Crociera Papua Nuova Guinea per Nikon

A cura di: Franco Barbagallo

“Appena ancorati, decine di piroghe cariche di uomini, donne e bambini circondarono la nostra nave ...”. Non c'è esploratore del passato che non descriva così, nel suo diario di viaggio, l'arrivo in un'isola popolata dell'oceano Pacifico. Durante le sue crociere da sogno negli arcipelaghi di Papua Nuova Guinea, lungo rotte al di fuori di qualsiasi itinerario turistico, sorprendentemente la stessa accoglienza viene riservata ancora oggi alla True North.

Franco Barbagallo

Questa imbarcazione è un iper tecnologico e super ecologico mega yacht di 50 metri di lunghezza, dotato di 18 spaziose cabine per 36 fortunati passeggeri. È equipaggiato con una propria centrale di dissalazione dell'acqua di mare, non scarica alcun rifiuto in mare e, addirittura, ha un elicottero a sei posti che giganteggia sul suo ponte superiore. La True North permette a “pochi eletti” di visitare isole così remote che, per gli abitanti dei villaggi costieri, il suo arrivo è l'autentico evento dell'anno. A ogni ancoraggio in aree abitate, gli indigeni la raggiungono in gran numero pagaiando sulle loro piroghe di legno. Tentano di vendere con estremo garbo pesce, noci di cocco, banane, qualche collana di conchiglie e piccole sculture di legno, poi rimangono per ore a galleggiare intorno allo yacht per godersi lo spettacolo rappresentato dalle attività di bordo per condurre i passeggeri a terra per un escursione o in mare per pescare, fare snorkeling o diving.

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Dal ponte basta incrociare lo sguardo con gli indigeni e, in risposta, scatta subito un sorriso o un gesto di saluto con la mano. Puntando un obiettivo fotografico sono così compiaciuti da mettersi in posa e, dopo lo scatto, persino ringraziano per aver prestato loro attenzione. Gli approcci dei loro lontani antenati erano diametralmente opposti. Particolarmente fieri e bellicosi, non vedevano di buon occhio chiunque entrasse nel loro territorio, praticavano il cannibalismo e collezionavano teste a scopo cerimoniale e così gli incontri tra navigatori europei e indigeni della Papuasia spesso si trasformavano in sanguinosi e crudeli massacri. Di quel tempo ormai lontano non sono cambiati altri aspetti della cultura e delle tradizioni di queste popolazioni di origine melanesiana. Sono uguali le piroghe, ancora scavate nei tronchi d'albero e munite di bilanciere, e i villaggi, sempre formati da capanne sopraelevate da terra, con una intelaiatura di tronchi di palma e tetti e pareti di foglie intrecciata. È immutata la patriarcale organizzazione gerarchica dei clan, come lo sono le oltre cinquanta lingue diverse parlate nelle isole (altre 750 sono utilizzate sulla terra ferma). Non è cambiato molto nemmeno il semplice stile di vita della gente, dedito all'agricoltura e alla pesca di sussistenza senza l'utilizzo di benzina, barche a motore, elettricità, acqua corrente, plastica, televisione, fertilizzanti, telefoni, radio, automezzi e strade. Soprattutto sono gli stessi i valori della natura selvaggia di queste isole lussureggianti e dei loro ricchissimi fondali corallini.

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Il nostro viaggio in questo isolato e sperduto “antico mondo tropicale”, dove il turista è ancora un'eccezione, è cominciato di buon mattino dall'aeroporto di Cairns, nel Queensland australiano. In tre ore di volo, un charter turboelica ha condotto noi, fortunati croceristi, fino al remoto aeroporto di Kavieng, all'estremità settentrionale dell'isola di New Ireland. Nei primi sette giorni di navigazione (le crociere sono due consecutive di sette giorni ciascuno) abbiamo percorso ben 1200 miglia marine fino ad Alotau, all'estremità meridionale di Papua Nuova Guinea, toccando isole con nomi “assurdamente europei” che ricordano come, anche qui, le potenze straniere europee si sono contese nel passato questi coriandoli di terre emerse: New Hannover, New Britain, New Ireland, Duke of York, l'arcipelago delle Lunsacay, le isole d'Entrecasteaux.

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Nella seconda settimana, invece, ci siamo spinti verso sud est girovagando fra le mille isole vulcaniche e gli atolli che formano l'arcipelago delle Louisiadi, così chiamato, ahinoi, in onore del Re di Francia Luigi XIV°. Alla fine del viaggio si sarebbero potute riempire le pagine di uno spesso volume per descrivere esperienze e incontri che definire straordinari non è, una volta tanto, retorico. Le manifestazioni della natura, sopra e sotto il mare, i segni della storia e di ciò che rimane dell'antica cultura materiale e delle tradizioni delle popolazioni locali, ci hanno quotidianamente sorpreso grazie a un programma di viaggio studiato per offrirci sempre luoghi speciali. Così abbiamo scoperto che le coste verdeggianti dell'isola Duke of York nascondono decine di tunnel scavati dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale per farne ricoveri e magazzini. I fondali dell'intera area sono cosparsi di relitti di navi, aerei, sommergibili e persino carri armati di quella guerra che si è combattuta sanguinosamente anche in queste isole, oggi un “eldorado” per chi si immerge per relitti.

I frequenti voli in elicottero a disposizione ci hanno permesso di osservare dall'alto la bellezza di miriadi di isole circondate da fondali coloratissimi e coperte da giungle fittissime tagliate da fiumi e cascate spettacolari. Il clou è stato il volo per vedere da vicino le esplosioni crateriche del vulcano Tuvurvur, ancora attivo, e i resti della città abbandonata di Rabaul, totalmente coperta di ceneri durante la tremenda eruzione del 1994. Nella Jacquinot bay, nell'isola di East New Britain, abbiamo utilizzato i tender a motore della True North per risalire il corso del fiume Sivoli fino a raggiungere la sua sorgente, uno dei luoghi più affascinanti che ci sia mai capitato di vedere. In lingua locale la chiamano il “buco blu”. È una immensa risorgiva che riporta in superficie le acque piovane raccolte dalle alte montagne circostanti formando un lago dall'intenso colore blu cobalto, circondato da una giungla fittissima che copre pareti rocciose strapiombanti. Le enormi quantità d'acqua che piovono sui monti di quest'isola (di solito coperti da spesse nuvole) segnano la giungla con decine di fiumi e cascate, che formano anche complessi sistemi sotterranei.

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Abbiamo raggiunto la vicina Wara Kalap Bay dove uno di questi corsi d'acqua invisibili sgorga direttamente in mare con una larga cascata: ben sapendo che noi saremmo andati a vedere il fenomeno, abbiamo trovato ad accoglierci sul posto non meno di 300 indigeni di ogni età con i quali fraternizzare. Nelle isole D'Entrecasteaux, che hanno preso nome dal navigatore francese che le visitò per primo nel 1793, siamo sbarcati nella Sebutuia Bay alle prime luci del giorno. Con una lunga escursione, seguendo fangosi sentieri che si inoltrano nel folto delle jungla, abbiamo raggiunto un'area della foresta dove esegue le sue parate nuziali l'elusivo Uccello d'oro del Paradiso (Xanthomelus aureus): dopo una mezz'ora di muta ed immobile attesa, siamo riusciti a vedere per pochi attimi la bellezza del suo coloratissimo piumaggio. Il birdwatching aveva compreso nei giorni precedenti buceri, pappagalli e soprattutto l'incontro inatteso, lungo un affluente del Sivoli, di un giovane esemplare di Casuario (Casuarius casuarius), un grande uccello struzziforme incapace di volare, tipico delle giungle del nord Australia e della Papua Nuova Guinea. Il pomeriggio è stato dedicato alla geologia, spostandoci nella vicina Gomwa Bay per gironzolare in una vasta area post vulcanica costellata da geyser, fumarole e pitte di fango, sorta di piccolo Yellowstone tropicale visto ogni anno solo da qualche rarissimo“non nativo”.

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I pochissimi visitatori e le enormi distanze hanno permesso il mantenimento dell'ambiente naturale e delle tradizioni della cultura materiale delle popolazioni locali ma hanno anche ostacolato il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. In questo paese, davvero mal governato, nessuno muore di fame per la ricchezza di pesce dei mari e la fertilità della terra, ma le carenze della sanità e della istruzione pubblica sono pesanti. Visitando alcuni di questi villaggi sperduti, abbiamo toccato con mano l'importanza che rivestono gli arrivi annuali della True North. L'equipaggio consegna in omaggio ai capi villaggio scatoloni pieni di palloni da calcio, quaderni, penne, matite, libri, indumenti e scarpe che, a queste latitudini, rappresentano vere e proprie introvabili ricchezze. I locali vendono ai croceristi i loro semplici oggetti artigianali, ricavando denaro che rappresenta per loro uno sporadico ma sostanziale aiuto economico. Le danze e i canti che sono svolti in onore dei visitatori durante i rituali “Singsing”, tradizionali cerimonie riservate per occasioni speciali, permettono agli anziani di tramandare ai più giovani antiche tradizioni e usanze della loro antica cultura che rischiano di andare perdute, come è già accaduto in gran parte delle isole Luisiadi, colonizzate maggiormente dalle “castranti” missioni religiose.

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In quasi ogni villaggio abbiamo potuto ammirare queste forme di genuino e sentito benvenuto espresso con costumi fantasiosi, decorazioni elaborate e coloratissime, danze complesse che mimano corteggiamenti, lotte sanguinose, scene di vita quotidiana, il tutto accompagnato da canti tribali dove poche frasi essenziali vengono ripetute ossessivamente al suono di semplici strumenti a percussione.

Una bambina, Jennifer, deve la propria vita all'arrivo, due anni fa, della True North nell'isola di Nivani, dove abita. Durante la visita del villaggio, uno dei passeggeri, medico di professione, si è accorto per caso che la bambina aveva una grave infezione all'ombelico e doveva esser urgentemente operata: si è fatta una colletta fra membri dell'equipaggio e passeggeri raccogliendo i 1.000 dollari occorrenti per pagare il trasbordo di padre, madre e figlia via mare fino al più vicino aeroporto e il volo per Alotau, dove vi era l'ospedale dove potevano intervenire. La nave è ripassata solo quest'anno dalla stessa isola e siamo stati accolti dalla sorridente Jennifer, la sua famiglia e tutto il villaggio con una commovente cerimonia di ringraziamento, chiamata Mu Mu. Ci è stata offerta una grande varietà di cibi locali e la madre di Jennifer ha donato ai membri dell'equipaggio, protagonisti di quell'episodio, delle collane realizzate con conchiglie di grande valore, che fino a solo qualche anno fa venivano usate come vera e propria moneta locale. Abbiamo poi saputo da Moinono, la guida indigena che ci ha accompagnato nelle Luisiadi, che per comprare quelle preziose collane, il villaggio aveva venduto due grandi piroghe a vela. Nell'antica cultura locale, infatti, è un obbligo assoluto che si ripaghi adeguatamente chi fa un dono o presta il suo aiuto e così gli isolani non ci hanno pensato due volte a vendere le cose più preziose che possedevano per ricambiare il salvataggio della vita della bambina.

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La piroga a vela è davvero essenziale nella vita degli indigeni. Il pesce sta alla base della loro alimentazione e i pescatori sono capaci di navigare per giorni per raggiungere i migliori banchi di pesca. I fondali sono ovunque ricchi di pesce ma le specie pregiate e di taglia maggiore che, una volta affumicate, possono essere vendute nei mercati dei lontani centri maggiori, non si trovano in abbondanza ovunque. Così per cacciare tartarughe marine, squali, tonni e cernie dei coralli, intere famiglie vanno a pesca per settimane intere, spostandosi con le grandi piroghe a vela, “campeggiando” nelle isole deserte. Abbiamo incontrato una di queste famiglie su un isolotto della catena delle isole Calvados. Sulla loro piroga legata alla riva, un uomo era intento a macellare una tartaruga mentre i fratelli più giovani raccoglievano dalla carcassa le uova, quasi pronte per essere deposte. La madre e le sorelle avrebbero affumicato la carne all'ombra delle palme sulla riva e quella sera tutti avrebbero banchettato con quelle centinaia di uova fino a “esaurimento”.

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Andy, Il biologo marino che guidava le nostre immersioni, ci ha detto che nemmeno nella grande barriera corallina australiana ha trovato una così grande ricchezza e diversità biologica come nei reef dove ci siamo immersi. Branchi di barracuda e tonni, squali di barriera, tartarughe, un'infinità di specie tipiche di pesci e, soprattutto, un'estrema varietà e abbondanza di specie di coralli di ogni genere e colore ci hanno letteralmente “avvolto” nelle giornaliere immersioni in apnea o con le bombole. Particolarmente appaganti sono risultate le due immersioni effettuate nei fondali della Laguna delle isole di Rossel, in quella che l'equipaggio ha battezzato “Fish city”, la città dei pesci. È una secca corallina con una concentrazioni e una varietà di pesce davvero impressionante. Si è pinneggiato “bucando” branchi infiniti di pesci chirurgo e balestra incrociando razze, mante, squali di barriera e tartarughe mentre fra i coralli si affollavano moltitudini di sergenti, pagliacci, napoleoni e murene. Ogni sera, dopo cena, Andy proiettava sui grandi schermi della Longe della nostra imbarcazione le fotografie scattate durante la giornata, spiegando comportamenti e caratteristiche delle specie che avevamo avvistato.

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L'ultimo giorno di viaggio, la nave è stata ancorata ad appena venti metri dalla riva dell'isola vulcanica di Misima, vicino il villaggio di Ebora, dove il fondale diventa subito profondo. Dopo la visita di questo agglomerato di capanne eretto in una straordinaria posizione panoramica e abitato da una popolazione particolarmente povera, abbiamo aspettato il tramonto prima di ripartire. In una pace e in un silenzio assoluti, eravamo riuniti a prua a mangiucchiare, con profondi sensi di colpa, dei gamberi imperiali grigliati innaffiati da champagne mentre esplodeva di fronte a noi il tramonto più “glorioso” delle nostre due settimane di viaggio.

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Le nuvole stratificate all'orizzonte si sono tinte di colori incredibili, esagerati, e uno di noi ha infranto quel silenzio tombale con un urlo di esultanza. Dalla vicina giungla costiera è subito rimbalzato in risposta un grido indigeno e poi un'altro ancora, seguito da un scambio reciproco di sempre più fitte “esternazioni vocali primordiali”. Anche i locali stavano ammirando dalla terra ferma quell'evento davvero speciale di fronte al quale cadeva ogni barriera economica, linguistica e culturale: eravamo solo tanti essere umani accomunati dall'incanto di fronte uno spettacolo grandioso della natura. La nave ha tirato su l'ancora in un giubilo di grida che si rincorrevano fra nave e terra ferma mentre alcune piroghe ci hanno raggiunto e affiancato, pagaiando freneticamente fino a quando la velocità della nave le ha lasciate indietro, in uno sventolio di mani e di sorrisi. L'impareggiabile viaggio in quella macchina del tempo navigante che è risultata la True North era finito. Navigando tutta la notte abbiamo raggiunto Alotau e il suo aeroporto per rientrare in Australia: riaccesi i nostri cellulari, mestamente, ci siamo ritrovati, ahinoi, nel nostro mondo.
 

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Le immagini sono state editate unicamente con Capture NX2.


 

 

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