Passaggio alle Eolie: le isole grandi

Lipari e Salina

 

Il compromesso perfetto
di Francesco Maria Conte

«Se io dovessi scegliere un’isola tra le 7 delle Eolie? - chiede Carmelo Princiotta, originario dell’entroterra messinese - beh, mi è capitato 20 anni fa, e ho scelto questa». Carmelo, autotrasportatore di merci in inverno e di turisti in estate, non ha dubbi, «a Lipari c’è troppo turismo mordi e fuggi, Alicudi e Filicudi sono troppo isolate, questo è il compromesso perfetto». Salina, a soli 10 minuti di aliscafo da Lipari, è una delle isole più famose delle Eolie, specialmente per la sua malvasia e per essere stata uno dei set del film “Il postino”, l’ultimo interpretato da Massimo Troisi. «Quando stavano filmando, qui c’era un continuo andirivieni, ma lui già stava male - racconta Carmelo, che portava la colazione alla troupe ogni mattina - Peccato che il proprietario non abbia voluto trasformare la casa in un piccolo museo, come gli aveva proposto la famiglia di Troisi. La casa sulla collina davanti a Pollara è meta di almeno 400 turisti al giorno, d’estate, ma non viene sfruttata nel suo potenziale»


Salina © Francesco Conte

«Qua si viveva di agricoltura, di vino, poi è arrivato il turismo e allora anche l’edilizia andava bene», racconta Carmelo, che tra le altre cose porta sull’isola materiale edilizio da tutta Italia, «ma da qualche anno l’edilizia si è fermata, fortuna che abbiamo puntato sul turismo di qualità e quindi non abbiamo risentito troppo della crisi». Salina è un paradiso di biodiversità, dalla malvasia fino all’assenzio, che ricopre gran parte dei terreni non coltivati. L’agricoltura qui è ancora molto forte, grazie a una natura rigogliosa sin dall’antichità, tanto che i romani la chiamavano Salina la verde. Il nome Salina invece viene dal fatto che nella zona di Lingua si raccoglieva sale in abbondanza, una merce di importanza fondamentale per conservare i cibi. E fondamentale è l’acqua, di cui Salina è ricca, a differenza delle altre sei isole, che non hanno risorse idriche proprie. Nonostante la vicinanza con Lipari, Salina è l’unica a godere di una completa autonomia amministrativa, sin dal 1867, quando venne eretta a libero comune, poi diventati 3 nel 1909. «Fino a pochi decenni fa - spiega Carmelo - qui si viaggiava via barca piuttosto che attraversando l’isola, c’erano solo mulattiere ripidissime e sentieri». Nonostante i pendii e la difficoltà di movimento, Salina si è sviluppata ed è ora uno dei luoghi più dedicati al turismo di lusso nelle Eolie. E di certo è un lusso poter guardare in lontananza le eruzioni di Stromboli seduti comodamente su una terra fertile, piena d’acqua, e di vino.


Salina © Simone Prezzolini

 

L’acropoli sopra Lipari
di Nicole Contardo

«È una cittadella completa, sono seimila anni di storia che possono essere raccontati con una stratigrafia reale» spiega l’architetto Michele Benfari, dirigente del museo archeologico di Lipari. La ricchezza del patrimonio archeologico del complesso museale intitolato a Luigi Bernabò Brea arriva da molto lontano. I primi resti di civiltà risalgono al Neolitico. Sono stati l’archeologo Bernabò Brea e la sua assistente Madeleine Cavalier, nel secondo dopoguerra, a raccogliere enormi testimonianze dell’evoluzione della civiltà nelle isole Eolie. Dal corso principale, percorrendo le vie strette tra case decorate, usci aperti da cui si catturano discorsi e profumi, si raggiunge l’acropoli che nei secoli è diventata una cittadella fortificata trasformatasi poi in un parco-museo. Le mura, nate per la protezione dei liparoti dagli attacchi dei saraceni, sono ancora conservate nella loro integrità, «l’acropoli è visibile sia dal mare sia dal paese» precisa Benfari. Accolte nell’abbraccio delle mura spagnole, le sale accompagnano il visitatore attraverso il percorso evolutivo dell’uomo nelle isole. Una volta attraversate, si viene inglobati da edifici e architetture di diverse epoche e tradizioni.


Lipari, Museo Archeologico © Nicole Contardo

Si passa accanto a cinque chiese, ci si trova poi circondati da sarcofaghi risalenti al IV-II sec a.C. e tombe greco-romane sino a raggiungere l’anfiteatro, oggi utilizzato per eventi culturali. La stratigrafia con cui, secoli dopo secoli, si sono succedute le civiltà permette di ricostruire sulla linea del tempo la storia di queste e riporta alla luce 3000 tombe dal Neolitico alla fine del ‘500. Così, in successione, si ritrovano le culture neolitiche dell’età del Bronzo, quelle greche, romane, turche e spagnole. La ricchezza sottomarina e ipogea di queste isole è conosciuta e studiata in tutto il mondo ma, nonostante l’impegno e i molti progetti le difficoltà operative prevalgono. «La crisi economica - afferma Benfari - ha causato la perdita del 40% di presenze. Basterebbe far pagare un obolo da niente, mentre oggi i biglietti del museo vanno in un calderone della regione Sicilia che poi ne fa quello che vuole». La terra delle Eolie è ancora ricca di preziosi resti celati, come una masseria romana ancora custodita dai sedimenti dell’isola di cui racconta con sconforto l’archeologa Maria Clara Martinelli, guidando una visita al museo. «Non si hanno abbastanza fondi per portare alla luce e conservare con dignità tutti i reperti archeologici fin qui preservati dalla natura e allora è forse meglio che rimangano là dove stanno, sottoterra».


"Pane cunzato" © Valeria Comacchio

 

Pane, Amore e Malvasia
di Manuela Paniccia

«Daddy, daddy, come here please», è la voce della piccola Amélie, che cammina a piedi nudi nella piazzetta davanti al bar Alfredo - famoso per le sue granite e il suo pane “cunzato” che in siciliano vuol dire condito - nella frazione di Lingua accanto al laghetto dove una volta si estraeva il sale per la conservazione dei capperi e del pesce. Amélie corre verso suo padre Davide, che racconta di vivere a Salina con la famiglia durante i mesi estivi, mentre l’inverno si trasferiscono tutti a New York. Sua moglie è americana e lavora là. «A Salina i miei figli si sentono liberi, camminano scalzi e posso permettermi di perdere lo sguardo su di loro, tanto qui non può succedergli nulla, e poi l’aria di questo posto è salutare e ci ricarica per l’inverno newyorkese». Sono molti ad andare via dalle isole eolie durante l’inverno, ma a Salina qualcuno viene anche per lavorare negli alberghi o nelle aziende agricole e resta qui tutto l’anno, magari per la produzione della Malvasia delle Lipari, un vino dolce molto rinomato, oppure negli uliveti.


Salina © Manuela Paniccia

Salina è la seconda isola dell’arcipelago eoliano per estensione e popolazione, ed è l’unica divisa in tre comuni: Leni, Malfa e Santa Marina, con autonomia amministrativa da Lipari. È un’isola «completa» come amano definirla i salinesi. «Qui puoi trovare tutto» dice Clara la proprietaria dell’Hotel Signum di Malfa. «Salina è un’isola polivalente, nella quale puoi ritrovare riunite tutte le caratteristiche delle altre isole eolie. E poi la baia di Pollara è un posto speciale, malinconico e romantico» continua Clara. Pollara, conosciuta per essere stata scelta come set del film “Il Postino” è un angolo dell’isola dove si può stare per ore a osservare la linea dell’orizzonte, e salendo in cima allo scoglio a Punta Perciato si è sorpresi dalla vista di un arco naturale che sembra una proboscide di elefante che affonda nel mare. In primavera non ci sono sciami di barche attraccate nella baia, il luogo è semi-deserto. Salina assume un volto che nei mesi estivi non può essere svelato. Come il postino di Neruda registra i suoni dell’isola per farli sentire al poeta ormai lontano, prima di ripartire da qui si vorrebbe saper catturare qualcosa. Cala il sole e sale una malinconia.


Lipari © Giulia Bassanese

 

Pomice, una storia finita male
di Francesco Maria Conte

Seduto sulla sua terrazza davanti al mare di Lipari, Eugenio Saltalamacchia racconta la sua esperienza alla Pumex, società attiva nell’estrazione della pomice sull’isola fino al 2007. «Da sempre lavoriamo la pomice a Lipari, l’economia si è basata a lungo su questo», esordisce Saltalamacchia, ex capo reparto della Pumex. Saltalamacchia, condannato in primo grado nel 2010 per attività estrattiva illegale insieme al presidente di Pumex Enzo D’Ambra, è convinto delle sue ragioni: «Dicono che hanno chiuso la fabbrica per via dell’Unesco», afferma, «ma l’Unesco aveva chiesto una chiusura graduale e la riconversione produttiva, e invece che hanno fatto? Da un giorno all’altro hanno fermato tutto, lasciando senza reddito un centinaio di famiglie». Residente da sempre ad Acquacalda, Saltalamacchia costeggia la sua ex fabbrica ogni volta che prende la strada per Lipari, dall’altra parte dell’isola. «Mi fa un’enorme tristezza», dice, «non si può vivere di solo turismo. Il turismo va bene, ma bisogna pure investirci dei soldi, e come li prendi i fondi se non produci niente?». Nel 2000, quando l’Unesco ha riconosciuto le Eolie patrimonio dell’umanità, la fabbrica era ancora in piena attività, quotata in borsa e uno dei maggiori produttori di pomice al mondo.


Lipari © Francesco Conte

«Quando io ero in Pumex, nel 1989», afferma Bartolo, che non vuole dire il suo cognome, «facevamo 30 miliardi di fatturato. I jeans scoloriti li ricordi? Beh, quelli venivano fatti con la pomice di Lipari, era una potenza». Ma cosa pensa della chiusura della fabbrica? «Hanno fatto bene», dice, mostrando il lato della montagna più scavato dalle estrazioni di pomice. «Quello era un monopolio, si arricchiva uno e faceva pagare la regione. È tutto agli atti, non lo dico io. Per di più, quando hanno chiuso la fabbrica non hanno neanche pagato il tfr dei lavoratori». Eppure non si può vivere di solo turismo? «Perché no? Devi solo migliorare l’offerta. Al posto della fabbrica per esempio potrebbero mettere uno scalo di alaggio. Non ci sono posti barca a Lipari, farebbero un sacco di soldi». «Eh, è difficile dire cosa è meglio – dice Antonio Calvelli, un residente della zona – Per l’ambiente è meglio così, però per l’isola la pomice era fondamentale, si son persi lavori, e anche una parte dell’identità dell’isola. Erano 5000 anni che a Lipari si lavorava la pomice, non si può chiudere così». Nonostante i piani di riconversione dell’ex fabbrica, per ora rimangono solo stabili abbandonati davanti al mare, con le ultime consegne ancora pronte e mai inviate.


Lipari © Matteo Bertuletti

 

Hydor e Oinos
di Stefania Perrone

Elisa sorride, sale e scende per i tratturi della sua campagna, vivacemente va dalla cantina al deposito, trafelata ma felice di riuscire a lavorare sulla sua isola, a differenza di altri che sono dovuti andar via. È la proprietaria dell’azienda agricola Caravaglio di Malfa nell’isola di Salina, che continua un’antica tradizione: la produzione di vini. Parla delle vecchie usanze e quasi emozionata dice «nun si fa chiù cu li peti», l’uva non viene più pigiata con i piedi come si faceva anticamente e con aria più contenuta mostra i nuovi macchinari per scegliere i chicchi e per pressare l’uva, «ci si è dovuti adattare alle nuove norme». Gran parte della tradizione però si conserva nell’essiccazione dei grappolinecessaria alla produzione delpassito. Gli acini vengono distribuiti sui “cannizzi”, telai di legno con una rete, che si espongono al sole facendo in modo che il frutto rilasci l’acqua e tenga gli zuccheri. Qui nasce la produzione di Malvasia, vino dolce in cui quasi è possibile percepire gli odori dell’isola e i tratti particolari dell’uva che cresce in aree collinari ma vicino al mare.


Salina © Stefania Perrone

Consuetudini antiche, sin dai tempi dei greci qui si coltivano capperi e uva, che il terreno fertile rende speciali anche rispetto alle altre isole dell’arcipelago, permettendo una produzione di vini e conserve esportati in tutta Italia e all’estero. Oggi, Elisa e la sua azienda producono, oltre al Malvasia passito, vini bianchi e rossi di qualità anche con la collaborazione di Rodrigo, un architettocileno appassionato di enologia, che vive tra Boston e Salina per «stare al caldo il più possibile!». È l’acqua a rendere possibili queste colture e a rendere Salina differente dalle altre isole dell’arcipelago, fertile, a donarle un colore verde intenso e una grande varietà di piante della macchia mediterranea - quasi  inesistenti nelle brulle isole vicine, come l’erica, il corbezzolo, il caprifoglio - tanto da rendere possibile nel 1984 l’istituzione di una Riserva Naturale nell’area dei due vulcani spenti Monte Fossa delle Felci e il Monte dei Porri. Acqua e vino sembrano nutrire il carattere di questa isola, contrapposti ma strettamente connessi, come i due monti che ne disegnano il profilo, i due «gemelli» cui Salina deve l’antico nome greco, Dydime.


Salina © Tobias Marchetti

 

Un lungo inverno
di Carolina Napoli

«Qualcuno viene, ma italiani pochi» dice Marina Lo Surdo, 27 anni, confessando che quest’anno nell’albergo a quattro stelle della sua famiglia, il Mea di Lipari, sono stati costretti ad assumere meno personale. «A Vulcano hanno chiuso due strutture importanti e pochi giorni fa un altro grande albergatore di Lipari, dopo questa notizia, si è suicidato. Tutti i quotidiani italiani - conclude con amarezza - ne hanno parlato». Nell’arcipelago si registra un calo di visitatori. A metà aprile, secondo gli operatori turistici e i commercianti che operano nell’arcipelago, la “stagione” sarebbe già dovuta essere iniziata. Il clima è soleggiato e mite, e si può approfittare della calma da bassa stagione con tutti i comfort del bel tempo.


Salina © Carolina Napoli

Girando per le strade di Lipari e Vulcano si incontrano pochi turisti. I ristoranti offrono piatti a base di pesce fresco, capperi, olive e buon vino locale, ma sono quasi vuoti. I traghetti e gli aliscafi trasportano soprattutto isolani e pendolari, i turisti sono ancora pochi. Le attrazioni culturali e ambientalistiche languono tra le erbacce e senza finanze per i lavori di ristrutturazione e promozione, come il sito archeologico che si trova nell’acropoli del castello di Lipari. I resti degli antichi edifici in pietra sono immersi in un prato di camomilla. L’archeologa Maria Clara Martinelli, che cura il Museo Archeologico Regionale Eoliano “Bernabò Brea”, dice che non ci sono fondi per tenere il sito pulito. La burocrazia a quale sono costretti rallenta anche la proposta più semplice, come quella di aprire un bookshop che venda libri sul museo e sulle attrazioni delle isole. A pochi passi da lì, la Chiesa dell’Immacolata è chiusa, in ristrutturazione per l’intonaco che si stacca continuamente dal soffitto. Nonostante la passione degli addetti, si respira abbandono. L’inverno non sembra ancora finito.


Filicudi e Alicudi viste da Salina © Carolina Napoli

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