Fotografo di Manchester, Lee Jeffries ha ritratto homeless nelle principali città del mondo, affermandosi così nel mercato della fotografia. Lo abbimo incontrato e in questa intervista ci racconta di come sia nata la sua ricerca.
Può dirci come ha iniziato la sua esperienza nella fotografia, da dove è partito e perchè?
Ho iniziato ad usare la macchina fotografica a cinque anni. Poi, un giorno a Londra, mentre mi apprestavo a correre la maratona, ho deciso di fare qualche fotografia di strada, sperando di avere fortuna.
Rannicchiata in un sacco a pelo sulla porta di un negozio, ho notato una giovane ragazza senzatetto.
Ho pensato che avrei dovuto usare un teleobiettivo da 70-200 e, dalla parte opposta della strada, ho concentrato la mia attenzione su di lei.
Mi ha notato subito ed era molto turbata! Ha iniziato ad urlarmi contro parole e mi sono sentito imbarazzato.
In quel momento volevo solo andare via da lì e il più velocemente possibile.
Poi no, qualcosa dentro di me mi ha fatto avvicinare a lei e iniziare una conversazione. Il resto è storia, come si dice.
Quello è il momento che ha influenzato il mio modo di fare fotografia, le mie immagini e la loro intimità.
I suoi soggetti sono prevalentemente persone senza fissa dimora, li ha ritratti in diverse città del mondo: Londra, Parigi, Miami, Los Angeles... Come si è avvicinato a loro?
Una delle caratteristiche dell’essere umano è quella di avere paura di qualcosa che non è abituato a vedere o che non è abituato a fare.
Il 99,9% della popolazione non “vede” le persone senzatetto e tanto meno pensa di parlare con loro; è naturale pensare che sia difficile socializzarci. Ma non lo è. È semplice come “vedere”, l’importante è presentarsi a loro con umanità. Il mio approccio si basa esclusivamente sulla cordialità e la gentilezza e loro rispondono con altrettanta cordialità e gentilezza.
Come fa a coinvolgerli tanto da ottenere sguardi così profondi e significativi?
Non fotografo ogni persona senza fissa dimora che vedo. Devo scorgere qualcosa ancora prima di sedermi a parlare con loro. Cammino per la strada per ore, giorni, guardando estranei negli occhi. Guardo oltre la superficie cercando di approfondire il loro essere. Questo è quello che fotografo. Non sono un documentarista di circostanza, racconto “emozioni”. La situazione in cui si trovano non è importante per ottenere l’immagine finale. Senzatetto o no, le mie immagini vogliono cogliere la spiritualità dell’essere umano.
Cosa dice e di cosa parlate quando si approccia a loro?
Le nostre conversazioni possono riguardare qualsiasi cosa. Alcuni di loro sono interessati a me e alla mia storia, qualcun altro ha voglia di parlare di se stesso. Parliamo di tutto e di niente.
Chi di loro l’ha colpita di più e le è rimasto nel cuore?
Tutti loro mi hanno colpito con le loro storie, investo molte emozioni con ognuno di loro. In particolare, ho avuto un legame molto profondo a Miami con Latoria e Margo Stevens.
Ci può raccontare la loro storia?
Ho incontrato Margo durante il mio ultimo viaggio a Miami. Mi è apparsa dal nulla, sulla strada, davanti a me. Era vestita con una pelliccia di pelle di leopardo (abbiamo poi scherzato sul fatto che era nella versione “prostituta”), aveva appena finito il suo turno di notte.
In circa due settimane ho avuto l’opportunità di conoscerla in modo approfondito, mi sono immerso completamente nel suo mondo interiore e non.
Mi ha raccontato la sua vita, ricordando il passato.
Era una famosa porno star, quando però la sua fortuna finì e di conseguenza i soldi, è stata costretta ad andare in strada a prostituirsi anche per soddisfare la sua tossicodipendenza.
La sua trasformazione da quello che era a quello che era diventata mi ha colpito duramente. Solitamente non si sa o non si conosce la vita dei senzatetto prima che diventino tali, ma con Margo è stato diverso. On line c’è molto materiale che testimonia la sua bellezza e come la spirale della tossicodipendenza abbia avuto un impatto sulla sua vita oggi.
La storia di Margo mi ha reso triste, mi sentivo impotente, arrabbiato per tutti gli anni di sfruttamento che aveva subito, qualcosa però le è rimasto. Ha mantenuto la sua umanità oltre ogni aspettativa: spiritosa, divertente, bella dentro. Mi è rimasta sotto la pelle. I suoi ritratti sono un’esperienza emotiva, ci sentiamo osservati e, perché no, anche giudicati. Non siamo noi che li guardiamo, ma è come se fossero loro a guardare noi. Gli esseri umani non possono fare a meno di riconoscere le emozioni. I sentimenti risiedono nel profondo di ognuno di noi. Le mie immagini cercano di ritrarre questo e chiedono allo spettatore di guardare dentro se stesso.
Quando ha finito di postprodurre una foto, il risultato è sempre quello che si aspetta?
Ho sviluppato uno stile. Amo che l’aspetto delle mie foto abbia una certa profondità di significato. Cerco di “confezionare” e di collegare le emozioni con alcuni elementi metafisici che alludono alla spiritualità degli esseri umani con interpretazione e licenza artistica… quindi sì, il risultato è sempre quello che voglio.
Abbiamo scelto il bel ritratto di Madame June per la nostra prima copertina perché ci è sembrata una metafora della fotografia contemporanea: vecchia ma non vecchia, con un occhio attento, lancia messaggi di saggezza e di esperienza vissuta. È affascinante e ha molto da dire e se la si guarda bene negli occhi ci trasmette pace e speranza.
Oggi la fotografia, soprattutto in Italia, è in un periodo strano e difficile. Ci piace che lei sia la nostra immagine rappresentativa. Come fotografo e artista cosa pensa della fotografia oggi?
Sono molto semplice e diretto quando si tratta di fotografia. Ho un’opinione univoca e per me è poco importante sia cosa fanno gli altri, sia la situazione della fotografia oggi. Non gli attribuisco un particolare significato.
Sono felice come non mai quando esco per strada, incontro persone e si crea una relazione.
Se chi guarda le mie foto ne trae qualcosa allora mi fa piacere ed è una valore aggiunto al mio lavoro.
Si definisce “ritrattista umanista”, pensa che in qualche modo la fotografia possa avere un impatto sulla povera gente? che tipo di valore sociale può avere?
Non documento circostanze: la maggior parte delle mie immagini forniscono un messaggio sociale! Provocano una reazione umana che scatena l’immaginazione: “chi è questa persona?”, “come sarà la sua vita?”, “come ha fatto a trovarsi in quella situazione?”, sono le domande che si pone chi guarda, consciamente o inconsciamente.
Porsi queste domande risveglia la coscienza sociale. Ho innumerevoli e-mail di persone che testimoniano il fatto che la visione delle mie immagini ha permesso loro di vedere e sentire le esigenze degli “altri”. Se il risultato è questo, allora hanno un valore sociale.
A cosa sta lavorando oggi? Ha nuovi progetti?
Autofinanzio tutti i miei progetti e li realizzo nelle vacanze o nel tempo libero. Sicuramente sto pensando a nuovi lavori, ma trovare i finanziamenti e il tempo per realizzarli è un processo lento. Vorrei stare più spesso fuori, sulla strada, ma sono comunque grato per il tempo in cui riesco a starci. Cerco sempre gli occhi degli estranei, con la macchina fotografica al collo o senza.
Lee Jeffries vive a Manchester, nel Regno Unito.
Comincia a fotografare eventi sportivi. Un incontro casuale con una giovane ragazza senzatetto per le strade di Londra cambia il suo approccio artistico per sempre. La sua percezione sui senzatetto cambia completamente: diventano il soggetto della sua arte. Le sue fotografie ritraggono le sue convinzioni e la sua compassione per il mondo.
https://www.flickr.com/photos/16536699@N07/
http://en.yellowkorner.com/artistes/198/lee-jeffries.aspx