India, un mondo a parte

A cura di: Roberto Cappelletti

Lontano dai luoghi turistici dell'India, nel distretto di Guntur, si trova un villaggio fatto di case di legno e fango: Thullur. Qui opera l'associazione umanitaria HHPP (Humanitarian Help for Poor People) di cui fa parte l'autore del Life.
Foto di Roberto Cappelletti e Massimiliano Zampieri

C’è un villaggio in India, al di fuori dei tradizionali circuiti turistici, distante mille miglia dalla magnificenza dei palazzi dei maharaja del Rajasthan, dalla iconica imponenza del Taj Mahal di Agra, dalla mistica solennità della città sacra di Varanasi, dal caos moderno delle megalopoli di Delhi, Mumbai e Calcutta, dallo svago delle spiagge alternative di Goa, dalla realtà edulcorata delle commedie di Bollywood.
Questo villaggio si chiama Thullur, nel distretto di Guntur, e si trova nello stato meridionale dell’Andhra Pradesh. Qui una donna apparentemente minuta ma in realtà dotata di una straordinaria forza, Suor Jain, medico ginecologo, si occupa, assieme alle consorelle, della gestione di un dispensario, diventato un piccolo ospedale, punto di riferimento per la popolazione locale.
Si tratta di una comunità rurale i cui membri vivono in condizioni che, secondo gli standard occidentali, definiremmo nella migliore delle ipotesi precarie, nella peggiore francamente inaccettabili. Stiamo parlando d'altronde di una nazione che si propone, a ragione, come una potenza economica mondiale.
 

Abitazioni fatte in gran parte da legno e fango (solo da poco fanno le prime timide apparizioni costruzioni in mattoni e cemento) torride in estate e inondate d’acqua durante la stagione delle piogge torrenziali, carenti di servizi igienici, di acqua potabile e di corrente elettrica.

L’associazione umanitaria toscana HHPP (www.humanitarianhelp.it) da anni opera in questa comunità, preoccupandosi del finanziamento dell’ambulatorio medico e della scuola annessa al dispensario, del progetto JEEVAN di adozione a distanza, con il quale si aiutano le famiglie più povere, e infine delle periodiche missioni sanitarie, nel corso delle quali medici, con l’aiuto di altri volontari, supportano Suor Jain nel suo lavoro quotidiano.

Io, in qualità di medico cardiologo, collaboro con HHPP da tre anni e a ottobre mi accingo a partire per la mia terza missione indiana.
Inutile dire che l’esperienza, dal punto umano e al di là della facile retorica “buonista”, è unica.

Coloro che dovrebbero essere i beneficiari del nostro aiuto ci restituiscono in modo amplificato, in termini di arricchimento personale, ciò che hanno ricevuto.
Eppure è gente che ogni giorno qui, come in altri sperduti angoli della Terra, si sveglia e cerca di vivere come può, con il poco o nulla che ha a disposizione, mentre spesso i nostri sguardi volgono altrove e i nostri occhi fingono di non vedere.


 

C’è gente che percorre chilometri a piedi, sotto un sole torrido, per venire a farsi visitare, e che aspetta pazientemente il proprio turno. Gente che non ha altre occasioni o le possibilità economiche per effettuare un controllo medico. Gente che ti ripaga con un sorriso e che ti fa dimenticare le condizioni difficili in cui devi operare.
HHPP sostiene anche un'altra straordinaria persona: Suor Elisabetta, nello stato del Kerala, a cui si deve la nascita di un orfanotrofio, l’Assisi Baby Sadan, che ospita bambini e ragazzi che necessitato di aiuto. Qui le condizioni ambientali sono migliori che in Andhra Pradesh, ma l’orfanotrofio accoglie dolorose storie di abbandono, sofferenza e violenza.
Fortunatamente gli ospiti, qui, crescono in un ambiente sereno, giocano, si divertono, studiano, fanno insomma tutto quello che i lori coetanei fanno in ogni angolo del mondo. Questi ragazzi grazie al cielo godono generalmente di buona salute. Direi piuttosto che hanno bisogno di attenzioni, di manifestazioni di affetto, di contatto fisico. Ed è quello che facciamo quando stiamo con loro. Li prendiamo per mano, li abbracciamo, baciamo, accarezziamo, corriamo, giochiamo con loro, con i più grandi giochiamo a cricket, a pallavolo, a racchettoni (è richiesta una certa preparazione atletica!). Alla sera, quando sei stanco morto, i più piccoli ti si addormentano in braccio oppure si mettono in fila per il bacio della buona notte.

A me piace soprattutto pensare che la nostra, seppure circoscritta presenza, riesca, oltre all’aiuto concreto, a trasmettere a queste persone la sensazione di non essere completamente abbandonate a sé stesse, di poter contare sul supporto, anche minimo, di qualcuno. Soprattutto vorrei che gli splendidi bimbi e ragazzi incontrati nei villaggi, nelle scuole, negli orfanotrofi, anche un po’ grazie ai nostri sorrisi, ai nostri abbracci e al nostro incoraggiamento, acquistino consapevolezza delle proprie potenzialità, del proprio valore , della propria unicità, della propria bellezza. Ma questi sono forse solo i desideri di un visionario ottimista…

Ho scelto di corredare queste righe con immagini di persone piuttosto che di luoghi, seppure è capitato, nel mio percorso, di attraversare paesaggi di rara suggestione e fascino. Ma questi ritratti per me hanno un significato speciale. Dietro ciascuno di questi volti, c’è una storia non solo di dolore e sofferenza, ma anche di gioia e di speranza, di voglia di riscatto e di spensieratezza. Ricordi personali di un'India indelebilmente impressi nella mia mente e nel mio cuore.

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