La fotografia architettonica può sembrare un territorio per professionisti dotati di corredi ad alta specializzazione. Le reflex full-frame Nikon e gli obiettivi Tilt/Shift Nikkor, offrono risultati un tempo irraggiungibili. La grande qualità delle migliori compatte tascabili, alcune nozioni tecniche e compositive e un uso consapevole dei software di ritocco, tuttavia, consentono a “chiunque” di confrontarsi con l'architettura.

 

Gli ambiti della fotografia di architettura Avanti digitale e dopo digitale: menu ritocco e Picture Control 2
Competenze tecniche: esposizione, istogramma e profondità di campo Il corredo: composizione, formato, proporzioni e obiettivi Tilt-Shift
Angolo di campo, di ripresa e soluzione Jumbo MBS con PC-E Nikkor COOLPIX P7700/P7800 nella fotografia di architettura
Software: ViewNX2, Capture NX-D, Camera RAW, Lightroom, Photoshop La prospettiva e la scelta del punto di vista
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Software: ViewNX2, Capture NX-D, Adobe Camera Raw, Lightroom, Photoshop

Ogni produttore di sistemi operativi o di apparecchiature fotografiche distribuisce software per l'importazione nel computer, la visione, la correzione e l'ottimizzazione delle immagini digitali. Le applicazioni software Nikon come ViewNX 2 e Capture NX-D (mostrate in schermate nel capitolo precedente) sono certamente le “migliori” nella gestione di sviluppo RAW ottimizzato, offrono i versatili Picture Control e demosaicizzazioni che tengono conto in totale automatismo del profilo di input -sensore- oltre che del profilo obiettivo per correggere la caduta di luminosità ai bordi e le aberrazioni cromatiche in relazione allo specifico schema ottico. Ma da sole “non bastano” per il completamento del flusso che richiede anche catalogazione e post-produzione di fotoritocco.
In un singolo eXperience non è possibile descrivere nel dettaglio né le potenzialità né le tecniche d'uso dei programmi di fotoritocco, quindi mi limiterò a dare alcune indicazioni su quello che faccio ogni volta che dalla ripresa (la mia emozione, la mia vocazione) passo alla post-produzione (la necessità, il quotidiano calvario).
La mia opinione è che, per lavorare davvero bene le nostre fotografie, abbiamo bisogno di (almeno) due software, il primo per gestire il flusso di ottimizzazione dei files raw (ricordo che considero questo l'unico formato nel quale scattare) e il secondo per le parti di ritocco, pulizia, ultime scelte di taglio dell'inquadratura, lavoro selettivo su parti dell'immagine, stitching di più foto, procedure HDR nel senso più ampio del termine ecc.
Il software di flusso (io uso Adobe Lightroom), oltre a moltissime funzionalità per la distribuzione e la pubblicazione delle immagini sia in forma cartacea che digitale, accoglie le cartelle piene di files RAW e mette a disposizione innumerevoli strumenti per regolare il bilanciamento cromatico, l'esposizione, il contrasto, i bianchi, i neri, le alte e le basse luci, la vividezza e la saturazione dei colori, sia come insieme che come singolo colore, la nitidezza del dettaglio e il disturbo (il "rumore" delle alte sensibilità e delle basse luci), l'aberrazione cromatica, la distorsione, la vignettatura, l'inclinazione e le prospettive ecc.
Tutti questi parametri possono essere modificati anche in altri programmi di ritocco (per esempio in Adobe Photoshop che condivide con Lightroom il modulo di sviluppo Camera RAW), ma il software di flusso costruisce una biblioteca dalla quale è possibile, per esempio, esportare contemporaneamente le stesse immagini in più formati dopo averle lavorate in un ambiente non distruttivo nel quale è sempre possibile ritornare al file originale.

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Alcuni screen-shots da Adobe Lightroom 4: il modulo Libreria e il modulo Sviluppo con, nell'ordine, gli strumenti delle regolazioni tonali e di bilanciamento cromatico, i pannelli dei Dettagli e della Correzione Lente, i pannelli della Taglierina e della Correzione Lente.

I software di ritocco (io uso Adobe Photoshop) fanno molte più cose di quante io sia qui in grado di elencare, ma la sintesi potrebbe essere: quello che non riesco a fare in Nikon ViewNX2, in Nikon Capture NX-D e in Lightroom.
Nella mia pratica professionale io mi comporto più o meno così:

• dopo aver scaricato le immagini RAW sul computer, le organizzo in cartelle in base al cliente, alla data di scatto, al soggetto fotografato;
• importo le cartelle in Adobe Lightroom, che costruisce il suo catalogo con quella stessa organizzazione;
• nel modulo di sviluppo delle immagini regolo, per singola foto o, se possibile, per gruppi di foto, tutti i parametri elencati poco sopra (bilanciamento cromatico, esposizione, contrasto, prospettive...);
• esporto una versione TIF o PSD (il formato nativo di Adobe Photoshop) delle foto appena regolate, di solito all'interno di cartelle create all'interno di quelle relative a cliente/data/soggetto;
• apro Adobe Photoshop e, foto per foto, "pulisco" la polvere del sensore (laddove non gestibile con la funzione Nikon Image Dust Off), correggo al millimetro le eventuali prospettive residue, schiarisco o scurisco selettivamente parti dell'immagine, decido il taglio definitivo e applico una maschera di contrasto coerente con la dimensione di pubblicazione del file;
• sempre in Photoshop, unisco (stitching) eventuali gruppi di immagini ottenute per rotazione della macchina fotografica o decentramento di un obiettivo e, con procedure varie, genero files "HDR" che contengono porzioni di scatti fatti a esposizioni diverse laddove la gamma di brillanze del soggetto fosse più ampia della gamma dinamica del sensore;
• dopo aver finito di lavorare i files TIF/PSD, riapro Adobe Lightroom e li importo nella sua biblioteca;
• da questi files esporto, creando ulteriori cartelle dedicate, una versione JPG di discreta qualità e peso non eccessivo da consegnare al cliente per la visualizzazione rapida a monitor.

Mi rendo conto di essere stato molto sintetico, ma alla fine si tratta quasi sempre delle stesse cose e, conoscendo i miei limiti al computer, direi che va bene così.

La prospettiva e la scelta del punto di vista

La prospettiva è la variazione della scala alla quale soggetti posti a distanze diverse dall'osservatore vengono rappresentati in un'immagine.

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In questa foto di Ground Zero la dimensione della fontana (pari a quella di base di una delle due Torri Gemelle) è esaltata dalla visione grandangolare e dalla vicinanza al primo piano del soggetto.
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Qui, al contrario, i due lati opposti della fontana sono "avvicinati" dall'angolo di ripresa più stretto, dalla scelta di una focale lunga e da un punto di vista distante dal primo piano.
La vicinanza al soggetto, insieme con un angolo di ripresa ampio, esaltato dal decentramento verticale, produce un campo prospettico molto dinamico.
La distanza dal soggetto e l'angolo di ripresa ridotto producono un campo prospettico statico.

In fotografia la variazione prospettica dipende dalla posizione dell'osservatore rispetto ai soggetti rappresentati, dalla lunghezza focale dell'obiettivo scelto che, associata al formato di ripresa, genera un angolo di visione, e dalla posizione nello spazio del materiale sensibile impiegato.
Per chi avesse scaricato o letto il mio eXperience sul controllo della prospettiva queste frasi non sono nuove: per la verità, le ho copiate e incollate qui, ne ero convinto allora e lo sono anche oggi. Nella fotografia di architettura, a differenza di quanto succede in altri ambiti, si può (si deve?) non avere fretta: si ha il tempo di leggere il soggetto, di girargli intorno, di capirne la struttura, il disegno, il rapporto tra le parti, il "peso" delle zone illuminate rispetto a quelle in ombra, di analizzarne la forma complessiva e come questa sia composta di dettagli, ognuno dei quali un microcosmo progettuale. Nella normale pratica professionale è comodo attenersi a un filo narrativo elementare: dal generale - l'edificio immerso nell'ambiente che lo circonda - al particolare - i dettagli costruttivi, i materiali che lo compongono.

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Un possibile servizio descrittivo di un edificio, con narrazione dal generale al particolare, dall'esterno all'interno e chiusa emotiva. Il soggetto è la Peres Peace House di Tel Aviv, su progetto di Massimiliano Fuksas.

Nella fotografia di architettura libera - artistica, creativa o passionale che sia - ognuno può fare come crede ed io non ho alcun titolo per dire cosa sia giusto o sbagliato. Ineludibile, tuttavia, resta il ragionamento sulla scelta del punto di vista, perché da questo dipendono, in un ordine che tiene conto delle tre coordinate spaziali di relazione tra il fotografo e il soggetto - distanza, allineamento e altezza - il campo prospettico in cui accogliere lo spettatore, la coerenza dell'immagine con il progetto, la forza del soggetto rispetto allo spettatore o viceversa.
Ecco tutto quello che mi sento di suggerire: senza la macchina, ma solo con gli occhi, guardate il soggetto che intendete fotografare avvicinandovi e allontanandovene, spostandovi di fronte a esso verso destra e verso sinistra, abbassandovi fin dove la cura dei vostri vestiti consente (ma se volete sdraiarvi per terra, non esitate: una buona foto vale più di un paio di pantaloni! Ecco perché io tendo a vestirmi poco formale) o cercando gradini, lampioni, muretti per alzarvi oltre il livello abituale dello sguardo.

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Un tentativo quasi perfettamente riuscito di ricerca della simmetria. Il Palau de les Arts di Valencia, di Santiago Calatrava, avrebbe anche un momento in cui il sole proietta un'ombra simmetrica: foto fatta, soddisfazione teorica, delusione emotiva...questa, con la luce del tramonto è molto più bella!
Un dettaglio della Hearst Tower di Norman Foster, a Manhattan, costruita al di sopra dell'edificio degli anni '20 di Joseph Urban. La lunga focale mette a confronto i due stili in un impianto compositivo volutamente asimmetrico.
Le Veer Towers di Las Vegas, dello studio Murphy - Jahn di Chicago, viste dal basso e rese slanciate dall'uso di un forte decentramento dell'obiettivo.
Il New York Times Building di Renzo Piano visto dalla cima dell'Empire State Building. Il punto di vista alto e la distanza generano una rappresentazione tendenzialmente oggettiva dell'edificio.
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La Bilbao Arena dello studio ACXT Arquitectos vista dal basso.
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Il Museo d'Arte Contemporanea di Tel Aviv, di Preston Scott Cohen: una vista dal basso (ero sdraiato per terra) dell'atrio centrale.
Un tentativo di dare ordine alle numerose diagonali dei percorsi di collegamento tra i 7 piani dell'edificio.
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Un analogo tentativo fatto al MAXXI di Roma, progettato da Zaha Hadid.
Per fortuna nessuno ha avuto da obiettare, come invece mi è successo dentro San Pietro...
L'edificio Veles e Vents di David Chipperfield a Valencia: grazie all'obiettivo decentrato in diagonale verso l'alto e a destra, ho potuto guadagnare inquadratura dalla parte del costruito pur mantenendo l'asse ottico allineato con la linea esterna della piastra sommitale, che risulta così come una verticale che dà ordine alla composizione.

Ognuno di questi movimenti cambia la rappresentazione dell'oggetto, cioè cambia lo spazio nel quale immergerete chi, dopo di voi, guarderà le vostre fotografie. Avvicinarsi vuol dire dare forza e potenza al primo piano e imporre allo spettatore uno spazio precipitoso, dinamico nel quale esercitare il proprio sguardo; allontanarsi vuol dire, al contrario, offrire una narrazione via via sempre più neutra, asettica, meno coinvolgente, tendenzialmente oggettivante.

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Il Teatro Nazionale HaBima di Tel Aviv, di Ram Karmi, visto con il 24mm T/S da lontano e da più vicino.
Lo Hemisfèric di Santiago Calatrava a Valencia in una prospettiva centrale sull'asse di simmetria.
Lo Hemisfèric di Santiago Calatrava a Valencia in una prospettiva accidentale che ne mostra il lato vetrato e anche parte del Palau de les Arts.

Spostarsi verso destra o sinistra, oppure rimanere legati a un ipotetico asse centrale eventualmente riconoscibile nel disegno del soggetto, vuol dire creare dissonanze o consonanze visive rispetto al pensiero del progettista.
Attenzione alla simmetria! Se la si cerca, lo si deve fare per bene!!! Bisogna trovare, a destra e a sinistra dell'asse centrale del soggetto, degli elementi che si proiettino su un secondo piano e spostarsi fin quando non lo fanno esattamente nello stesso modo. Un filo di errore è comprensibile, soprattutto se lo si vede al computer, dopo, ingrandendo il file al 100%, ma solo quello.

Abbassarsi, soprattutto se si ha a disposizione un bel decentramento verticale, regala imponenza e forza al soggetto, che poi sovrasterà lo spettatore, ma se desiderate una rappresentazione dove i rapporti siano più equi, cercate di andare più in alto (magari suonando ai campanelli della casa di fronte per vedere se vi mettono a disposizione una finestra).

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