Parlare con i cervi

A cura di: Riccardo Camusso, Moreno Pellegrin

di Riccardo Camusso e Moreno Pellegrin

Per un fotografo naturalista, ci sono due appuntamenti cui non si può mancare, o arrivare in ritardo: il matrimonio e la stagione dei bramiti dei cervi.
Chiunque ami la vera caccia fotografica sul campo – disciplina ben diversa dai semplici “ritratti” di animali – inizia a preparare la reflex per la fine dell’estate, cioè quando inizia la stagione degli amori dei cervi e il bramito. Uno spettacolo naturale che la Natura mette in scena, ogni anno, in molte zone dell’Italia Centro Settentrionale e non solamente nei più celebrati paradisi oltre confine. Oggi, in Italia, specialmente nei mesi di settembre e ottobre, si possono ascoltare i bramiti in tutto l’arco alpino e in numerose vallate dell’appennino. Vale quindi la pena di approfondire questo argomento in chiave emotiva, strategica e tecnica fotografica.

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Ancora a buio, ci affacciamo sulle ben note arene dei cervi. La nebbia avvolge il fondovalle, ma il bosco risuona del bramito dei cervi. Lo abbiamo ascoltato mille volte, ma è sempre un’emozione nuova, diversa. Dal punto panoramico dominiamo tutto il bosco e possiamo persino “scegliere” il maschio che vogliamo avvicinare; ci guida il timbro della sua voce. Così inizia, ancora una volta, la magìa dell’avvicinamento ai grandi maschi che stanno radunando il proprio harem, e che devono difenderlo dai giovani pretendenti. Sembrerà assurdo, ma l’esperienza ci porta spesso ad instaurare un vero e proprio “dialogo” con questi maestosi ungulati che popolano numerosi le foreste italiane.
Seduti al riparo di un grande larice, ci invade un profondo senso di pace. Nel bosco c’è un silenzio quasi irreale, che è stato rotto, per un momento, soltanto dalla nostra presenza.
I rumori del fondovalle, che prima ci avevano infastidito, ora non si odono più.
Stiamo ascoltando la voce dei cervi.
La mente libera da ogni altro pensiero.
Come sempre, usiamo la nostra fedele reflex: per alcuni anni è stata la magica D90, ma ci stiamo appassionando ora anche alla D5100, che sembra fatta apposta per il bramito e per la fotografia naturalistica. Contrariamente a quanto consigliano i “professori” della fotografia, settiamo – come e più di sempre – la reflex in P* flessibile; nel bosco dei cervi, le condizioni di luce e ombra cambiano a ogni passo: preferiamo concentrarci sullo scatto e sul soggetto, senza perdere la testa nei menu e nelle regolazioni. Con il P* flessibile, siamo tranquilli che – in ogni condizione – avremo la giusta coppia tempo/diaframma, sempre; e ci riserviamo di variare (con la ghiera) questi valori soltanto nelle rarissime condizioni in cui questo si riveli veramente utile.

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Poco distante, un sottile rumore prende corpo: sappiamo bene cosa significa questo rumore: al limite del bosco, un capriolo esce in pastura. Le narici larghe aperte ad ogni alito di vento, le orecchie mobili spalancate che interrogano lo spazio, due occhi da antilope pieni di mistero e di profonda dolcezza. Non è in allarme, perché nulla intorno a lui suona di pericolo e il nostro odore non può giungere al suo olfatto: è la sua innata prudenza, che ha bisogno di segni rassicuranti per iniziare a brucare l’erba saporita.
Immersi nei pensieri e nell’ascolto dei bramiti, non ci accorgiamo quasi più dello scorgere del tempo: l’occhio non va all’orologio, ma al sole che comincia a lambire il versante opposto, tingendo le cime di rosa. Ci aspetta ancora un’ora di ombra, in queste arene dei cervi, ma aspetteremo senza problemi il momento in cui il sole inizierà a filtrare tra larici e abeti, in fuggevoli giochi di luce.
Un’attesa, tuttavia, piena di suggestioni e di magia: in ogni stagione, le ore precedenti lo scollinare del sole significano una grande attività, nel bosco.
Noi siamo quì per questo. Vogliamo “parlare” con i cervi.
Anche per questa ragione, insistiamo con il nostro amato Programma che risolve ogni cambio di luce facendo tutta da sola; se, poi, saranno necessarie piccole compensazioni di esposizione, o un diverso bilanciamento del bianco, lo faremo in postproduzione RAW, dando sfogo alla nostra fantasia e creatività.
Il bramito è come un gioco d’azzardo: non si può mai prevedere il giorno esatto in cui inizierà, la luce che avremo quando lo vedremo, e così via; troppo numerose sono le variabili in gioco. Meglio, molto meglio concentrarsi sulla messa a fuoco e sull’attimo dello scatto.

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Lontano, più in alto, un suono cupo, roco – assolutamente inconfondibile – risuona nel bosco.
È il momento di muovere verso di Lui.
Un po' infreddoliti, sistemiamo il sacco sulle spalle e iniziamo ad accorciare il più possibile la distanza, ora lunga e tortuosa, fra noi e quel “rumore”.
All’inizio, camminiamo spediti, salendo lungo il crinale, e ci fermiamo soltanto per localizzare, in modo sempre più preciso, la fonte del suono che si ripete ad intervalli abbastanza regolari. Quando questo diventa più forte e più preciso, accendiamo la reflex e cerchiamo di alleggerire il passo: ogni rumore (sbagliato) può vanificare l’avvicinamento.
Circa i rumori, sappiamo bene che dobbiamo immedesimarci nella situazione; nel senso che ci sono suoni “concessi”, che non fanno fuggire il cervo e ce no sono altri che lo mettono in fuga; sappiamo che bramito è il momento dell’anno in cui i cervi maschi sono meno diffidenti, ma sono pur sempre animali selvatici che nulla sanno degli (da noi odiati) recinti.
La distanza – ora – si è ridotta. Le nostre soste, si fanno più lunghe, in attesa di una “risposta” e di una conferma dall’altra parte. Evidenti, fresche, sul terreno le tracce di grandi zoccoli.
Nei passaggi più complicati, ci stupiamo – ogni volta – come grandi e ingombranti palchi possano perforare una boscaglia così intricata. È straordinario, poi, constatare come, nella stessa orma ci siano molte zampe. Numerosi animali, una sola pista. Zampe nelle stesse orme dell’animale che precede.
Finalmente, soltanto una piccola altura ci separa dal bramito del cervo. È il momento più delicato. Fino ad ora, non abbiamo sbagliato nulla, ma adesso che, pur non vedendo ancora il cervo, ne ascoltiamo – forte e nitido – il roco bramito, ogni errore si paga.
Immobili sui nostri passi, studiamo il terreno circostante.

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Occorre trovare la via più comoda, più riparata e soprattutto più silenziosa per “scollettare” senza farci vedere, senza farci sentire. Cerchiamo di avanzare – al rallentatore – nei momenti del bramito, che può creare una certa copertura, pur se sappiamo bene che il rischio maggiore sono le femmine dell’harem, il cui senso di prudenza è più sviluppato nel periodo del bramito.
Il nostro cuore batte all’impazzata, e temiamo che il cervo lo senta.
Avvicinando il cervo dal basso, la caccia fotografica offre, comunque, un vantaggio: le corone del palco, che stanno ben sopra gli occhi dell’animale, si materializzano nel bosco assai prima che Lui ci veda; tenendo il terreno tra noi e i suoi occhi, possiamo localizzare il punto preciso dove si trova il cervo. Colmata così questa breve, ma interminabile distanza, riusciamo a contare le punte in corona. Il movimento ritmico del palco durante ogni bramito rappresenta per noi il primo, emozionante impatto con il maestoso ungulato. È il coronamento di un avvicinamento appassionante, che ci proietta quasi fuori dal mondo, nel silenzio e nella pace profonda del bosco.

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In modo lento, maestoso, il cervo ruota leggermente la testa interrogando lo spazio intorno a lui. Ogni sua cura non è difensiva, in questi momenti: nessun maschio deve avvicinare l’harem.
A intervalli regolari, portando la corona fin quasi sulla schiena, la bocca aperta e protesa in avanti, il collo teso nello sforzo, il cervo emette il suo grido di amore e dominanza. Profondo, forte, cupo e roco, inconfondibile. Il cervo bramisce il proprio bisogno di grandi spazi, il proprio dominio sulle femmine e il suo inderogabile possesso del territorio. Bramire – per il cervo – è attirare, scacciare e provocare nello stesso tempo; prima, durante e dopo la conquista, la sera, la notte, il mattino e talvolta nella parte centrale della giornata, nel momento dei propri anni migliori.
Dopo aver scorto le corna, ma non ancora l’animale, ci dobbiamo fermare, immobili come statue; il gioco è fatto e lo spettacolo che la Natura ci offre in questi momenti è davvero straordinario. Tutto ciò, a volte, può durare anche molto a lungo: la difesa e la prudenza sono armi meno importanti per il cervo in bramito. La sua assoluta priorità non è quella del cibo, ora, ma quella di tener ben radunate le femmine, di non disperderle e di allontanare in modo perentorio e violento i giovani o chiunque intenda contendergli questo dominio.
Null’altro conta – per il padrone dell’harem – durante il bramito.
Arriva così il momento di scattare le foto. Tante foto, fra cui sceglieremo quelle “giuste”, quelle più vive e possibilmente con il cervo a bocca aperta. Per fortuna, i movimenti dell’animale non sono mai bruschi e troppo veloci (eccetto i momenti di confronto con un altro maschio): tempi da 1/125” in sù sono più che sufficienti nella stragrande maggioranza dei casi. Al diaframma, ci pensa il Programma. Se e quando la luce e/o le ombre del bosco non lo consentono, ci affidiamo al fedele autoscatto remoto.

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Immedesimandoci nel bramito, e senza pensare ai menu, possiamo anche tentare un vero e proprio “dialogo” con il cervo in bramito. Poco importa il tipo di richiamo (anche se il corno di bue è quello più vicino al timbro del bramito): fondamentale, invece, è la scelta dei tempi e dei modi.
In Austria e in alcune foreste europee, usano differenziare le tonalità del “bramito” umano rivolto ai cervi; con diverse tonalità, cioè, si dovrebbe ottenere uno specifico “bramito” per ogni diversa situazione. Esistono quindi “bramiti” di richiamo che imitano il grido di un cervo giovane: questi stimolano e provocano l’aggressività del maschio dominante, che quindi si avvicina alla fonte del richiamo pensando di trovarsi di fronte un pretendente all’harem da scacciare.
Allo stesso modo, ci sono precise tonalità per imitare il “flip” della femmina, o del piccolo, o del “bramito” di dominanza e così via. A questi virtuosismi sonori, comunque, noi preferiamo concentrarci sui tempi e sui timbri del “bramito”, e basta.
Il suono della nostra voce che attraversa il corno di bue (o anche una semplice bottiglia di plastica tagliata; o una conchiglia, o semplicemente le due mani chiuse davanti alla bocca..) deve essere innanzitutto credibile ed eseguito solo in sinergia con l’”interlocutore” nel bosco. Non dobbiamo illuderci che il nostro richiamo faccia arrivare al nostro punto di appostamento cervi provenienti da lontano; ci basta, invece, che il cervo accetti il nostro avvicinamento, scambiandolo per quello di un altro cervo, e che quindi sia disposto a infrangere (o veder infranta) la distanza di sicurezza.

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Molto si discute, fra gli amanti della caccia fotografica, circa gli obiettivi “migliori”. In realtà, tutto dipende dal tipo di “caccia” che ognuno predilige. In altre parole, si può andare alla “cerca” dei maschi in bramito, facendoci guidare dai suoni, oppure attendere alla “posta” l’uscita dei cervi nelle arene di bramito. Due strategie differenti e due corredi fotografici diversi.
La “cerca”, fortemente emotiva, regala (relativamente) corte distanze e un buon numero di incontri, ma sempre difficili da finalizzare fotograficamente; è il regno del medio tele zoom (come un 200-400mm; o anche un 80-200mm.), da brandire a mano o al massimo con un leggero monopiede.
La “posta”, al contrario, deve in genere affrontare distanze importanti e difficilmente offre un gran numero di incontri, ma è assai più facile finalizzarli bene in fotografia. È strategia che si avvale dei supertele (da 500mm. in su) oppure del digiscoping (abbinando alla reflex un telescopio da osservazione terrestre).
Chi sceglie - per il bramito - una strategia “mista” (cerca imframezzata da diverse poste) non potrà avere attrezzature troppo pesanti e, al massimo, può andar bene un tele da 300mm. o un tele zoom. Le delusioni insite in questa tecnica ibrida sono all’ordine del giorno. Si è tentati di “inseguire” il bramito e/o attendendolo in punti precisi delle arene, ma non è sempre facile e ciò comporta una conoscenza assolutamente perfetta del territorio.

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Giunge la sera.
Dopo queste emozioni, che abbiamo fermato nella testa e/o in un file fotografico, scendiamo.
Gli alberi salgono verso di noi, come una mano che si tende.
Dal bosco, emergono il campanile del paese, i campi, le case, l’odore di fumo e quella luce che si accende lontano, come se ci chiamasse.
Dei cervi, abbiamo le superbe immagini racchiuse - per sempre - nella scheda di memoria della fotocamera. Le emozioni sono state forti, sempre.
Abbiamo “parlato” con loro, e questo ci basta.
L’eccitazione degli incontri fatti, le emozioni tuttora calde e vive sono ancora dentro di noi. La maestosità dei cervi è un’immagine che rimane a lungo nella nostra mente e nella scheda di memoria. La priorità, ora passa al ViewNX2, dove rivedremo e risentiremo il bramito per cento, mille volte. Questa è la vera magìa della caccia fotografica al bramito.


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