Frammenti di muro nei Decumani 

A cura di: Luciano Scateni

di Luciano Scateni

 

Nei giorni che precedono la tracimazione di un anno e l’esondazione nel successivo, a Napoli i decumani sono ingombri di uomini, donne, bambini, cani, artisti di strada, Pulcinella con tammorra, code di napoletani e turisti in attesa di gustare pizze, calzoni, frittelle, raramente muso e brodo di porco, zucchero filato e caldarrosto.

Meglio defilarsi. A destra e a manca di Spaccanapoli, le strettoie che per enfasi campanilistica si chiamano vicoli, hanno muri sbrecciati, graffitati, imbrattati da un giorno o da molti decenni. Raccontano storie, lamenti, avvertimenti, minacce, rivendicazioni, incuria e abbandono, arte istintiva, sfregi involontari e segni consapevoli.

Dice una donna curva su se stessa, capelli bianchi come le neve e occhi spenti dalla fatica: “Che facite, fotografate ’e mure sgarrupate?” “Sono un po’, molto matto – le dico impappinandomi - sono innamorato dei muri”. Furba risposta: mente e dice al tempo stesso la verità.

Sfido con palese impudenza gran parte dei pittori moderni a rinnegare la qualità pittorica di questi segmenti d’intonaco e di tufo, testimoni permanenti del processo che vede alla sbarra la Napoli del disamore protervo per le sue peculiarità.

La Nikon fibrilla tra una cattura e l’altra di calce smangiata e mattoni pieni, rossi come la ruggine, biondi come grano al sole, fiammeggianti se a un niente dal tramonto, neri come la morte, blu notte, giallo oro.
Un poeta di strada sparge rime ogni dove, Giorgio tira fuori dal violino pensionabile le note di “Bianco Natale”; a Port’Alba, Bruno e Maria frugano nei contenitori delle bancarelle il libro dono a pochi euro per Nicola, pargolo di anni otto e tre mesi.

E’ un andamento insolito questo infilarsi nelle stradine a valle “dei Tribunali” dove il pieno di pastori, presepi e statuine con le sembianze di Berlusconi, Ratsingher, Lavezzi e Di Pietro, incontra frotte di viandanti tedeschi, francesi e russi che abusano delle loro fotocamere digitali, di coca-cola light, birre e pizzette al taglio.

All’imbrunire, ore di stanca dopo il lungo girovagare a piedi, Napoli è sottratta, ma solo in parte, allo “struscio” e i muri conquistano visibilità, proiettano sull’obiettivo colori, parole, segni: diventano un album, da sfogliare come un libro d’arte contemporanea.

Napoli per chi fa della macchina fotografica un prezioso prolungamento degli occhi, Napoli è magìa, anche nei suoi sbrindellati frammenti di storia, perciò di vita. La mia Nikon li ha resi visibili con lo stupore dell’imprevisto, dello choc energetico che fa premere sul pulsante del clic con forsennata energia o, suo contrario, con i ripensamenti del caos calmo che precede l’intuizione.

Luciano Scateni Luciano Scateni

Nikon? Una vita fa è il tempo dell'appassionata relazione con il nome che ha scandito la scoperta della magia proposta dall'immagine.
È cominciata come vuole la letteratura riservata agli iniziati: mille foto delle compagna di vita, duemila della primogenita con il culetto all'aria, i primi passi incerti, il salto di qualità della pappina a integrazione della poppata.
Ingenuità, dilettantismo, approssimazioni, la decisione di capirne di più, l'inizio di sinergie con la pittura e tuffi pressoché quotidiani nella genialità raccontata dall'editoria di settore con le monografie dei grandi. Di qui l'escalation.
Una mini Nikon di solo automatismo, obiettivo fisso e meccanica elementare, il salto di qualità della F65 e con il prepotente avvento del digitale il gioiello della D60 che non si è mai sottratto alle suggestioni delle sorelle maggiori professionali, ma senza eccessi di invidia per chi può consentirsi di imbracciare quei monumenti di perfezione.
Dicono che l'esito del rapporto amoroso con la fotografia che indaga la vita trasformi, poco a poco, la "camera" in un prolungamento mentale e fisico dei sensi.

È assolutamente vero. Senza la D60 a tracolla vivrei l'identico disagio del bagnante in costume in una spiaggia di nudisti.
È difficile definire Il dialogo permanente con la mia Nikon: non so più se sono io a dettarle criteri di scelta, angoli di esplorazione, invenzioni e letture alternative inventate per muoversi nell'appassionante ma arduo territorio della creatività.
So, che vagando nel dedalo di viuzze e direttrici dominanti della Napoli antica, la mia Nikon ha rifiutato l'oleografia, elementare segno di idiosincrasia per un insopportabile dejà-vu, ma anche le "belle immagini" di monumenti e tesori d'arte, il folklore che ammalia il turista di bocca buona, le facce di personaggi che monopolizzano la curiosità dei sociologi.

Frammenti di muri, questo mi ha chiesto di catturare la D60, storie istintive scritte dal caso, dall'incuria, dall'estro inconsapevole di una Napoli con la vocazione a sorprendere e in questo caso a mettere in concorrenza una galleria d'arte moderna, ricca di magie fotografiche, con la pittura contemporanea di Pollock e Mirò, Kandinsky, Fontana e Paul KLee.
Mi chiedo se Nikon ha consapevolezza delle passioni che alimenta nel mondo con la perfezione delle sue creature e ho la risposta. Nikon lo sa.



Luciano Scateni
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