Si inizia a fotografare con gli occhi, così come il viaggio ha inizio nei pensieri. Il richiamo umano, e dei volti, ha poi il sopravvento su tutto.
Amo la fotografia più dell’azione del fotografare. Posso quindi lasciare la macchina fotografica chiusa in borsa (a volte anche a casa!) e guardare il mondo da fotografo, cioè con gli occhi avidi e la mente attenta a tutto quello che succede intorno. E guardare le foto fatte dagli altri.
Guardare il mondo. Guardare: azione primordiale di ogni essere umano. Quella attraverso cui passa la prima esperienza del mondo esterno: aprire gli occhi sul mondo, venire alla luce...
Ed è come prepararmi alle fotografie che scatterò: sento che, giunto il momento di registrare le immagini sul sensore, si concentrano in un attimo tutte le esperienze raccolte con lo sguardo. Non so se dal lavoro di un fotografo traspaia tutto il suo vissuto; soprattutto non so se traspare dal mio, ma è quello che vorrei. Solo così posso creare immagini che aggiungano qualcosa di non inutile alle già moltissime fotografie in circolazione.
Non ho la necessità di fare molti chilometri per trovare “scuse” per fotografare, né stare mesi lontano da casa: sento però l'importanza di andare al fondo delle cose. Se sono a un chilometro da casa, mi incuriosisce ogni palmo di sentiero che divide casa mia dal mare, come varia la luce sulla roccia vista mille e mille volte, sapere a che punto è la vigna potata dal contadino oltre il fiume.
Se mi trovo in Marocco, dove ho scattato le fotografie di questo Nikon Life, l’approccio è lo stesso: devo però partire da più lontano con le mie curiosità, poiché non so quasi nulla del posto e di come vive la gente. O perlomeno conosco quello che si legge a casa prima di partire. Ma l’esperienza diretta è un’altra cosa. E sul posto può capitare di modificare le idee che ti sei costruito dentro.
Così il percorso del viaggio muta strada facendo. La prova è davanti ai miei occhi una volta a casa, durante la revisione del lavoro. Sono un fotografo di paesaggio e mi capita spesso di fotografare interni e ambienti urbani e industriali, ma da qualche parte, dentro di me, il volto della gente esercita un richiamo potente.
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Sono partito anni fa per Essaouira, per una commissione commerciale: come spesso mi accade, appena posso mi trovo a interrompere il lavoro, quello “vero”, per ascoltare le storie degli sconosciuti che incontro durante le mie giornate. Il desiderio di associare un volto al racconto viene da sé.
Ecco dunque la sequenza: prima le viste aeree, poi il paesaggio africano e il viaggio verso l’Atlantico, infine la descrizione della medina in cui sto fotografando splendidi interni per un tour operator specializzato. Ma sempre più spesso entrano in campo i volti di chi incontro. Di ognuno ricordo il momento e la storia personale. È rarissimo che ritragga qualcuno con cui non ho un rapporto personale.
Ormai da anni ritorno sul luogo, come un innamorato, alla ricerca di ogni più segreto particolare della propria donna. Mi accorgo che lo sguardo fotografico che traspare da questo lavoro, con lo stupore di chi viene colpito da ogni cosa, da ogni persona, è molto “provinciale”. Ne sono fiero: lo stupore è la principale spinta verso il mondo esterno, è ciò che ci mette in relazione con gli altri. Quando uno pensa “l’ho già visto” smette di fotografare: e non si tratta di trovare sempre cose nuove, sempre più esotiche o folcloristiche. Ma di guardare tutto con occhi sempre attenti, sempre più attenti. Niente di antico sotto il sole, diceva il fotografo Luigi Ghirri.
Ecco perché adoro la fotografia
Questo è Amid, non parla inglese, nulla di strano, ma neppure francese e poco... l’arabo. Mastica bene solo il dialetto berbero del suo villaggio. Lo scopro dopo un anno grazie ad Aziz, l’autista marocchino che è con me.
Lo incontro nel suo villaggio durante un mercato locale, gestisce una specie di ristorante dove si serve solo tè alla menta e tagine di pollo. La prima volta passiamo un’ora a raccontarci non so bene cosa. Potete immaginare la “conversazione”. Lo ritrovo dopo un anno e grazie ad Aziz ci si racconta delle proprie famiglie.
Alla fine mi concede di scattare qualche fotografia nel locale: quando gli assicuro che dopo un anno sarei tornato con le stampe, mi invita in una stanza privata e mi offre il tè. Alla fine mi chiede anche di fotografarlo.
Sono appena stato in Marocco con le stampe: le ho consegnate al fratello scambiandolo per lui (il turbante non aiuta!).
Questo sparisce e torna dopo un’ora con Amid che mi abbraccia commosso e sparisce a sua volta, per tornare poi con il padre. Vogliono una foto tutti insieme: scatto ben volentieri... Al prossimo giro pretendono che sia ospite a casa loro!