Intervista

A cura di:

Istanti di umanità
Ivo Saglietti

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Il viaggio da est all' Italia © Ivo Saglietti

Ivo Saglietti ha la passione di raccontare, documentare per immagini. Prima da cineasta, poi da fotografo. Catturare "istanti di umanità", coniugando Cartier-Bresson e Eugene Smith, suoi ispiratori iniziali, con la sua sensibilità sociale, l'interesse verso mondi altri. Il prodotto è un bianco e nero asciutto, vero, lontano da ogni estetizzazione, parlante senza retorica, risposta alle domande che pone alle realtà osservata. Ha vinto diversi premi di prestigio, tra cui due volte il World Press Photo. Lo scorso 11 settembre gli è stato assegnato il Premio Giornalistico Enzo Baldoni, assieme ad altri due fotografi della Agenzia Prospekt (Luana Monte e Samuele Pellecchia), per il reportage sul Delta del fiume Niger in Nigeria.

Cos'è per te il reportage? Un genere, una vocazione, il dovere della cronaca, il racconto/ testimonianza del reale? Quali mondi ti attirano?
Il reportage è un mestiere con una profonda e radicata vocazione Umanistica: come mestiere richiede continuità, applicazione e formazione; la sua vocazione vuole cultura, linguaggio, umanità, impegno verso l'uomo e il suo destino. Con questo io mi sento "engagé". È questo ciò che semplicemente cerco in una fotografia: un istante di Umanità.

Cosa pensi del momento attuale della fotografia? Da una parte, sembra conquistare sempre più spazi di visibilità, le mostre, soprattutto quelle dei cosiddetti grandi nomi, attirano migliaia di visitatori. Dall'altra, si fa la solita fatica nel lavoro quotidiano: le immagini guidano spesso le scelte delle riviste, ma i budget, dicono, sono quelli che sono.
Si, mi sembra che la fotografia, dal punto di vista della visibilità e promozione, stia attraversando un buon momento. È vero le mostre richiamano un buon numero di persone, ogni "villaggio" organizza la sua manifestazione, i suoi workshop, si aprono gallerie e laboratori. In Italia si è arrivati tardi, come sempre, e si è arrivati con forme e attività spesso speculative. Quello su cui forse vale la pena discutere e ragionare è la qualità dei lavori e delle immagini, che mi sembra si stia affievolendo, perdendo intensità. Il digitale è agli inizi, sembra alla portata di tutti, però non ha ancora affrontato il tema del linguaggio o perlomeno di un suo linguaggio, continua ad usare il linguaggio della fotografia tradizionale (uso tradizionale, il termine analogico mi sembra offensivo). Il rapporto fotografia-giornale non è mai stato idilliaco, pensiamo ai contrasti Eugene Smith-Life, alla Magnum che nasce affinché gli autori possano controllare il proprio lavoro, ecc. Mi sembra che i fotografi sono o dovrebbere essere più staccati dal potere e più pericolosi per lo stesso, più indipendenti insomma. È fatica si sa, ma un altra vocazione di questo mestiere è la libertà.


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Otranto con il permesso di soggiorno tra le mani ex clandestini
lasciano il campo profughi
© Ivo Saglietti

Poi c'è la committenza privata o pubblica. Qual è la tua esperienza?
Oggi i "privati" sono committenti importanti, cercano te perché hanno visto il tuo lavoro, ti lasciano un buon margine di libertà e, cosa non indifferente, hanno risorse economiche. Certo si corre il rischio di collaborare con imprese coinvolte nella fabbricazione di armi o altre porcherie simili, una buona e approfondita indagine su Internet qualcosa dovrebbe svelare e con alcune imprese conosciute e riconosciute non si collabora. Con la committenza pubblica i rapporti sono sempre difficili, poche risorse, tante discussioni, poca cultura e troppi amici da accontentare.

Sei nato come documentarista e poi hai scelto la fotografia...
È vero: inizio come documentarista cinematografico e continuo come documentarista fotografico, è cambiato solo il "mezzo".
La realizzazione di un documentario come di un film richiede troppe persone e ha troppe pause. A me piace camminare, avere le scarpe inpolverate e poca gente attorno, perdo facilmente la concentrazione, e poi ci fu l'incontro con i famosi "maestri" quello fu determinante: l'emozione dello scatto.

Quali ritieni siano i principali elementi della tua ricerca, del tuo stile?
Io non so se posseggo uno stile riconoscibile, mi dicono di si. Quando realizzo delle fotografie per un reportage, o semplicemente per me stesso, è un po' come se ponessi delle domande: una buona fotografia è la risposta a queste domande. A volte ci vogliono molte domande per ottenere una buona risposta, (ecco perchè Mr. Kodak è così ricco e io no), ma alla fine è una buona fotografia quella che dovremmo stampare, perché, come sostiene Ferdinando Scianna, le fotografie non cambieranno il mondo ma le brutte fotografie sicuramente lo peggiorano.


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Albania 1999-2001 © Ivo Saglietti

A quale gruppo o generazione di fotografi, se ce n'è uno/a, pensi di appartenere?
Riconosci qualche maestro, qualche modello di riferimento?

Il primo "maestro" o meglio il primo incontro è stato Henri Cartier-Bresson, di cui tutti noi siamo un pò figli, ma le prime emozioni, le prime vere suggestioni me le ha date Eugene Smith con "Spanish Villane".
Ecco io mi riconosco in questi autori, a cui aggiungerei Robert Frank, Franco Pinna e altri. Ma la parola maestro non mi piace molto, credo che questi autori mi abbiano solamente suggerito che nella mia vita poteva esserci un'altra via, un'altra possibilità.

Prediligi il bianco e nero, ma usi anche il colore...
Si la mia fotografia è in B&N, colpa dei "maestri" forse. Ma credo che la fotografia abbia con il bianco e nero, i colori della speranza e della disperazione, la sua vera forza.
A volte devo lavorare con il colore, e non mi dispiace, a volte.


Come nascono le tue scelte? Un'idea di reportage viene da te e/o da altri? Ti affidi a un'agenzia o lavori anche senza un commissionato?

Sono membro di una agenzia tedesca, Zeitenspiegel, www.zeitenspiegel.de ("lo specchio del tempo") una cooperativa di fotografi e giornalisti, che finanzia oltretutto una scuola di giornalismo e un premio fotogiornalistico molto importante in Germania. I miei reportage sono quasi sempre legati a progetti lunghi e complessi, per esempio Landscape in the Mist, un progetto sull'inquietudine della frontiera nel Mediterraneo iniziato oramai da più di 5 anni. In generale prima fotografo, poi cerco una distribuzione, mi autofinanzio insomma.

Usi sempre pellicola o ti interessano anche le potenzialità del digitale?
Ho ricevuto in prova dalla Polyphoto, due fotocamere digitali. Sono i primi tentativi, ma per il momento sono ancora abbastanza confuso. Mi manca la stampa, ho bisogno di "toccare" una fotografia, capovolgerla, appenderla, guardarla e riguardarla, a volte odorarla. Le immagini osservate su di un monitor mi sembrano piatte, prive di profondità, forse è resistenza psicologica, forse no, per adesso sono incerto. Non mi illudo: il digitale è il presente e il futuro e mi preoccupa la sorte di alcuni bravi stampatori che hanno dato risalto e importanza al mio B&N.

Quanto conta, per te, la tecnica? Che tipo di attrezzatura utilizzi?
Devo riconoscere che di tecnica so poco, le nozioni che mi sembrano importanti hanno a che vedere con la profondità di campo, rapporti tra luci e ombre ecc. Ma tutto questo mi sembra abbia più a vedere con il linguaggio piuttosto che con la tecnica. Non mi sembra importante saperlo, però uso pochi obbiettivi 28, 35 e 50, non utilizzo zoom e preferisco le fotocamere a telemetro. Ultimamente ho acquistato una Silvestri con dorsi 6/7, la mia fede nella pellicola è intramontabile.


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Il muro di separazione tra Palestinesi e Israeliani
© Ivo Saglietti

Come imposti i tuoi workshop? Cosa tieni maggiormente a trasmettere ai tuoi allievi?
Nei miei workshop ci si alza presto al mattino e si lavora tantissimo fino a quando la luce ci aiuta. Cerco di far capire che se che una fotografia vale o meglio può valere 1000 parole, queste parole devono essere pensate e che il pensiero è sempre il risultato di un progetto culturale. Non mi importa di vedere buone fotografie dei partecipanti, difficile farle in così poco tempo, quanto mi interessa il loro impegno e il loro interesse per quella famosa Umanità di cui sopra. In genere ai miei "allievi", se intuisco potenzialità, consiglio di frequentare una buona scuola di fotografia in Inghilterra.


Nell'ambito del primo Festival di Fotografia Contemporanea di Rapallo
(dal 3 settembre all'1 ottobre), Ivo Saglietti terrà due workshop teorici-pratici che si svolgeranno gli ultimi due fine settimana di settembre:
Reportage sociale e paesaggio urbano,
23-24 settembre e 30 settembre - 1 ottobre, costo: 380.


Tra i tuoi lavori, quale ti piace citare in particolare?

Non ho un lavoro preferito, ho dei ricordi, è sempre difficile per me separare il lavoro dai luoghi, dalle persone conosciute, dagli amici che non ci sono più: è quel famoso B&N, tra l'allegria e la gioia che ho visto nelle strade di Managua il giorno della fuga di Somoza, in quel ormai lontano luglio del 1979, e
le lacrime, la tristezza e la rabbia di un nonno palestinese a cui soldati israeliani avevano ucciso il nipote di 11 anni nella Striscia di Gaza.

Quale lavoro stai sviluppando in questo periodo? Che bilancio fai e che futuro vedi per la professione del reporter?
Il progetto importante in questo momento è "Landscape in the Mist", l'inquietudine della Frontiera, una lunga missione fotografica lungo le frontiere non solamente geografiche nel Mediterraneo. Io credo di essere stato privilegiato, ho fatto quello che mi sembrava importante e lo ho fatto con il massimo della coerenza e della libertà possibile. La fotografia come il resto delle attività estetiche ed intelletuali non sfugge alla globalizzazione, alla velocità, debolezza e superficialità che caratterizzano la nostra epoca. Inutile farsi illusioni, la mia speranza è che i fotografi sappiano resistere al troppo facile, al troppo ovvio con la consapevolezza che ogni sguardo è memoria, e che nella memoria c'è sempre una qualche verità.


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Ceuta, confine Marocco-Spagna e porta di ingresso in Europa
di immigrati Sub Sahariani
© Ivo Saglietti


Chi è
Ivo Saglietti ha lavorato inizialmente come documentarista cinematografico, realizzando documentari su temi sociali, Nel 1978 è passato alla fotografia. Ha realizzato numerosi lavori fotografici e reportage giornalistici in Salvador, Nicaragua, Cuba, Libano, Palestina, Cile, Colombia, Haiti, Uganda, Benin, Tanzania, Repubblica Dominicana, Francia, Italia, Kosovo, Macedonia, Albania. Ha vinto il World Press Photo nel 1992 e nel 1999.

www.ivosaglietti.com
www.zeitenspiegel.de
 

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