Intervista

A cura di:

Gente di fotografia
Franco Carlisi

Sguardi torna a chiedersi, e a chiedere, cosa significhi - oggi - dirigere una rivista di fotografia, quale risulti, da quel punto di osservazione privilegiato, lo "stato delle cose" del mondo dell'immagine e in particolare della fotografia come forma di espressione nell'epoca dell'affermazione della tecnologia digitale. Sguardi ha interpellato Franco Carlisi, già ospite delle nostre pagine, nella veste di nuovo direttore di Gente di fotografia, storica rivista di qualità del panorama italiano (nata a Palermo nel 1994), che per scelta degli autori, individuazione di nuovi talenti, interventi critici e testi di approfondimento sul mezzo fotografico - oltre, non ultima, a un'ottima qualità di stampa - è riuscita a diventare un punto di riferimento riconosciuto nell'ambiente fotografico.


Cover Gente di Fotografia n. 43 (Nicola Vinci)

Franco, tu sei un fotografo. Da circa un anno ti occupi di Gente di Fotografia, rivista che in 13 anni di vita si è ritagliata uno spazio prestigioso tra i periodici di fotografia in Italia. Perché sei entrato in Gente di fotografia? In base a quale progetto?
In realtà la mia collaborazione con Gente di Fotografia dura, oramai, da diversi anni. Da quando nel 1998 l'incontro con il caporedattore Vincenzo Mirisola ha posto le basi per una solida e vivace amicizia. Per cui quando, in seguito al cambiamento dell'assetto proprietario, Mirisola ed altri amici mi hanno chiesto di assumere il ruolo di nuovo direttore, ho accettato ben volentieri pensando che, attraverso una rivista, si possa cercare di fare del bene alla fotografia. Il fatto che io sia un fotografo inoltre è un valore aggiunto. Mi aspetto che a parlare di matematica il più titolato sia un matematico. Il passo da fotografo a direttore di una rivista di fotografia è stato breve e naturale. Si è trattato di passare dal vedere la vita attraverso la fotografia al vedere la fotografia attraverso la vita.


Gente di Fotografia n. 42 (Joel Meyerovitz)

Come si è evoluto Gente di Fotografia dalla sua nascita?
Gente di Fotografia è nata nel 1994 a Palermo per colmare una lacuna culturale e intellettuale all'interno dell'editoria italiana del settore. Per rispondere alla esigenza di tanti che non accettavano e non accettano di considerare una rivista culturale dedicata alla loro passione, alla stregua di un catalogo commerciale. Di certo, in tempi così superficiali, non è stato facile portare avanti una pubblicazione principalmente rivolta al mondo della cultura. Tuttavia devo dire che fin dall'inizio la rivista ha incontrato il favore di molti appassionati, professionisti, collezionisti e ha goduto della collaborazione di tanti autorevoli intellettuali. Senza tradire gli ideali del primo numero in questi anni Gente di Fotografia si è progressivamente arricchita nei contenuti e ha migliorato notevolmente la sua veste editoriale, adesso di grande qualità. Attualmente la rivista viene stampata su due tipi di carta di grammatura pesante (una patinata opaca per la prima parte dei portfolio e una patinata avoriata per la seconda parte di approfondimento culturale). Inoltre da quest'anno la rivista ha cambiato l'assetto proprietario. Adesso la proprietà appartiene a Polyorama Edizioni e questo ha apportato nuove energie e un grande entusiasmo.


Gente di Fotografia n. 42 (Marco Barsanti)

Portfolio, incontri-interviste, saggi critici, articoli di tecnica, presentazione di libri, segnalazione di mostre e rassegne. Come si riconosce, e distingue, la formula editoriale di Gente di Fotografia?
Gente di Fotografia già dal primo numero ha assunto una sua precisa identità: siamo una rivista di immagini perchè riteniamo che la libertà e il piacere delle immagini restino il fondamento della fotografia, ma approfondiamo anche una riflessione necessaria sulle poetiche della fotografia e sulle sue implicazioni sociali, filosofiche ed estetiche. Molte delle riviste nazionali parlano più di macchine fotografiche che di fotografia. Altre dicono di interessarsi alla fotografia internazionale riducendo, però di fatto, la loro attenzione alle espressioni artistiche che provengono dalle metropoli della parte privilegiata del mondo. Come se ci si potesse innamorare solo in riva alla Senna o si potesse raggiungere una particolare intensità del sentire solo all'ombra dei grattacieli di Manhattan. Anche quando si parla di fotografia cinese, molto in voga in questo momento, non si fa altro che proporre uno sguardo perfettamente omologato: fotografi cinesi che fotografano come un occidentale. Del resto questo comportamento tradisce un atteggiamento assolutamente provinciale della gran parte degli editor italiani che, se non guardassero a ciò che succede oltreoceano come un musulmano guarda a La Mecca, godrebbero di quella libertà di pensiero che gli consentirebbe di apprezzare quanto di interessante nasce e si evolve nei dintorni di casa loro. Invece ciò che esula dalla loro esperienza quotidiana e mediatica viene ritenuto esotico magari, ma comunque altro, rispetto a sé, e quindi poco interessante. Noi di Gente di Fotografia abbiamo fatto tesoro dell'esperienza dell'amico Mario Giacomelli e crediamo si possa essere grandi fotografi anche senza le k nel cognome. Da sempre abbiamo dato grande visibilità agli autori italiani emergenti che diversamente non avrebbero avuto alcuna possibilità di farsi conoscere. Molti sono i fotografi che, in questi anni, abbiamo accompagnato ad una concreta affermazione professionale attraverso la pubblicazione e attraverso le nostre rassegne. Ciò naturalmente non ci ha impedito di pubblicare le anticipazioni sulle tendenze creative a livello internazionale.


Gente di Fotografia n. 43 (Nicola Vinci)

Qual è l'idea - le idee - di fotografia che portate avanti attraverso la rivista?
Pensiamo ad una fotografia in grande vitalità che ai suoi significati specifici di documentazione e rappresentazione della realtà continua ad affiancare accezioni sempre diverse. Siamo consapevoli, infatti, che le nuove tecnologie e la globalizzazione producono un mutamento della percezione della realtà e quindi della visione. E che a ciò corrisponda una ricerca fotografica sempre più attestata sulle possibilità dell'invenzione dell'immagine che sulla ripresa della realtà. Pensiamo ad una fotografia frutto dell'interazione del fotografo con la realtà ma anche ad una fotografia come altrove dell'animo o del pensiero.


Gente di Fotografia n. 43 (Tano Siracusa)

Nel tuo ultimo editoriale scrivi "alla fotografia, per continuare ad essere, basta tornare a se stessa". Cosa intendi? In epoca di multimedialità e tecnologie sempre più rinnovate, quale pensi sia la sua specificità?
La frase che tu hai estrapolato fa parte di un editoriale che riprende la questione ormai banalizzata dell'inserimento della fotografia nel mondo dell'arte e i suoi risvolti. La fotografia dal suo apparire ha prodotto mutamenti radicali nella comunicazione e atteggiamenti stravolgenti in seno all'arte. E se per arte si intende la rappresentazione del bisogno ancestrale di porsi le domande urgenti ed essenziali sulla vita, sulla realtà e il suo contrario, la fotografia arte lo è sempre stata e contemporanea. Non si tratta quindi di stabilire se la fotografia sia arte o meno. Come dice Ferdinando Scianna se non è arte peggio per l'arte. Si tratta invece di discutere con preoccupazione del suo adeguamento al mercato dell'arte. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una devastante operazione, che ha trasformato il mondo dell' arte in un bulimico mercato dove l'opera altro non è che un bene di consumo. In questa logica mercantile gli artisti ufficiali hanno dato fondo alle pratiche decorative della moda e della pubblicità, facendosi portatori di segni perfettamente riconoscibili di un linguaggio omologato, piuttosto che essere anticipatori di fenomeni. Noi che amiamo e conosciamo la fotografia, non siamo disposti a sacrificarla all'altare dell'arte contemporanea riducendola allo stato regressivo di oggetto di contemplazione.


Gente di Fotografia n. 38 (Franco Fontana)

Cosa pensi dello stato della cultura fotografica in Italia?
In generale il mondo della cultura italiano poco si interessa alla fotografia e la fotografia italiana, tra i suoi addetti ai lavori, soffre di una quasi totale mancanza di autorità culturali. Noi esprimiamo continuamente un giudizio estetico su quello che vediamo e quindi anche sulle fotografie. Questa abitudine insieme al fatto che, come disse Nadar, la fotografia è alla portata del primo imbecille che passa, ha fatto crescere il convincimento diffuso che chiunque possa parlare ed intendere di fotografia. Così vediamo assessori promuovere, con il denaro pubblico, autori assolutamente insignificanti e uomini dotti avventurarsi nella presentazione critica di un volume fotografico con discorsi che, quando non sono vuoti esercizi di retorica, nulla aggiungono al progetto fotografico. Anche gli addetti ai lavori, curatori di mostre o direttori di musei, se non sono pagati dai privati, risolvendo il proprio ruolo ad una sorta di funzionariato mercantile, vengono nominati dalla politica, e consapevoli della precarietà del loro posto di lavoro cercano di mantenere il consenso adagiandosi sulla tendenza e proponendo opere di sicuro successo tra il grande pubblico. Vorrei chiudere questa risposta imbarazzante con una battuta di Molière: "un intellettuale cretino è molto peggio di un analfabeta cretino."


Gente di Fotografia n. 43 (Lorenzo Castore)

Parliamo dell'avvento, ormai stabilizzato, del digitale. Ha mutato il senso del fotografare?
L'avvento del digitale non investe solo la fotografia. Oggi assistiamo ad una evoluzione senza precedenti delle forme di comunicazione, di percezione e conoscenza. È una rivoluzione che impone una nuova grammatica e una nuova sintassi che stiamo cominciando ad imparare. Certo la foto giornalistica dovrà fare i conti con la cattiva coscienza delle immagini di sintesi, ma le infinite possibilità del medium porteranno molti artisti a guardarsi dentro per cercare di rappresentare, ancora una volta, ciò che si cela nella profondità dell'animo umano. Una rivoluzione tecnologica non solo da non temere, ma foriera di nuove possibilità di intendimento fra gli uomini.

Come usate il web? Internet ha cambiato il vostro modo di fare informazione?
Gente di Fotografia ha completamente rinnovato il suo sito per portare sulla rete il flusso di informazioni, di attività e conoscenze che transita attraverso la redazione della rivista, e che non potendo aspettare i tempi dell'edicola, trova nel web la sua sede ideale. Il portale aggiornato quotidianamente rappresenta un'ulteriore possibilità di anticipazione, interattività e scambio con i nostri lettori.

Gente di fotografia è anche editore (Polyorama). Che tipo di libri pubblicate? Una vostra collana di libri si chiama per esempio "Pictures only", nel senso che le immagini che vi compaiono non hanno bisogno di parole?
In un panorama editoriale nazionale che vede gli editori trasformarsi in imprenditori con le stesse ansie ed aspettative dei produttori di caramelle o lavatrici, Polyorama crede ci sia ancora posto per il coraggio, l'autenticità e la passione per l'arte. Pubblichiamo libri di grande qualità, spesso di autori poco noti ma nei quali crediamo molto. "Pictures only" è una collana di libri che presenta racconti fotografici capaci di parlare da soli alla mente e al cuore dei lettori senza l'artificio di parole che spesso impongono una lettura obbligata delle fotografie. Il fruitore del libro deve solo lasciarsi condurre dalla propria sensibilità alla scoperta delle emozioni e sensazioni che l'immagine gli può dare.

Invece una rivista è fatta di immagini e parole. D'accordo sul privilegiare le possibilità emozionali del fotografare, ma che tipo di discorso - di parole, applicate alle immagini – provate a usare? I testi sono importanti?
L'impaginazione di un libro segue delle dinamiche che nulla hanno a vedere con quelle che presiedono alla realizzazione di una rivista. In un libro un filo intimo lega le immagini, il progetto grafico stabilisce il ritmo e il racconto si affida alla forza della luce e dell'ombra. Il testo, se non è un testo critico, non deve mai intersecare le immagini. Una rivista deve essere un laboratorio avanzato. Deve essere critica, analitica e provocatoria. Deve proporre ed aprire discussioni. Deve essere un punto di incontro e di confronto. In questo caso la parola è necessaria.


Gente di Fotografia n. 43 (Luigi Vegini)

Che rapporto stabilite con i fotografi? Vi cercano, li cercate? Se c'è una preferenza, privilegiate la pubblicazione di raccolte di immagini o di lavori particolari?
Riceviamo diverse centinaia di portfolio in visione ma non rinunciamo a continuare a cercare. Una ricerca, più che di nuovi soggetti , di un nuovo modo di sentire, di guardare. Naturalmente, come tutti, anch'io ho delle preferenze ma queste non influenzano in maniera determinante le scelte di Gente di Fotografia. Abbiamo infatti istituito un comitato di redazione che seleziona i lavori da pubblicare seguendo criteri di omogeneità ed originalità. La singola foto non viene presa in considerazione. Cerchiamo lavori che esprimono valore autoriale.

 

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