Ci sono viaggi bellissimi ed emozionanti che però ti lasciano avvolto da un velo di tristezza. Sai che tra non molto, recandoti nello stesso posto, non potrai rivivere ciò che hai appena vissuto. I macachi neri crestati dell'Indonesia sono fra le vittime della scarsa lungimiranza umana.
C’è un’isola dell’Indonesia in cui vivono affascinanti scimmiette dagli occhi arancioni. Sembrano uscite dal salone di un parrucchiere alla moda e regalano sorrisi e abbracci ai visitatori più pazienti. Da sempre appassionato di primati, quando anni fa vidi le foto di questi straordinari animali su Internet, fu amore a prima vista: dovevo fotografarli!
Iniziai quindi a pianificare il viaggio cercando quante più informazioni sulla specie, scoprendo che si tratta di primati endemici dell’isola di Sulawesi, ad altissimo rischio di estinzione. Un motivo in più per fotografarli e far sì che tutti venissero a conoscenza dell’esistenza di questi piccoli amici.
Il Macaca nigra, comunemente detto “macaco nero crestato”, vive a nord dell’isola Sulawesi, in Indonesia, nella fitta foresta subtropicale, a circa 1.000 m sul livello del mare. Classificati come Critically Endangered (il più alto livello di rischio prima dell’estinzione in natura) dall’IUCN, la International Union for Conservation of Nature, attualmente sono censiti in circa 5.000 esemplari viventi nel parco del Tangkoko.
Le cause del declino del macaco nero crestato sono molteplici, tutte riconducibili al comportamento dell’uomo. La riduzione dell’habitat in primis, la deforestazione e l’avanzare dei villaggi hanno interrotto i canali di migrazione dal loro gruppo d’origine. Proprio per la particolare conformazione di questa parte dell’isola, ciò si rivela distruttivo poiché, bloccando la capacità di movimento dei branchi, impedisce ai giovani esemplari di allontanarsi dal gruppo originario per accoppiare con individui appartenenti ad altri gruppi, determinando un impoverimento genetico della specie costretta all’accoppiamento fra consanguinei. La caccia è un'altra grave causa che sta portando il Macaca nigra a scomparire. Gli abitanti dell’isola si cibano di questi animali e li uccidono anche perché considerati un pericolo per le loro coltivazioni.
Non hanno altri predatori se non l’uomo. Anche essendo una specie protetta dallo stato indonesiano, la scarsa cultura ambientale di quelle zone ha fatto sì che negli ultimi anni la popolazione dei Macaca nigra si impoverisse considerevolmente.
L’isola di Sulawesi è soggetta a un programma di conservazione ambientale da parte del governo indonesiano, coordinato da The Nature Conservancy. Nonostante l’istituzione di due parchi nazionali e diciannove riserve naturali, più tre aree marine protette, il territorio rimane costantemente minacciato dall’illegalità, dalla deforestazione a scopo agricolo, dall’estrazione mineraria e dalla scarsa cultura ambientale dei suoi abitanti. Sono stati stilati rapporti dettagliati sulle specie vegetali e animali presenti sul territorio; è stato costituito un protocollo che viene distribuito alle amministrazioni locali con lo scopo di preservare gli habitat e le biodiversità, quasi tutte endemiche dell’isola. Tuttavia i dati a disposizione sono molto scarsi e l’ecosistema di questo territorio rimane gravemente in pericolo.
La deforestazione rimane il primo pericolo. Si stima che sia stata abbattuta più dell’80% della foresta presente sull’isola, per fare spazio a programmi di agricoltura intensiva. Questo comportamento ha messo a rischio la vita di molte piante e animali endemici che ora rischiano di estinguersi. Il 99% delle wetlands dell’isola non esistono più o sono ormai gravemente danneggiate.
Il macaco nero si nutre principalmente di frutti. È particolarmente ghiotto di fichi, mangia anche piccoli mammiferi, foglie, anfibi, insetti e lucertole. È una specie diurna. Il branco si muove dall’alba al tramonto alla ricerca di cibo, che occasionalmente conserva all’interno delle guance.
Prima dell’inizio del suo declino, il macaco nero viveva in gruppi di circa 100 individui; oggi vive in comunità più piccole, da 10 a 25 individui. Si tratta di una specie molto socievole e confidente, con una struttura sociale ben organizzata. Ciascun gruppo è governato da un maschio dominante che si occupa del branco, che guida gli spostamenti, che tiene a bada i litigi e difende il territorio nelle lotte con gli altri gruppi. Un secondo esemplare maschio, inferiore gerarchicamente, normalmente più anziano e quasi sempre ex-dominante spodestato, ha il compito di proteggere i piccoli e intervenire quando avverte un pericolo. I piccoli lo prendono come riferimento e passano la giornata intorno a lui. Accanto alla consueta struttura gerarchica dei maschi è inoltre presente una gerarchia delle femmine, con una femmina dominante.
I macachi comunicano attraverso versi vocali simili a grugniti, espressioni del viso e del fisico. I maschi mostrano i canini per affermare la loro superiorità e tenere lontani i conflitti. Gli esemplari maschi del gruppo lottano fra di loro per stabilire delle gerarchie e scegliere la femmina con cui accoppiarsi. Dopo l’accoppiamento, la gravidanza dura circa cinque mesi e mezzo e la femmina partorisce normalmente un solo esemplare. La maturità sessuale è raggiunta in 4-6 anni mentre la vita media è di circa 25 anni, raggiungendo una statura che va dai 50-60 cm per i maschi e 45-55 cm per le femmine.
Durante la mia permanenza nel parco Tangkoko, ho deciso di seguire la stessa tribù di macachi per due settimane, dall’alba al tramonto, muovendomi con loro nella fitta foresta. Con il passare dei giorni, ho imparato a riconoscere i vari individui e a relazionarmi a seconda del loro ruolo. È una esperienza emozionante arrivare a conoscere individualmente gli animali che si fotografano, riconoscerne il carattere e imparare a prevederne le reazioni.
Proprio come gli esseri umani, esistono individui più coraggiosi, più aggressivi, più timidi, più giocherelloni. Nel corso degli anni, ho capito che per il tipo di immagini che voglio realizzare è fondamentale avvicinarmi il più possibile. Quando fotografo un animale desidero cogliere ogni sfumatura d’espressione. Per fare questo è necessario essere accettati e fotografare molto da vicino. Fortunatamente, il macaco nero è un primate estremamente socievole e in grado di regalare alla fotocamera una miriade di espressioni, in particolare se si riesce a entrare in sintonia con lui.
Osservandoli, ho notato che le femmine ululano per annunciare un pericolo. A quel punto i maschi corrono in loro difesa: spalancano la bocca, grugniscono a bocca chiusa mostrando i denti, ululano a loro volta, saltano e iniziano l’inseguimento. Hanno inseguito anche me pensando potessi essere fonte di pericolo. Con il passare del tempo sono stato completamente accettato dal branco. La mattina mi aspettavano e quando arrivavo da loro, scendevano dalle piante e venivano ad abbracciarmi in segno di amicizia e saluto.
Nel loro linguaggio espressivo contraevano le labbra in una smorfia, come per lanciare un bacio e io capivo che mi dicevano: “ci conosciamo, siamo amici”. A quel punto ho potuto concentrarmi sugli scatti, sulle loro espressioni, sull’emozione che mi davano ogni volta che mi lasciavano essere parte del loro piccolo mondo. Il maschio dominante mi guardava in silenzio e io sapevo che si fidava di me. In particolare, una simpaticissima scimmietta che avevo ribattezzato “Muzio Scevola” perché priva di un braccio, perso per colpa del laccio di un bracconiere, mi ha regalato grandi emozioni con i suoi abbracci. La foto che mi ritrae insieme alla scimmietta che mi cinge le spalle, è tra i ricordi più belli di questa esperienza vissuta con i miei amici macachi.
Quando sono immerso nella natura e ormai faccio parte di una comunità di animali, come i macachi neri, cerco di fare in modo che la fotocamera non rappresenti una barriera. Non amo usare teleobiettivi ma prediligo al contrario le focali corte. Penso che scattare una foto avvicinandosi e riducendo la lunghezza focale, dia maggiori possibilità di cogliere le espressioni e i particolari. In questo modo ho potuto fotografare i loro occhi arancioni e profondi, i loro sorrisi, gli scambi affettuosi con i piccoli.
È stata dura salutare questi primati dopo un’esperienza così ricca di emozioni. La consapevolezza che probabilmente fra qualche anno non avremo più occasioni di incontrarli ancora, mi rattrista profondamente. Marjory Stoneman Douglas, scrittrice e ambientalista americana, scrisse:
«È giunto il momento di chiederci che tipo di sviluppo vogliamo e che prezzo siamo disposti a
pagare. Vogliamo distruggere tutto quello che c’è di bello nel mondo?».
Davvero, vogliamo questo?