Sebastião Salgado

Genesi

Sebastião Salgado è tornato. Dopo una crisi che lo aveva quasi portato ad abbandonare la fotografia. Con un progetto frutto di otto anni di lavoro e oltre trenta reportage, iniziato nel 2003: Genesi, in mostra a Roma (e in contemporanea a Londra, Rio De Janeiro e Toronto), al Museo dell’Ara Pacis, dal 15 maggio al 15 settembre. La Terra come risorsa magnifica da raccontare, contemplare, conoscere, amare. Un pianeta da salvaguardare, assumendo nuovi comportamenti più rispettosi della natura e di quanto ci circonda. Una sorta di grande antropologia planetaria, un grido di allarme, un tributo visivo. Un viaggio fotografico fatto di oltre 200 immagini - in un bianco e nero lirico e potente - di mondi in cui natura, animali ed esseri viventi vivono ancora in equilibrio con l’ambiente: dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia.


Isole South Sandwich, 2009 © Sebastião Salgado/Amazonas Images

Un progetto altissimo, fuori dall’ordinario, per respiro e proposito: «ricongiungerci con il mondo com’era prima che l’uomo lo modificasse fino quasi a sfigurarlo», come scrive il fotografo brasiliano. «Uno stimolo per imparare a guardare il nostro pianeta in modo diverso e capire l’importanza di proteggerlo», come scrive la curatrice della mostra, sua moglie Lélia Wanick Salgado, che spiega: «Genesi è la ricerca del mondo delle origini, come ha preso forma, si è evoluto, è esistito per millenni prima che la vita moderna accelerasse i propri ritmi e iniziasse ad allontanarci dall’essenza della nostra natura. È un viaggio attraverso paesaggi terrestri e marini, alla scoperta di popolazioni e animali scampati all’abbraccio del mondo contemporaneo. La prova che il nostro pianeta include tuttora vaste regioni remote, dove la natura regna nel silenzio della sua magnificenza immacolata; autentiche meraviglie nei Poli, nelle foreste pluviali tropicali, nella vastità delle savane e dei deserti roventi, tra montagne coperte dai ghiacciai e nelle isole solitarie. Regioni troppo fredde o aride per qualsiasi cosa salvo per le forme di vita più resistenti, aree che ospitano specie animali e antiche tribù la cui sopravvivenza si fonda proprio sull’isolamento.


Brasile, 2009 © Sebastião Salgado/Amazonas Images

Il materiale è suddiviso in cinque sezioni: «Abbiamo cominciato con il sud del pianeta, l’Argentina, l’Antartico e le sue isole. Abbiamo poi costruito una sezione sull’Africa, un continente estremamente diversificato ma che certo si distingue dagli altri. La terza parte l’abbiamo dedicata a un certo numero di isole che definiamo “i santuari del pianeta” perché custodiscono una biodiversità particolarissima, come il Madagascar, la Papua Nuova Guinea e i territori degli Irian Jaya. E poi l’emisfero nord del mondo che comprende regioni fredde ma nel quale abbiamo incluso anche il Colorado, meraviglioso territorio degli Stati Uniti. La quinta e ultima sezione è riservata all’Amazzonia, il polmone del mondo e il luogo dove abitano un’immensità di specie, di flora e di fauna. L’Amazzonia del Brasile ma anche quella del Venezuela, con le sue magnifiche catene montuose. E nel nostro Brasile presentiamo anche la zona del Pantanal: un habitat di specie faunistiche molto differenziate e importanti».


Kafue National Park, Zambia, 2010 © Sebastião Salgado/Amazonas Images

Di seguito, ecco il testo che Sebastião Salgado ha preparato per l’occasione, dal titolo significativo, In cerca di un paradiso: «Sono nato nel 1944, in una grandissima azienda agricola del Brasile il cui territorio era coperto all’epoca, per circa il 60%, dalla foresta tropicale. Quando negli anni Novanta i miei genitori, ormai anziani, hanno voluto consegnare l’azienda agricola a noi figli, io e le mie sette sorelle ci siamo ritrovati tra le mani un territorio in cui le foreste erano per lo più annientate. Dalla copertura originaria, superiore al 50%, eravamo scesi a meno dello 0,5%. Era ormai una terra bruciata; un territorio dove avrebbero potuto essere allevati decine di migliaia di capi di bestiame, ora era in grado di sostenerne appena qualche centinaia. Mia moglie Lélia (lei non è solo la curatrice delle mie esposizioni, dei miei libri, quella che di fatto progetta tutto questo, ma è la mia socia per tutto ciò che facciamo nella nostra vita) mi ha detto “Sebastião, visto che sostieni di essere nato in paradiso, perché non costruire - o ricostruire - veramente questo paradiso? Perché non ripristinare la foresta tropicale che una volta ricopriva questa superficie?”. Così, abbiamo deciso di provarci e parlando con una serie di amici siamo riusciti a ideare un vero progetto di recupero ambientale. Abbiamo subito capito che per tentare di ripristinare l’ecosistema quale esisteva prima di questa devastazione, avremmo dovuto piantare per lo meno 2 milioni, forse 2 milioni e mezzo di alberi di almeno 100 specie botaniche diverse. Per raccogliere le risorse necessarie, abbiamo viaggiato da un capo all’altro del mondo e devo dire che l’Italia è stato tra i Paesi che ci hanno aiutato di più, come anche Spagna, Stati Uniti e comunque in primis il nostro Brasile. Attualmente, siamo a oltre 2 milioni di alberi piantati: abbiamo più di 300 specie diverse.


Etiopia, 2007 © Sebastião Salgado/Amazonas Images

Lavorando sulla ricostruzione di un paradiso come quello in cui ero nato, abbiamo avuto l’idea di mettere a punto un grande progetto fotografico, diverso però dai precedenti. Lo scopo doveva essere vedere e cercare un modo nuovo di presentare il Pianeta Terra: questa volta non avrei puntato l’obiettivo sull’uomo e sulla sua lotta per la sopravvivenza, ma avrei mostrato piuttosto le meraviglie che rimangono nel nostro pianeta. Abbiamo deciso di cogliere con la macchina fotografica quella grande parte del pianeta che si presenta ecologicamente pura e, si potrebbe dire, ancora allo stato primordiale. Creare dunque una quantità d’immagini che fosse sufficiente a far capire al maggior numero possibile di persone che esiste una grande porzione del mondo ancora integra, allo stato della Genesi, e mostrare quanto proteggere questa parte sia fondamentale per tutti noi. Non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza di ricostruire ciò che abbiamo distrutto. Siamo forse quasi obbligati a distruggere per poter creare le nostre straordinarie città, questo mondo formidabile nel quale viviamo con le sue tecnologie e i suoi comfort. Ma dobbiamo cercare di ricostruire gran parte di quel che abbiamo distrutto. Penso alla natura nel suo insieme, al potere enorme del mondo minerale, con i suoi vulcani e le forze incontenibili, ma anche al mondo vegetale, e alla sua importanza. Gli alberi sono la garanzia della nostra sopravvivenza.


Penisola di Valdés, Argentina, 2004 © Sebastião Salgado/Amazonas Images

Proprio le foreste sono un esempio importante di quel che dobbiamo fare. Il sistema globale del sequestro del carbonio, grazie alle parti del pianeta dove le foreste sono ancora integre, permette la creazione dell’ossigeno attraverso la fotosintesi generata dagli alberi. Inutile dire quanto questo processo sia essenziale per la vita di tutti gli esseri; grazie alle zone coperte da foreste rimane tra l’altro sequestrata l’umidità del suolo e in questo modo, il sistema idrico del mondo continua ad alimentarsi. Mi chiedo spesso se non stiamo andando incontro a una penuria di ossigeno per gli essere viventi – potrebbe essere possibile. L’unica macchina al mondo in grado di riprodurre l’ossigeno e la costituzione e il mantenimento delle riserve idriche del paese è proprio l’albero e il suo insieme in una foresta nativa: fonte inesauribile per la sopravvivenza del mondo come lo conosciamo e per il genere umano su questa terra. Insieme dobbiamo cercare di proteggerlo, di salvarlo e anche di ricostruire ciò che abbiamo distrutto. È l’unico modo che l’uomo ha di sopravvivere, altrimenti l’Homo Sapiens, si troverà fianco a fianco con altre specie in via di estinzione.


Isola di Siberut, Sumatra, Indonesia, 2008 © Sebastião Salgado/Amazonas Images

In fondo, noi facciamo parte del pianeta, e non siamo che una parte della natura e dovremmo cercare di non andare così veloci come invece facciamo. Forse, qualche passo indietro ci permetterebbe di comprendere che anche noi facciamo parte di un tutto. Oggigiorno nel mondo ricco, avanzato, gli esseri umani vivono 75 anni, anche 80, e forse qualcosa di più. Chi ha più di 100 anni ci sembra vecchio, in qualche modo vetusto. Ma se riuscissimo a pensare al tempo in termini di secoli, forse di milioni di anni, capiremmo che tutto è vivente. Le montagne nelle mie foto non sono una natura morta – quelle montagne che io ho fotografato, in realtà sono più vive di me. Alcune certo sono già morte, ma altre sono in crescita, in una fase che potremmo chiamare di fioritura.


Sud del Djanet, Algeria, 2009 © Sebastião Salgado/Amazonas Images

In Genesi vedrete dunque fotografato ciò che noi tutti insieme dobbiamo, e sottolineo dobbiamo, proteggere. Quella parte cioè che resta estremamente viva - forse un 45% - ed è ancora come al tempo della Genesi. Realizzando questo progetto non ho voluto assumere l’atteggiamento dell’antropologo, né dello scienziato. Io sono andato a fotografare come semplice curioso; per vedere, prima di tutto, e poi per mostrare ad altri quel che mi aveva toccato nell’intimo. Non solo. Credo sia la prima volta che fotografo altre specie animali. Io ho sempre fotografato una sola specie: noi uomini. La mia impostazione è quella del fotografo e giornalista. Con massimo rispetto mi sono avvicinato alle altre specie, animali, vegetali, minerali e ho compreso che tutto ciò che esiste di utile, di importante, di essenziale nel nostro mondo, esisteva già in un tempo anche lontano. Nelle società così dette primitive esisteva già un’idea di solidarietà, di società, di amore. Esisteva l’assistenza, le medicine, perfino gli antibiotici e gli antinfiammatori. Noi non abbiamo fatto altro che sistematizzare queste conoscenze.


Arizona, USA, 2010 © Sebastião Salgado/Amazonas Images

Il nostro sforzo, attraverso questa mostra (che dopo Roma sarà ospitata in più di trenta musei del mondo), i libri che abbiamo realizzato, il film che mio figlio Juliano insieme a Wim Wenders hanno da poco terminato, è di partecipare a un sistema informativo ampio e particolareggiato sull’educazione ambientale, sulla necessità di difendere questo nostro pianeta. Credo che oggi viviamo in un periodo di estrema importanza e anche di grande interesse. Assistiamo, da venti anni a questa parte, a un grande risveglio della consapevolezza e della coscienza ambientalista. Spero che Genesi rappresenti il nostro contributo a sviluppare questa consapevolezza».


Genesi, 2013 Taschen Editore

 

Chi è

Sebastião Ribeiro Salgado nasce l’8 febbraio 1944 ad Aimorés, nello stato di Minas Gerais, in Brasile. A sedici anni si trasferisce nella vicina Vitoria, dove finisce le scuole superiori e intraprende gli studi universitari. Nel 1967 sposa Lélia Deluiz Wanick. Dopo ulteriori studi a San Paolo, i due si trasferiscono prima a Parigi e quindi a Londra, dove Sebastião lavora come economista per l’Organizzazione Internazionale per il Caffè. Nel 1973 torna insieme alla moglie a Parigi per intraprendere la carriera di fotografo. Lavorando prima come freelance e poi per le agenzie fotografiche Sygma, Gamma e Magnum, per creare poi insieme a Lèlia la agenzia Amazonas Images, Sebastião viaggia molto, occupandosi prima degli indios e dei contadini dell’America Latina, quindi della carestia in Africa verso la metà degli anni Ottanta. Queste immagini confluiscono nei suoi primi libri. Tra il 1986 e il 2001 si dedica principalmente a due progetti. Prima documenta la fine della manodopera industriale su larga scala nel libro La mano dell’uomo (Contrasto, 1994) e nelle mostre che ne accompagnano l’uscita (presentata in sette diverse città italiane). Quindi documenta l’umanità in movimento, non solo profughi e rifugiati, ma anche i migranti verso le immense megalopoli del Terzo mondo, in due libri di grande successo: In cammino e Ritratti di bambini in cammino (Contrasto, 2000). Grandi mostre itineranti (a Roma alle Scuderie del Quirinale e poi a Milano all’Arengario di Palazzo Reale) accompagnano anche in questo caso l’uscita dei libri. La mostra Genesi è accompagnata dal libro omonimo (Taschen, 2013).

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