La Dakar con la Nikon D600

A cura di: Giusy Concina

Un’esperienza indimenticabile, attraverso le Ande argentine e cilene, dove ogni chilometro percorso è stato una scoperta e a volte una sofferenza, per le tante difficoltà incontrate.

Abbiamo iniziato questa avventura per seguire la famosa gara automobilistica Dakar 2014 in partenza da Rosario, in Argentina, e arrivo a Valparaiso, in Cile, dopo 14 giorni e 9.250 km di strada. Abbiamo attraversato paesaggi belli e suggestivi, percorso piste molto dure, oltrepassato le dune più alte del deserto di Atacama e le miniere nascoste tra i cactus delle alte cime andine.

Il viaggio è stato preparato con estrema cura. Dopo aver messo a punto il veicolo a trazione integrale, è stato il momento del bagaglio a mano: uno zainetto fotografico, al cui interno, oltre al laptop e agli accessori vari, ha trovato posto la Nikon D600, accompagnata da due obiettivi, un AF Nikkor 14mm f/2.8D ED e un AF-S Nikkor 24-120mm f/4G ED VR.

Abbiamo così immortalato i momenti speciali, vissuti in un ambiente magico, caldo e coinvolgente, ma allo stesso tempo freddo e complesso. Le giornate si susseguivano a velocità incredibile. Poche ore di sonno, sulla branda, nel campo base, assieme a tutti i camion officina, dove i meccanici lavoravano sulle auto da gara.

La nostra Toyota ha richiesto più di un intervento e molto spesso, pensare alla gara, al paesaggio e alla fotografia, non è stato possibile. L’umore, sotto i piedi, contribuiva a colorare l’ambiente intorno a noi di un brutto grigio. L’accordo con i meccanici spagnoli e il lavoro da loro svolto sul motore dell’auto, ci hanno permesso di riprendere in mano la situazione poco prima di raggiungere la base per l’ascesa delle Ande e l’attraversamento della frontiera tra Argentina e Cile, attraverso il Paso de Jama.

Per l’ennesima volta, la sveglia suona in piena notte. Con il buio si impacchetta tenda, branda e sacco letto, poi si fissa il materiale elettronico nella parte posteriore dell’auto, dove due casse in carbonio riparano lo zainetto fotografico e il suo contenuto.

La polvere, la sabbia e il fango, sono perennemente presenti, e in grande quantità. Un caffè nero e un termos, fanno parte della routine mattutina. Le luci dell’auto illuminano parcamente il tracciato che andiamo a percorrere. Le prime quattro ore di marcia sono ancora al buio.

Il tempo non è eccezionale, la giornata sembra iniziare male, con quattro gocce di pioggia. Ma il percorso è ancora lungo e ci sono 725 km per salire e scendere da 2000 m a 5.120 m. E poi di nuovo giù, sino al mare, nella provincia di Calama.
Stanchezza, euforia, curiosità, voglia di guidare e di arrivare, sono gli stati d'animo più evidenti a bordo, ma poi una grande sorpresa: l’aurora, con i suoi colori ancora seminascosti. Poco dopo l’alba e i colori si fanno brillanti. L’aria rarefatta rende ogni cosa più netta, chiara, forse brillante.

Anche senza il GPS, ci rendiamo conto che l’altitudine è elevata. L’auto soffre la mancanza d’aria nella combustione e noi proviamo difficoltà a respirare quando ci fermiamo per ammirare il paesaggio.
La prima sosta ci regala una veduta mozzafiato attraverso le saline piovigginose. Fa freddo. Tra i brividi e i colori non estremamente illuminati, la Nikon D600 fuoriesce per le prime foto: una panoramica con l’obiettivo 14mm fisso, poi altre panoramiche con il 24-120mm, poi ancora chilometri, chilometri e chilometri. Mentre percorriamo zigzagando questa lunga pista d’asfalto nero, il tempo fa le bizze. La pioggia diventa incessante per un tratto, poi all’improvviso cessa.

Le nuvole corrono veloci e il cielo diventa una sorta di telo bianca dove il sole dipinge le sue opere speciali, calde e coinvolgenti, che ci fanno dimenticare la stanchezza e le fatiche finora sopportate.

Gli effetti dell'altitudine si fanno sentire quando a 4.800 m ci fermiamo a guardare il panorama e a chiacchierare con alcune persone che vivono quassù e vendono i loro manufatti di pietra e di lana di lama. Una signora, dal tipico volto andino, è contenta di darmi consigli su come gestire l’altitudine e mi fa provare un miscuglio di erbe da masticare (tipo il tabacco) dal sapore amaro. Da queste parti lo chiamano “puna” e in teoria dovrebbe attenuare l’effetto della quota. Se funziona o meno, non l’ho ancora capito.

Niky, così ho chiamato la mia compagna di viaggio, si è adeguata invece subito e ha scattato molto. Inquadrature varie, a scatto singolo, quasi a voler creare un puzzle da ricomporre una volta scaricate le foto sul Mac.

Alla frontiera tra Argentina e Cile, ci fermiamo di nuovo, posso scattare ancora, e giocare con i cani del poliziotti, splendidi Labrador che controllano ogni auto in transito. Tra i prodotti proibiti ci sono frutta e verdura e questi animali sono molto bravi nel loro lavoro. Conosciamo le regole e quindi non abbiamo nulla di alimentare in auto, tranne acqua e Coca-Cola, bibita molto utile per l’altitudine. Superiamo il controllo e ripartiamo.

Abbiamo ancora 260 km prima di raggiungere il bivacco di Calama. Il paesaggio, mentre scendiamo, cambia, grazie anche allo scorrere delle ore.

La luce ci permette di assaporare il deserto di Atacama nel pieno dei sui caldi colori. Non c’è un confine netto tra le montagne e le dune, ma la sabbia si insinua tra il verde e il terreno roccioso delle Ande.

Qua e là, qualche cactus si staglia verso l’alto e sembra che ci stia salutando. Un saluto che ci accompagna in ogni momento, nelle emozioni che riviviamo quando guardiamo le fotografie scaricate, foto che abbiamo scattato con programma manuale, scegliendo gli ISO in base alla luce che avevamo a disposizione.

Abbiamo catturato questo magico mondo nel modo più tradizionale possibile, poiché la natura qui è stata generosa: a noi non è rimasto altro che ammirare a bocca e soprattutto a occhi aperti.

Metodi di pagamento: