Cinque giorni, un’estate: da Torino a Venezia in bicicletta.

A cura di: Gianluca Dalmasso


Dietro è la casa, davanti a noi il mondo, e mille sono le vie che attendono, sullo sfondo.
JRR Tolkien, Il signore degli anelli

L’idea di percorrere in solitaria un itinerario di più giorni in bicicletta mi frullava in testa da un po’ di tempo. L’occasione è arrivata un giorno dello scorso inverno quando mia moglie Cristina disse che a inizio settembre sarebbe andata a Venezia per la 79ª edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica.
Un lampo, ecco l’occasione: l’avrei raggiunta al Lido di Venezia partendo dal cortile di casa, a Torino!
Dunque, individuata la meta e la data del viaggio, bisognava iniziare a dare forma all’idea, trovare un percorso, documentarsi, pianificare le tappe e allenarsi, cosa non trascurabile: ancora non sapevo che l’estate 2022 sarebbe stata la più lunga e calda degli ultimi venti anni.

I giorni successivi alla genesi dell’idea (per il momento gelosamente segreta) sono passati consultando forum e blog, scorrendo il dito su mappe e carte.
La logica dice che il Po è la via da seguire, o meglio, una delle possibili vie: le sue sponde sono infatti percorse da diversi tracciati ciclabili che, seguendo il suo fluire, conducono all’Adriatico attraverso l’intera Pianura Padana. Ecco quindi Ciclovia del Po, Ciclovia VENTO, Euro Velo 8, un tratto della Via Romea Francigena (l’Eurovelo5), fino alla Ciclovia AIDA che corre a ridosso delle Prealpi passando per Milano, Brescia, Verona e Mestre.
Leggendo scopro che per lunghi tratti le varie vie si incrociano, spesso si sovrappongono, spariscono a favore di tratti di statale o strade provinciali, per poi riprendere il loro percorso. Non sarà facile.

Resto fedele al primo pensiero ed escludo quindi la ciclovia AIDA. Inizio così a preparare un itinerario di massima su Komoot: pedalerò il più possibile lungo il Po, coinvolgendo di volta in volta le varie ciclovie. Nel corso dei mesi ho rivisto il tracciato molte volte, al fine di ottimizzare il chilometraggio ed escludendo, dove possibile, giri troppo serpeggianti e complessi o strade troppo trafficate. Alla fine, il responso prevede 555 km, che decido di suddividere su cinque giorni.
Vedremo.
È il momento di svelare alla famiglia il progetto: l’entusiasmo di Cristina, Giulia e Stefano mi scalda il cuore, faranno il tifo per me (e per le mie gambe) anche se da lontano. In quei giorni, infatti, Cristina sarà già al Lido, Giulia in vacanza in Puglia e Stefano al lavoro in Calabria.

La Surly Disck Trucker carica durante una sosta - Foto di Gianluca Dalmasso
Un Ibis Sacro in volo sulle risaie - Foto di Gianluca Dalmasso

Giorno 1: da Torino a Sartirana Lomellina (Pavia) 103 km (+15) - Domenica 4 settembre 2022

Il sabato passa ad allestire il materiale (circa 30 Kg) ed equilibrare le quattro borse, una verifica veloce della tenda da viaggio, sistemare le ultime cose sulla mia fidata SURLY e caricare i vari device, tra cui la Nikon Z 30 che mi permetterà di documentare il percorso.
Cerco di riposare, i prossimi giorni saranno intensi, ma come sempre avviene alla vigilia di un’avventura, la tensione tiene gli occhi aperti fino a tardi.

La sveglia suona presto e, dopo un’abbondante colazione, trasporto il materiale in cortile ed è finalmente ora, le prime pedalate in una Torino ancora silenziosa mi portano prima a salutare i miei genitori, e poi a mettermi definitivamente sulla rotta, destinazione finale Lido di Venezia.
Attivo il navigatore GPS che, impostato in modalità risparmio energetico, sarà il mio solo compagno di viaggio per i prossimi giorni trillando in prossimità delle svolte e avvisandomi (spero) di eventuali errori di percorso. I primi chilometri scorrono rapidi, mi lascio alle spalle San Mauro, Settimo Torinese, Chieri, Verolengo, Crescentino. Da qui inizia una tratta più selvaggia, su sterrati che corrono in prossimità del Po.

La velocità media rallenta al crescere delle difficoltà date dalla qualità della superficie ciclabile. Mi fido del GPS, che non segnala errori, anche se non trovo nessun tipo di segnaletica… Sarà giusto così, ma qualche dubbio affiora. La risposta arriva implacabile dopo diversi chilometri. Una curva cieca nasconde un imprevisto non da poco: un guado, probabilmente non estremo in condizioni diverse, ma non praticabile col mio carico e, data la quantità di fango argilloso presente sulle sponde.
Cerco di mantenere un atteggiamento zen, la mappa indica effettivamente dei rii che portano acqua ai campi circostanti, ma immaginavo ci fosse il modo di scavalcarli senza dover fare Tarzan. Scendo dalla bici e perlustro l’area ma non trovo un’alternativa per aggirare l’ostacolo, devo tornare indietro. Opto per risalire sulla statale e recuperare almeno in parte il tempo perso. L’errore costerà alla fine 15 faticosi chilometri e più di un’ora di tempo buttata via. Il traffico, nel frattempo, è aumentato cosa che alimenta non poco il disagio emotivo causato dalle auto (e dai camion) che mi sfrecciano a fianco: sono pochi quelli che si scostano verso sinistra, molti quelli che sfiorano le borse.

Passata la ex centrale nucleare Enrico Fermi di Trino Vercellese (una visione quasi surreale), il GPS torna sulla traccia originale e il percorso si snoda tra le risaie il cui verde intenso fa contrasto con l’azzurro limpido del cielo. Il caldo aumenta e l’umidità toglie il fiato. Le uniche forme viventi che incontro per decine di chilometri sono aironi (garzette di un bianco intenso, aironi bianchi maggiori, guardabuoi e cenerini), ibis sacro, poiane in caccia e… zanzare, nuvole di zanzare anch’esse in caccia che tentano in tutti i modi di fermare la bici per cibarsi del malcapitato ciclista solitario.

Le gambe girano bene, i chilometri si snodano, la serenità data dalla routine aumenta permettendo alla testa di liberarsi dai pesi accumulati. Scavalcato il fiume Sesia entro ufficialmente in Lombardia, o meglio nella Lomellina. Raggiungo Breme, l’iniziale meta odierna e mi concedo una birretta gelata. Durante la sosta decido di proseguire per alcuni chilometri oltrepassando Sartirana Lomellina, dominata dal bel Castello Visconteo risalente alla fine del 1300.
Sono le 18:00, mi fermo e inizio ad allestire il campo per la notte, una nuova routine. Montata la tenda ed effettuata una pulizia corporale (sommaria) sono pronto per preparare la cena: riso ai funghi, carne in scatola, dolce e frutta. Stranamente le zanzare tacciono, ma presto scopro che è solo una tregua dovuta al cambio di guardia tra quelle diurne e quelle notturne. Un magnifico tramonto mi accompagna dolcemente durante la cena. Sono le nove (e tutto va bene), buonanotte!

La centrale nucleare Enrico Fermi di Trino Vercellese - Foto di Gianluca Dalmasso
Il campo al tramonto nei pressi di Sartirana Lomellina - Foto di Gianluca Dalmasso

Giorno 2: da Sartirana Lomellina (Pavia) a Guzzafame (Lodi) 109 km (+35) - Lunedì 5 settembre 2022

La notte scorre tranquilla, dormo il meritato sonno di chi ha fatto il suo dovere. La sveglia suona alle 6:15, faccio l’appello e pare che tutte le parti del corpo rispondano in modo corretto. Esco dalla tenda e stendo il sovratelo ad asciugare dalla condensa notturna. L’alba mi vede impegnato nei preparativi della colazione: pane e marmellata, frutta e una barretta proteica. Ricompongo il carico sulla bici e parto. Nella notte ho utilizzato il power bank per ricaricare telefono e GPS, sono in rotta e connesso.

Raggiungo Lomello e mi concedo la seconda colazione in stile Hobbit: caffè e un paio di croissant appena sfornati. Ricarico le borracce e le due bottiglie di scorta con acqua fresca e procedo nella routine diurna: pedalare, pensare, guardare. Ripetere.
Il paesaggio varia poco dal giorno precedente: risaie a perdita d’occhio, intervallate ora da campi di soia. Canali e rogge portano acqua ovunque, creando geometrie spigolose e luccicanti nella luce tersa del primo mattino.

Ancora nessun segnavia, mi rendo conto che senza GPS sarei fermo al palo: una cartina tradizionale forse sarebbe stata difficile da seguire e mi avrebbe obbligato a moltissime soste. La strada su cui pedalo è per lo più sterrata, sconnessa e faticosa, in alcuni tratti mi ritrovo al limite dell’equilibrio, obbligato a tenere gli occhi fissi sui pochi metri che precedono la ruota al fine di evitare cadute. Salvo il barista taciturno durante la breve pausa caffè non incontro nessuno: i paesi che attraverso sembrano abitati da fantasmi.

A mezzogiorno raggiungo Pavia e mi fermo per una pausa nei pressi del ponte coperto sul Ticino. La zona è molto pittoresca: lungo il fiume sorge un borgo di casette colorate dove un tempo vivevano le lavandaie che si recavano al fiume per lavare i panni. In loro memoria è stata posta una suggestiva statua in bronzo.

Il ponte coperto sul Ticino a Pavia - Foto di Gianluca Dalmasso

Attraverso il ponte e percorro un breve tratto per le vie trafficate di Pavia quindi torno in aperta campagna, lungo la confluenza tra Ticino e Po. Con grande sorpresa individuo le indicazioni della Via Francigena: eleganti targhe di marmo bianco incise col simbolo del pellegrino poste direttamente sulla sterrata. Finalmente una conferma visiva oltre ai pixel colorati del GPS! Raggiungo Belgioioso, in particolare un bellissimo borgo dal sapore medievale nei dintorni della chiesetta di San Giacomo della Cerreta. Sono sulla Via Francigena, il posto tappa per i pellegrini è molto organizzato: docce, lavatrici, una sala comune in cui riposare e condividere le avventure. Ne approfitto per fare il carico d’acqua, rinfrescarmi e rilassarmi un po’: è l’una del pomeriggio e il caldo veramente soffocante. Scopro con disappunto che la colonnina di ricarica per i device non funziona, un pellegrino inglese mi dice che sono tutte nelle stesse condizioni: molti comuni hanno tagliato la corrente. Dovrò quindi risparmiare elettricità, il power bank che uso principalmente per il GPS è agli sgoccioli, il telefono è invece abbastanza carico.

Proseguo su sterrate sconnesse, braccia e schiena iniziano a risentirne, come pure la velocità. Il Po in questa zona fa parecchie anse e molte strade e tratturi si incrociano a formare un reticolo di difficile comprensione. Manco a dirlo, il GPS si blocca di colpo. Tento un riavvio senza successo. Mi affido allora al cellulare ma non c’è campo. Decido di seguire una via a mio parere logica: scoprirò solo a sera di aver allungato il percorso di ben 35 chilometri!
La confluenza del fiume Lambro obbliga a una lunga deviazione verso Nord, non ci sono ponti in questo tratto del fiume. Giunto a Lambrinia mi concedo una sosta e una birra gelata. Pedalo fino a raggiungere la Strada Provinciale 234 che grazie ad un ponte permette finalmente di scavalcare il Lambro e rimettermi poi in carreggiata. Sono le 19 quando raggiungo Guzzafame: mi trovo sull’argine sinistro del Po, la zona è molto tranquilla, ragion per cui trovo un posto adatto e procedo con la routine serale allestendo il campo per la notte.
E qui accade una cosa che mi lascia piacevolmente sorpreso: un automobilista con la moglie al fianco oltrepassa il mio campo quindi torna indietro, e in un italiano con chiara inflessione dell’est mi chiede se abbia bisogno di cibo, acqua o altro, è disposto ad andare a casa e tornare se solo mi pronunciassi su qualcosa. Educatamente declino, ho tutto quel che mi serve, ma quest’atto di gentilezza mi scalda il cuore.
Sono le nove e trenta (e tutto va bene), buonanotte!

Segnavia sulla Via Romea Francigena - Foto di Gianluca Dalmasso
Tramonto nei pressi di Guzzafame - Foto di Gianluca Dalmasso

Giorno 3: da Guzzafame (Lodi) a Casalmaggiore (Cremona) 96 km - Martedì 6 settembre 2022

La notte scorre tranquilla, la sveglia mi richiama all’ordine alle 6:30. Rifaccio l’appello prima di mettermi in piedi: tutto ok anche oggi. Procedo con la routine mattutina, smontaggio tenda, colazione e allestimento bagagli. Avrei voglia di un caffè: Google Maps segnala un bar a pochi chilometri, opto per la deviazione. Mi addentro nel centro abitato (poche case sonnacchiose stile far west) ma dell’agognato bar non c’è traccia.
Sconsolato faccio dietrofront e incontro un signore che passeggia nei pressi della chiesa: è il gestore del bar parrocchiale (ecco perché non c’è insegna) che gentilmente si offre di aprire e preparami un caffè sebbene, sottolinea, non sia l’orario corretto.
Il caffè è veramente tremendo, ma lo bevo comunque. Scambiando quattro chiacchiere, scopro che i pochi bar di queste zone difficilmente aprono prima del tardo pomeriggio, gli abitanti sono tutti impegnati dall’alba al tramonto al lavoro nei campi e non hanno il tempo per una sosta. Chiacchieriamo un po’ e il barista mi fa compagnia con un bicchiere di Bonarda dell’Oltrepò Pavese: il buongiorno si vede dal mattino.

Rieccomi sull’argine del Po, la strada è asfaltata solo a tratti, nei pressi dei piccoli centri abitati, per il resto la via è decisamente faticosa. Altro neo è la totale mancanza di ombra, procedo per decine di chilometri sotto un sole feroce senza trovare un riparo. Per avere una breve tregua devo sfruttare l’ombra stiracchiata che le chiome gli alberi (per lo più pioppi che corrono però più in basso) proiettano sul ciglio dell’argine.

I chilometri si srotolano tra campi di mais e soia, intervallati da canali e rogge che portano acqua a una terra davvero assetata. Sono seriamente preoccupato per la corrente, i device iniziano a chiedere una ricarica che non ho più. Nei pressi di Stagno Lombardo (Cremona) incontro due ragazzoni olandesi anche loro in rotta verso Venezia: sono furiosi e frustrati, mi spiegano che sono completamente senza corrente da un giorno intero e sono quindi costretti a seguire una cartina stradale che non ha abbastanza dettaglio per seguire l’incrocio complicato della ciclovia. Facciamo un tratto di strada insieme sfruttando ciò che rimane nel mio GPS poi, tra imprecazioni incomprensibili, mi salutano e abbandonano di colpo la via per spostarsi, dicono, su strade più battute e segnalate, in cerca di una sistemazione che permetta loro di ricaricarsi. Non li incrocerò più, peccato perché la grossa bandiera della pace che sventolava sulla bici di uno dei due oltre a dare un po’ di colore alla pianura assolata, mi metteva decisamente di buonumore. Mi ritrovo nuovamente solo e a riflettere: nel resto d’Europa il cicloturismo è una pratica molto diffusa, ho letto di ciclovie molto ben attrezzate, dotate di posti tappa, segnaletica comprensibile e facile da seguire, tracce GPS ufficiali ben costruite e corrette. Forse noi latini siamo un po’ indietro nonostante abbia letto che la Ciclovia del Po ha i potenziali per attrarre cicloturisti da tutta Europa.

Il GPS si spegne di colpo, da qui in poi dovrò procedere usando il cellulare, non è il massimo a livello di comodità. Arrivato a Casalmaggiore cercherò di risolvere il problema. I chilometri scivolano via, viaggio sempre sull’argine del Po ma da alcuni chilometri, finalmente su un asfalto decente quindi cerco di spingere sui pedali un po’ di più. Nei pressi di Casalmaggiore abbandono l’argine e scendo nella cittadina. Sono le 17:30, per le strade pochissime auto e ancor meno persone.
Incrocio un signore che gentilmente mi indica dove trovare un bar aperto, mi avvisa però che la stragrande maggioranza delle attività sono ancora chiuse per ferie.
Raggiungo il bar speranzoso ma il barista si rifiuta di ricaricare il telefono, né il GPS e tanto meno il power bank: a suo dire non è un servizio che un locale è tenuto a fare, neanche pagando il disturbo come da me proposto all’inizio della richiesta. Resto un po’ perplesso e francamente sono deluso dai modi.
Il tempo passa, cerco un altro locale ma le saracinesche chiuse non permettono di affrontare il discorso. Si fanno le 19 e il cielo si sta rannuvolando: cerco un B&B, telefono per chiedere se hanno posto per un cicloturista, ma, una volta raggiunto, mi dicono di non aver posto per custodire la bici che dovrà restare per strada legata a un palo. Sono nero, non posso pensare di lasciare il mezzo per strada: se venisse danneggiato o, peggio, rubato sarebbe la fine dell’avventura.
Fuggo sull’argine e procedo per alcuni chilometri verso Viadana (Mantova) in cerca di un posto per la notte. Trovato un luogo abbastanza riparato subito sotto l’argine, avvio la routine serale, sono nervoso e in ansia. Rimando tutto a domattina una volta raggiunta Viadana. Chiudo la zip della tenda e lascio che il mondo si spenga. Sono le dieci e trenta (e tutto va quasi bene), buonanotte!

Where the streets have no name - Nei pressi di Castelnuovo Bocca d'Adda - Foto di Gianluca Dalmasso
Sono perplesso e deluso dopo il rifiuto del barista - Foto di Gianluca Dalmasso

Giorno 4: da Casalmaggiore (Cremona) a Felonica (Mantova) 108 km - Mercoledì 7 settembre 2022

Notte decisamente movimentata: verso mezzanotte quattro ragazzi in motorino che corrono sull’argine individuano la tenda illuminandola coi fari. Sbircio dalla zip e li vedo fare evoluzioni, un sabba fumoso e oltremodo chiassoso, ma sono stanco e ancora nervoso, opto per restare chiuso in tenda. Il cellulare è ridotto ad un esiguo 4% di carica. I quattro dopo qualche urlo non comprensibile se ne vanno. Problema risolto mi dico, ma capisco subito il motivo della ritirata: inizia a piovere copiosamente, il tempo è cambiato nelle ultime ore.
Cerco di riaddormentarmi concentrandomi sul ticchettio delle gocce sul telo della tenda e far così passare le ore che mi separano dalla sveglia, che implacabile suona alle 6:30. Apro la zip, non piove più ma il cielo sembra non promettere regali: nuvole e nuvoloni si inseguono rapidi e la luce tarda ad arrivare. Procedo nella mia solita routine un po’ più complessa data la tenda bagnata (e la bici, le borse ecc.) dopodiché riparto in direzione Viadana.
Lungo la strada una pioggerellina leggera mi tiene compagnia per qualche chilometro.

Entrato in una città stile zombieland temo la debacle della serata precedente, ma, mentre cerco di orientarmi, un passante mi chiede se ho bisogno di informazioni: lui sta andando a fare colazione nel bar di un suo amico e mi invita a seguirlo. Come prima cosa chiedo al barista se sia possibile caricare almeno il cellulare. A risposta affermativa (ma GPS e power bank no...), ordino la seconda colazione: caffè, due croissant caldi e un succo d’arancia. Tra chiacchiere da bar (sport in genere, rugby in particolare, lievi accenni alla politica italiana e alle prossime elezioni) termina anche la ricarica, non sono più isolato. Prima di lasciare il bar, contatto un B&B di Felonica chiedendo ospitalità per la notte e precisando subito che non posso lasciare la biciletta incustodita: la risposta è che avrò letto, cena, colazione e la bici sarà al sicuro. Molto bene! Nel frattempo, le nubi se ne vanno e torna un sole più rovente dei giorni passati.

Riprendo la mia via sull’argine del Po e mi trovo ad attraversare il fiume in direzione Brescello (Reggio Emilia), proprio la Brescello dei romanzi di Guareschi e dei film di Don Camillo e dell’Onorevole Peppone, tante volte visti in televisione. Il ponte è lunghissimo, il Po corre placido e mi sento decisamente bene, le gambe girano alla grande: sono ufficialmente in Emilia-Romagna.

Viadana, il Po verso Brescello - Foto di Gianluca Dalmasso
Brescello, la statua al sindaco Peppone - Foto di Gianluca Dalmasso

La strada sull’argine è asfaltata, il che permette una velocità media decente (19km/h). Giunto a Luzzara, mi fermo per una pausa e scopro che questa cittadina ha dato i natali a Cesare Zavattini, giornalista, scrittore, pittore e sceneggiatore di grandi film del neorealismo italiano quali Ladri di biciclette, La ciociara, L’oro di Napoli, per citarne alcuni. Avrò di che parlare con gli amici che mi aspettano al Film Festival!

Lasciata Luzzara alle spalle, rientro in Lombardia: qui il confine regionale segue le anse del Po quindi mi troverò più volte a sconfinare tra le due regioni. L’ambiente bucolico è molto rilassante, il fiume vicino e tranquillo diffonde un senso di serenità: sembra in salute, il livello dell’acqua pare decente, non incontro le secche drammatiche viste in televisione nei mesi passati. I campi circostanti sono in piena attività: trebbiatura del mais e sempre più spesso vedo mastodontici trattori che concimano e arano il terreno preparandolo per l’inverno. Ovunque contadini che si muovono indaffarati sotto al sole.

I chilometri scorrono, l’obiettivo di una cena seduto al tavolo e di un letto per la notte danno energia al corpo. Giungo al B&B Corte Nigella alle 18:45.
L’accoglienza è calorosa, entro in possesso della stanza e mi concedo una doccia ristoratrice. Sono il solo ospite, così mentre ceno (grazie ancora alla signora Germana per le tagliatelle al ragù da sogno, il roast beef e l’insalatina dell’orto, il tutto accompagnato da un vinello rosso) il proprietario si intrattiene a chiacchierare.
Si informa sul mio percorso e sulla meta, poi parte in una lamentela tirata circa lo stato di incuria della ciclovia: sempre più spesso, infatti, raccoglie lamentele di cicloturisti, stranieri e non. Cerco di consolarlo dicendo che verso il Piemonte è molto peggio, ma insiste sulla mancanza di segnaletica, sulla scarsa ospitalità riservata dai suoi concorrenti (ne so qualcosa...) e soprattutto sulla mancanza di infrastrutture riservate ai viaggiatori. Su questo punto siamo entrambi d’accordo. In tutto il viaggio l’approvvigionamento d’acqua è stato un grosso problema, ho dovuto più volte abbandonare la traccia principale e come un rabdomante, andare alla ricerca di fontanelle pubbliche spesso difficili da trovare e in parecchi casi non funzionanti. Non parliamo poi dell’elettricità.

Mi ritiro in stanza, ricarico i device, apro la tenda per farla asciugare e mi addormento come un sasso. Sono quasi le undici (e tutto va benissimo), buonanotte!

Da qualche parte sull'argine del Po verso Felonica - Foto di Gianluca Dalmasso
La Rocca Possente a Stellata di Bondeno - Foto di Gianluca Dalmasso

Giorno 5: da Felonica (Mantova) a Chioggia (Venezia) 108 km (+25...) - Giovedì 8 settembre 2022

La sveglia suona alle 6, durante la notte è piovuto e il cielo non promette meraviglie. Oggi conto di chiudere l’avventura e arrivare a Lido di Venezia, rispettando così il programma originariamente progettato. Sarà una bella tirata. Ricompongo il bagaglio e consumo un’abbondante colazione. Salutati i gentilissimi proprietari del B&B Corte Nigella, risalgo sull’argine del Po e rapidamente raggiungo Stellata di Bondeno (Ferrara) dominata dalla Rocca Possente, una fortezza estense dalla caratteristica pianta a forma di stella che ha dato il nome al paese di Stellata. In questa zona si incrociano i confini di tre regioni: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Attraverso il Po spostandomi sul suo argine sinistro ed entro ufficialmente in Veneto.

Sull'argine destro del Po in direzione Chioggia - Foto di Gianluca Dalmasso

La solitudine è completa: non incrocio nessuno se non qualche auto e camion che, durante i giorni lavorativi, possono transitare sull’argine, chiuso al traffico veicolare solo il sabato e la domenica. L’unica presenza fedele che ostinatamente continua ad accompagnarmi è l’ombra che proietto sull’asfalto. D’improvviso un’upupa, sbucato da un cespuglio alla mia sinistra, mi taglia la strada e quasi atterra sul manubrio della bici: è un uccelletto appariscente e bellissimo, fiero della cresta stile punk che lo rende facilmente riconoscibile. Ho bisogno di sentire una voce amica, ma moglie e figli sono impegnati, quindi chiamo Enrico, un amico di vecchia data; chiacchieriamo per un po’, poi riparto.
I chilometri si srotolano, il Polesine è zona d’acqua, i canali e le opere per il loro controllo sorgono un po’ ovunque. Scopro che il termine chiavica (più volte letto sui cartelli segnaletici) in idraulica ha un significato diverso da quello negativo che normalmente gli attribuiamo: sono strutture (anche possenti come alcune che ho incrociato) dotate di paratie mobili che regolano l’afflusso e il deflusso delle acque da e verso il Po. Giungo a Polesella (Rovigo) e incontro Villa (Ca’) Morosini, risalente al ‘500: fu dimora estiva del Doge di Venezia e colpisce per l’imponente scalinata centrale che anticamente scendeva sull'argine del Po, che essendo oggi notevolmente innalzato rispetto all'epoca di costruzione, ne sacrifica l’imponente e solitaria bellezza.

La strada scorre veloce, raggiungo Bottrighe, quindi nei pressi di Cavanella Po scavalco due canali uno dei quali su un ponte mobile interamente in acciaio. Mi ritrovo in una zona industriale, chiuso tra l’Adria International Raceway e l’immensa Cartiera del Polesine in piena attività. Per mia fortuna, la traccia abbandona rapidamente questa zona fumosa e il tragitto prosegue tra canali e canneti, fino a costeggiare il corso dell’Adige che attraverso nei pressi di Cavalla d’Adige.
Da un po’ di chilometri la direzione del mio viaggio è cambiata da EST a NORD e Chioggia si avvicina rapidamente. Il percorso prevede alcuni chilometri lungo la Via Romea: il traffico è decisamente convulso, auto e camion corrono molto veloci, la cosa è stressante e devo prestare molta attenzione.

E d’improvviso ecco il cartello che annuncia l’ingresso nel comune di Chioggia, proseguo ed entro nel centro della città. Un automobilista alla mia sinistra mi dà il bentornato alla civiltà stringendomi pericolosamente contro il marciapiede: la borsa anteriore sfrega violentemente contro il cemento, cosa che procura un foro che dovrò poi riparare. Rischio di cadere rovinosamente, mi fermo stordito mentre l’automobilista mi sta insultando infuriato: a suo dire avrei dovuto dargli strada, lasciandolo svoltare a destra ovviamente tagliandomi la strada. Il tutto avviene nel disinteresse generale dei numerosissimi pedoni e degli altri automobilisti.

Sono le 16:30, c’è confusione (o forse non sono più abituato), ma d’improvviso la strada termina, di fronte a me c’è il Mare Adriatico! Corro al botteghino per acquistare il biglietto del vaporetto e scopro che non c’è una tratta diretta verso il Lido di Venezia, dovrò raggiungere prima l’isola di Pellestrina percorrerla nella sua interezza, quindi imbarcarmi per Lido con scalo in località Alberoni e anche qui percorrere l’intera lunghezza dell’isola per raggiungere il Camping San Nicolò, destinazione finale del viaggio. In totale si tratta di 25 chilometri da aggiungere alla tappa odierna già parecchio lunga. Mea culpa, devo aver frainteso le informazioni raccolte prima della partenza, ma tant’è. Scrivo un messaggio a Cristina avvisandola della nuova condizione: gli amici hanno organizzato per le 21 una cena a base di frutti di mare e mi aspetteranno. Attendo il vaporetto, mi imbarco un po’ in trance e raggiungo Pellestrina. Il resto del percorso prosegue in compagnia di due ragazzi tedeschi, abbiamo la stessa meta. Giunti a Santa Maria del Mare ci imbarchiamo sul traghetto che, oltre a qualche autovettura, trasporta due autobus che fanno la linea ad anello Lido-Pellestrina. Ci sistemiamo in coda agli automezzi e gli addetti all‘imbarco non ci fanno pagare la tratta. Scendiamo e ripartiamo subito. Seguo a ruota i due tedeschi che però sono molto giovani e baldanzosi, accelerano progressivamente lasciandomi in breve al mio destino solitario.
Proseguo dunque così, solo come sono partito, il mio viaggio. Da lontano vedo Cristina che mi aspetta nei pressi del campeggio: ricongiungersi è piacevole e scalda il cuore.
Sono le 19:30 e tutto va bene, anzi benissimo. L’impresa, la mia impresa, si chiude così: dopo cinque giorni intensi non c’è più strada su cui pedalare.

Villa (Ca’) Morosini a Polesella - Foto di Gianluca Dalmasso
Sul vaporetto per Pellestrina - Foto di Gianluca Dalmasso

POST SCRIPTUM

Nel corso del viaggio ho constatato la violenza con cui crisi economica, pandemia e siccità di quest’estate si sono abbattute su questa zona d’Italia: ho incrociato un po’ ovunque attività economiche chiuse, case e cascine in piena decadenza, campeggi e cantieri in evidente stato di abbandono, campi riarsi di cui difficilmente si potranno raccogliere i frutti. Una lunga processione di lapidi a futura memoria delle difficoltà che stiamo attraversando e che probabilmente continueremo a vivere.
Tornato a casa, ho riflettuto a lungo sul senso che abbia oggi viaggiare da soli e su cosa mi abbia lasciato questa esperienza.
Ho capito che non serve necessariamente raggiungere l’altro capo del mondo per vivere un’avventura: la Pianura Padana è uno dei centri più popolosi e industrializzati d’Italia ma, cercando e adattandomi, ho trovato una natura bella e rigogliosa, seppur profondamente addomesticata dall’uomo; ho assaporato silenzio e solitudine quasi fossi un esploratore di inizio secolo. Occorre aver voglia di mettersi alla prova, organizzare il più possibile lasciando al caso ciò che non è prevedibile, poi uscire di casa, partire e vedere cosa succede passo dopo passo o, nel mio caso, pedalata dopo pedalata.

Un discorso a parte vale la pena farlo per la solitudine: se da un lato è più semplice e veloce essere i soli a decidere, dall’altro è più difficile farsi carico di tutte le scelte, semplici o complesse che siano. Non avere nessuno con cui condividere un panorama, un incontro occasionale, una sensazione, obbliga a immagazzinare nella memoria molte informazioni cercando di non distorcerle col passare dei giorni e lascia spazio all’introspezione.
Ho scoperto che il corpo umano è una macchina prodigiosa, capace di adattarsi al caldo e alla fatica, alla fame e alla sete e che la testa è il vero centro di controllo che permette tutto questo: se impone alle gambe di proseguire, anche quando queste vorrebbero fermarsi, i chilometri continuano a crescere e l’orizzonte a cambiare rendendoti piacevolmente orgoglioso di ciò che stai facendo.

Alla fine di tutto, credo che una rinnovata capacità di adattarsi sia ciò che conserverò gelosamente per i mesi a venire.
Adattarsi a dormire in tenda con un materasso di pochi millimetri sotto alla schiena dopo 120 chilometri di pedalate, pare una cosa da pazzi, ma vi assicuro che il sonno arriva comunque, si dorme meglio del previsto e la mattina dopo si è pronti a ripartire.
Adattarsi alla gentilezza che è il vero regalo che ti possa fare il prossimo, ricambiandola senza il timore di apparire fragili.
Adattarsi all’insensibilità del prossimo, ai NO che non ammettono replica e ti costringono e trovare velocemente un’alternativa per cavarti d’impaccio.
Adattarsi al silenzio cui non siamo più abituati, riscoprendo il piacere di poche parole scambiate con un estraneo.
Adattarsi agli errori che si possono commettere e che, nel caso di un viaggio, si traducono spesso in dietrofront stressanti e chilometri aggiuntivi.
Ritornato alla quotidianità lavorativa, un conoscente mi ha detto che sorrido molto di più del solito. Bello non vi pare?

RESOCONTO

Ufficialmente ho percorso 599 chilometri (errori compresi) in cinque giorni. Il tracciato originale ne prevedeva 555.
Volutamente non ho tenuto conto dei chilometri spesi in cerca d’acqua o di un bar, né di quelli sprecati per raggiungere inutilmente il B&B a Casalmaggiore.
In totale ho attraversato 4 Regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto) e toccato 12 Province (Torino, Vercelli, Alessandria, Pavia, Lodi, Piacenza, Cremona, Mantova, Reggio Emilia, Ferrara, Rovigo, Venezia).
Durante il viaggio ho speso 90,00€ compresivi di una notte in B&B a Felonica, frutta fresca, un paio di birre, due colazioni e il vaporetto da Chioggia verso Pellestrina.
Il rientro a Torino è avvenuto in automobile.
Un paio di grazie sentiti vanno agli amici di Bicierin per la messa a punto della bicicletta che non ha perso un colpo e a mia figlia Giulia per la revisione del testo.

Lascio a disposizione la traccia GPX originale per quanti volessero consultarla o, perché no, cimentarsi.

Venezia dal traghetto verso Mestre - Foto di Gianluca Dalmasso

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