Il sogno della natura

A cura di: Giancarlo Mancori

Quand’ero ragazzo abitavo nel quartiere romano di Testaccio, dove c'è una collina di antichissimi cocci e la Storia è oramai ammucchiata così alla rinfusa che non si distingue più un secolo dall’altro. Però a me non importava molto dell’archeologia, ero affascinato dal Tevere che allora brulicava di pesci, dagli alberi fruscianti di uccelli, da quel planare preciso e sicuro delle loro ali per scendere all’acqua e beccare un pasto vivo, lacrimante gocce che al sole diventavano d’oro. Avevo tanta voglia di fotografarli, ma qualcuno m’aveva raccontato che in certi paesi molte persone non vogliono fotografie, perché hanno paura che prendendosi la loro immagine gli rubino anche l’anima. Mi chiedevo se fotografandoli avrei rubato l’anima a quei pesci, a quegli uccelli, forse, chi lo sa, anche al fiume e agli alberi, ma non sapevo se l’anima ce l’avessero o no.

Così guardavo e basta, incantato, e intanto il tempo passava e io crescevo. Così, appena ho avuto in mano la prima macchinetta fotografica la voglia di rubargli l’immagine mi ha travolto, e se la foto si portava via anche l’anima, pazienza, anzi c’era caso che riuscisse meglio: più vera, sicuramente più completa. I miei ridevano, però alla fine si resero conto che bisognava per forza assecondare la mia frenesia di ritrarre la natura, perché si capiva già che era una vocazione, e mi misero ‘a bottega’ (come si diceva ai tempi degli antichi pittori) dal Maestro Cesare Picca, che era il più famoso fotografo (pubblicitario) della città. Si accorsero subito che quella era proprio la mia strada, infatti lavoravo come un matto, e passavo più tempo in camera oscura che con le ragazze, anche se le ragazze mi piacevano parecchio e l’anima gliel’avrei rubata volentieri insieme con gli sguardi sfrontati e i sorrisi smaglianti sopra certe curve morbide.

Ci rimasi qualche anno, da Mastro Picca, e appresi il mestiere, ma soprattutto frequentai gli ambienti artistici romani, conobbi tanti pittori e capii che se rubi le immagini col pennello, o con l’obiettivo, fai un ottimo lavoro ed è un bel colpo se riesci a prenderti anche l’anima, ossia a cogliere il momento in cui l’anima si esprime in vitalità ed emozione assoluta e tu arrivi a toccarla... E poi l’anima non gliela rubi, loro ce l’hanno sempre, ma ne dai un po’ al mondo che ne ha tanto bisogno.

Sono passati altri anni ma non è cambiato niente, per me, neppure quando cominciai a lavorare nei centri di ricerca scientifica di Frascati: a quel punto, anzi, sentivo che forse stavo incominciando a cogliere anche l’anima delle cose, l’essenza quantica del microcosmo che sfugge agli occhi umani. Restai a lungo tra quelle immagini, era un universo che non finiva mai, al punto che ci si poteva smarrire dentro la propria, di anima. Con un po’ di fatica tornai nel nostro piccolo mondo: mi occupai di fotografia d’architettura e divenni per 16 anni il responsabile dell’immagine internazionale della Massey-Ferguson, che produceva macchine per il ‘movimento terra’.

Giravo il mondo, e subito la natura mi riprese, mentre io riprendevo lei anche con più forza perché oramai avevo scoperto e approfondito nuove possibilità, quelle del digitale. Attraverso le nuove possibilità tecniche del digitale mi dedicai ad esplorare la natura, avvicinandomi dapprima al paesaggio, al 'verde' e poi andando a scoprire i suoi meravigliosi abitanti, gli animali. La fotografia naturalistica è ora il mio campo d' azione, e questo contatto mi riempie di forza vitale. Da anni collaboro con il WWF Italia. Non invento nulla se dico che ora, a volte, sembra perfino che siano ‘loro’ a cercarmi: i miei amici animali.

È accaduto tempo fa con un lupo, nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Lui voleva mostrarmi - mi è sembrato che fosse così, anzi dentro di me ne sono sicuro - come sarebbe orribile se noi uomini sciupassimo anche le sue meravigliose foreste, i suoi rifugi quasi incontaminati. È questo, e altro, molto altro, che l’Homo stupidus stupidus e non più sapiens, sta facendo al suo pianeta esausto e vorrei tanto che l’anima di tutti gli animali in pericolo di estinzione - molti altri sono già scomparsi - riuscisse a toccare e risvegliare quella umana.

Ho lavorato, nel passato, con linhof 13x18 cm e, con le nikkormat (veri carri armati) e ora con grande piacere uso una D700, con un 300 /2,8, e un 600/4 nano cristal più vari vetri nikkor più piccoli. Da un po' di tempo mi sto occupando in modo particolare proprio dell'anima. La rubo alla natura e la porto a chi sente la sua un po' indebolita e ha perso la fiducia nella vita, a volte addirittura la speranza di vivere, ossia ai malati chiusi negli ospedali. Un medico geniale e coraggioso, il prof. Cosimo Tudisco, dopo aver visto qualcuna delle mie mostre, ha pensato che con quelle potevamo portare la gioia di vivere agli ammalati, perché ognuno si porta nel proprio codice genetico il ricordo, l'impronta della vita più schietta, naturale, vicina al verde e agli animali. Così 150 opere piene di natura viva: alberi, sole, uccelli, orsi, lupi, fiori…ha occupato le pareti del Policlinico Tor Vergata, a Roma, con un successo superiore alle aspettative. Commoventi le lettere che riceviamo dai malati: sono la prova che questo nuovo sostegno alla terapia funziona e la linfa della vita si arricchisce. Dopo anni di ricerca ecco che il mio lavoro prende una dimensione nuova, e confesso che ne sono orgoglioso.

www.giancarlomancori.it - info@giancarlomancori.it
 

Giancarlo Mancori
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