American Déjà Vu

A cura di: Antonio Chiumenti

«Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa... e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire... Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi... Eppure c'era sempre uno, uno solo, uno che per primo... la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte... magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni... alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare... e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov'era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l'America. Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che l'aveva fatta lui, l'America.»

Penso spesso a queste parole. Alessandro Baricco, quasi vent'anni fa, componeva il celebre monologo “Novecento”, opera che qualche anno dopo avrebbe ispirato il regista Giuseppe Tornatore alla realizzazione del film “La leggenda del pianista sull'oceano”.

Gli Stati Uniti, come quell'America, sono senza tempo ed oggi come ieri comunicano le stesse emozioni.

Percorrerne le strade significa incontrare cose "già viste". Il cinema, la TV, la musica, la letteratura, il National Geographic, ci hanno fatto viaggiare in quel mondo fin da ragazzi. Andare lì per la prima volta a cinquant'anni e non smettere più, né di andarci né di pensarci. Questo mi è capitato.

I grandi parchi e le grandi città, le foreste e i deserti, le strade che si perdono nell’orizzonte, i motel così uguali a quelli dei film, la gente che ti chiede se hai bisogno di aiuto o indicazioni quando guardi una mappa o sei fermo al lato della strada. Quei drugstore dove c’è di tutto, quelle tavole calde con le cameriere sono proprio quelle che avevi immaginato.

Il piacere di andare “on the road” potrà sembrare l’archetipo della banalità, ma la vera essenza di questa terra non può essere compresa in altro modo.

Avere con me una macchina fotografica è qualcosa di inscindibile dal viaggio in generale, ma qui… uno spostamento di poche ore può durare tutta la giornata: quelle rocce, quei cartelli pubblicitari, quei camion colorati, quell’incrocio di strade nel nulla ti sfidano e tu non puoi tirarti indietro.

Si perde sempre quando raccogli certe sfide. Mai l’immagine è pari all’emozione, ma con queste immagini porterò a casa un pezzo di memoria. Che non perderò.
Se poi giri per New York sei letteralmente travolto dal déjà vu e dalla voglia di catturare immagini non banali. È difficile! Scarpe comode, gambe in ordine e occhi aperti.

Cerco di avere poco peso con me quando sono in giro. Ho una certa età: quindi due corpi e due obiettivi: una Nikon D300 e una D7000, il nuovo AF-S DX Nikkor 18-200mm F/3,5-5,6G ED VRII (sia benedetto!) e un AF-S DX Nikkor 10-24mm F/3,5-4,5G ED. Spesso giro solo con il 18-200mm e un corpo macchina. Lascio a casa la vecchia D70. Ormai ha viaggiato abbastanza.



 

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