sono alla base della vita animale: così le farfalle vivono del nettare dei fiori e non di quello artificiale e si riproducono sulle foglie delle loro particolari specie di piante.
Così i colibrì dispongono di quasi tutti i fiori che usano in natura. E così via.
Le specie di animali presenti sono oltre 200, senza contare quelli selvatici.
Quanto alle specie che mi piacerebbe vedere in un prossimo futuro, è in corso un programma per portare nell’Oasi, da allevamenti del Centro Europa, alcune specie praticamente impossibili da osservare in natura, per la loro rarità, per la vita subacquea o per le abitudini schive: Tarabuso, Falco pescatore, Svasso maggiore, Beccaccia… L’Oasi sta inoltre arricchendo la collezione di Uccelli del Paradiso, e il loro comportamento è il sogno irraggiungibile di molti fotografi. Nell’insieme ci sarà materia inesauribile. E poi mi piacerebbe - ma ci vorrebbe uno sponsor - un traliccio per poter osservare, ovviamente senza disturbarli, i 250 nidi di aironi selvatici presenti.

Quale attrezzatura consigli per fotografare l'Oasi?

Non ne faccio mai una questione di corredo quanto di capire dove terminano i limiti dell'attrezzatura e dove iniziano quelli di chi fotografa. “Consapevolezza” è la parola chiave: bisogna essere consapevoli della luce che cambia sulla scena, altrimenti non saremo in grado di capire quando occorre variare l'esposizione.
Valutare la distanza dal soggetto significa impostare un diaframma ottimale. In studio è relativamente facile, hai tutto sotto controllo, ma con gli animali è diverso. Non hai tempo di pensare troppo e se ti fai prendere dall'ansia dello scatto, finisci per trascurare elementi che si ritengono secondari perché il risultato cui si ambisce è il classico soggetto che stacca nitidamente dallo sfondo. E si ritiene di poter ottenere il risultato con un tele f/2.8, un mito per molti. Ma poi capita di vedere scatti a f/2.8 con problemi di nitidezza e di sentire che magari è colpa dell'obiettivo e non del fatto che si è data la massima apertura su un soggetto lontano 50 metri...
L'Oasi è una palestra fotografica ideale per tutte le declinazioni della fotografia naturalistica: suggerisco di non dare la priorità, almeno in prima battuta, alla resa tecnica di uno scatto, trascurando i fondamentali della fotografia. È perfettamente inutile una foto di una cicogna tecnicamente perfetta se la riprendiamo dall'alto in basso, schiacciandola, e non facciamo lo sforzo di inginocchiarci a livello degli occhi, o se possibile appena sotto.

Che tipo di didattica imposti durante i corsi?

Insisto molto sul "perché no" una fotografia è sbagliata. Per fare esercizio di base basta una fotocamera compatta, della serie COOLPIX per esempio. Nei tour fotografici ho spesso padri, madri e figli, dagli 8 anni in su, tutti con le loro compatte.
Il discorso è differente per i workshop dedicati ai fotoamatori evoluti, sull'avifauna in volo o sul ritratto animale, dove l'attrezzatura fa oggettivamente la differenza: in questi casi dunque incentivo i partecipanti ad abbandonare gli automatismi. Se si delega alla tecnologia della reflex la decisione sugli Iso, i tempi o i diaframmi, oppure si ragiona seguendo la logica del "tanto poi c'è Photoshop", difficilmente saremo in grado di capire perché una foto è venuta bene oppure no. In naturalistica si fotografa quasi sempre in priorità di diaframma o di tempi, ma dev'essere una libera scelta, non obbligata dal fatto che si ha terrore della modalità manuale.
Comunque in Oasi, data la vicinanza degli esemplari selvatici in volo libero, è sufficiente una reflex entry-level con medio tele per ottenere risultati suggestivi. Alcuni dei miei scatti pubblicati nel libro sono stati ottenuti con una Nikon D40x e un 70-300mm a f/5.6.

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