Decaironman

A cura di: Elisabetta Caracciolo

di Elisabetta Caracciolo

Li chiamano “Iron Man”, uomini d'acciaio, ma in realtà dal di fuori sembrano tali e quali a noi. Quando li si incontra per la prima volta, al briefing prima della gara, fra una colazione e l'altra, sembrano padri di famiglia, impiegati, persone semplici, ben lontane dallo stereotipo del supereroe o del palestrato tutto muscoli scolpiti. Poi ci parli insieme e scopri che hanno vite normalissime, come il tuo vicino di casa o il tuo postino, che viaggiano insieme alle loro famiglie, mogli, figli, fidanzate, amici.
Ma è nella passione che sta la differenza. Nella passione che anima le loro menti, i loro sguardi, la loro caparbietà, la voglia di lottare, di arrivare fino in fondo, di non mollare mai, neanche quando cadono svenuti o camminano sbilenchi, o ancora quando il dolore ai piedi non è più sopportabile.
Sono arrivati in Sicilia in 19, da ogni parte del mondo, a fine settembre. Accompagnati dai genitori, come al primo giorno di scuola, o dalle mogli, statue di pazienza e comprensione, dai figli affettuosi e dagli amici. Solo 12 dei 19 sono arrivati alla fine, dopo dieci giorni.

Foto di Alessandro Zanatta

Questo è il “Decaironman”, per la prima volta in Sicilia, a Pergusa, frazione di Enna: 3,8 chilometri a nuoto, equivalenti a 152 vasche da 25 metri, 180 km di corsa in bicicletta e poi 42.195 metri di maratona. Questo è l'equivalente di un singolo “Ironman”, ma loro lo hanno fanno per dieci volte, per dieci giorni di seguito.

Ogni mattina si sono svegliati alle 6:30, hanno fatto colazione e hanno raggiunto la piscina di Enna Bassa in pulmino. Ci hanno messo circa un'ora, a volte un po' di meno, a volte un po' di più, per coprire la distanza a nuoto e poi si sono cambiati e si sono trasformati in ciclisti. 7 chilometri di strada statale e poi via, dentro l'Autodromo di Pergusa. 36 giri di un circuito in asfalto da circa 5 chilometri, per sei ore, a volte di più. Poi ancora un altro cambio di vestiti e via per la corsa a piedi, sperando di non finire con il buio: una mera illusione.

È il buio infatti, oltre alla fatica, il nemico peggiore, quello che attacca la mente, specie quando il fisico indebolito cerca le motivazioni e gli stimoli giusti nei meandri più nascosti del cervello.
La solitudine è il secondo nemico di questi atleti che viaggiano tutti con la musica nelle orecchie, cuffiette indossate a volte anche in piscina, per combattere il silenzio, il rumore del proprio respiro, che dopo un po' diventa troppo simile a un rantolo.

Foto di Alessandro Zanatta

La solitudine e la depressione hanno portato gli atleti, al terzo giorno di gara, a chiedere un cambiamento di percorso: nel lungo circuito di Pergusa alla sera giravano a piedi per 5 chilometri, passando intere ore da soli, senza vedere anima viva: destabilizzante per la mente.
Così hanno chiesto di ridurre il percorso a un chilometro, da percorrere nei due sensi, in modo tale da incontrarsi con gli altri e dare la possibilità agli occhi, nel buio, di scorgere una figura amica.
Al buio sì, perché l'autodromo non è illuminato e loro correvano con il solo ausilio delle lampade frontali, fatto salvo il rettilineo dei box, una sorta di paradiso con i suoi punti ristoro, gli amici con cui scambiare due parole, a cui chiedere un panino, la luce.

Hanno finito in 12 e questo è già un record perché nelle quattro edizioni precedenti era andata diversamente: nel 2006 a Monterrey, in Messico, su 19 partenti ne arrivarono al traguardo solo 9 e nel 2009 solo 11 raggiunsero la fine.
1x10 (Uno per Dieci) lo chiamano gli addetti ai lavori e molti di loro hanno già affrontato anche il “Double Deca”, cioè il tutto moltiplicato per 20. Ma questa è un'altra storia.

Il primo a mollare dopo soli due giorni di gara è stato Hildeberto Villa, atleta del Mexico, preso da un mal di gola che non gli permetteva di respirare, facendolo quasi affogare, alla mattina, in piscina.
Dopo, ha ceduto il magrissimo Stephen Johnson, canadese, che ha cercato di resistere ma fra vesciche ai piedi, dolori alle gambe e grande stanchezza ha deciso di fermarsi.
Poi è stata la volta dell'italiano Paolo della Patrona che in realtà non aveva mai pensato di poter finire l'impresa. Ha concluso quattro Ironman di seguito e questo per lui è stato già un ottimo traguardo. È rimasto, così come gli altri ritirati, per seguire i suoi colleghi e amici, per assisterli in pista, per girare con loro e tener compagnia durante la bici o la corsa a piedi.
Dopo Paolo c'è stata Leslie Holton, americana, della Virginia, letteralmente svenuta. Al buio, durante la corsa a piedi, ha ceduto nel punto più lontano dai box. L'hanno trovata gli altri atleti, riportandola di corsa e sotterrandola di coperte per scaldarla e farla riprendere. Il suo cuore grande la spingeva a ripartire, ma i medici sono intervenuti ed hanno detto di no, fermando la sua gara, ma non il suo inarrestabile buonumore.
Il quinto giorno hanno ceduto anche il tedesco Arnold Wiegand, che in quel momento era in testa alla classifica, bloccato da uno stiramento e la ceca Sarka Kolbova, svenuta in acqua, durante l'ennesima vasca e tirata fuori di peso da uno degli organizzatori.

Foto di Alessandro Zanatta

L'ultimo a ritirarsi è stato lo svedese Kari Martens, 55 anni, con un discorso che ha commosso tutti. Personal trainer nella vita di tutti i giorni, quest'uomo ha subito un anno fa un incidente stradale spaventoso – era stato investito mentre era in bici – ed è sopravvissuto per miracolo. È tornato a gareggiare – alle sue spalle un secondo e un quarto posto nei precedenti 1x10 – ma in Sicilia ha trovato condizioni climatiche difficili e i dolori al collo, postumi dell'incidente, lo hanno rallentato, portandolo a finire spesso intorno a mezzanotte.
Martens ha abbandonato – dolori a parte – per non costringere la sua famiglia, sua moglie Petra e suo figlio Oliver, a patire il freddo in autodromo insieme a lui diventato troppo lento. E mentre lo diceva tutti avevano i lucciconi agli occhi. Però è rimasto, ad aiutare gli altri, a superare i tanti momenti difficili, come il freddo, calato impietoso su Enna e su Pergusa a metà gara.

Il cambiamento delle condizioni meteo, con il passaggio dalla piena estate all'inverno (5°C di pomeriggio come temperatura massima e neve sull'Etna) ha creato non pochi problemi agli atleti poco attrezzati per far fronte al freddo: alcuni hanno utilizzato coperte, striscioni pubblicitari e sacchi dell'immondizia per improvvisare vestiti e maglie con le maniche lunghe.
Alla fine, 12 di loro ce l'hanno fatta, e il più veloce è stato il 38enne Kim Greisen, danese, che ha percorso tutto in 119 ore e 33 minuti.

Alessandro Zanatta, 38 anni, della provincia di Treviso è l'autore della maggior parte delle foto di questa edizione del Decaironman. Era alla sua prima esperienza del genere anche se fotografo sportivo da oltre dieci anni. Le sue macchine: una Nikon D200 «incredibile per i colori che ha saputo rendermi», come afferma lo stesso Alessandro, una Nikon D300, le ottiche 70-200mm f/2.8 e 17-55mm f/2.8, e il flash SB-900 impiegato in moltissime situazioni visto che parte delle gare si svolgeva in notturna. “Non ho riscontrato grosse difficoltà tecniche in questo evento – racconta Alessandro – se non a livello emotivo perché l'Ironman è uno sport che ti travolge e coinvolge moltissimo in prima persona e in qualche occasione, lo ammetto, l'emozione ha avuto il sopravvento sullo scatto”.

Foto di Alessandro Zanatta

Gli orari della gara erano difficili. Sveglia alle 6:30 e poi tutta una tirata fino all'una di notte: “In piscina ho contrastato l'effetto mosso, dato dalla scarsa luce e dai riflessi sull'acqua, ma spesso ho cercato e ottenuto l'effetto del movimento, quindi una foto non statica”. In pista, sul circuito, era un'altra musica: “In pista si lavorava bene, spesso seguendo gli atleti in macchina e in questo modo mi sono anche protetto dalla pioggia e dalla grandine, cadute quasi ogni giorno. Ho escogitato coperture di fortuna in plastica, sul momento, con il cellophane, ma quando ho potuto, ho cercato di lavorare al coperto, appunto dentro le auto. Il buio poi è stato il peggior nemico. Mi sono trovato obbligato a giocare con il flash inventandomi anche delle soluzioni alternative, come il flash appoggiato per terra, dalla parte opposta rispetto all'angolazione della foto”. Ottimo poi il Battery Pack, anche in funzione dei forti cambi di temperatura. “Temevo che l'umidità e il freddo mi scaricassero le batterie in fretta e invece grazie al Battery Pack in dieci giorni ho ricaricato solo due volte, le batterie. Ne sono rimasto sorpreso favorevolmente”.



Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
Foto di Alessandro Zanatta
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