Nord-Ovest argentino: scouting tra cielo e terra

A cura di: Davide Pianezze, Foto di Davide Pianezze e Lorena Vertua

Una delle attività più appassionanti della mia attività è lo “scouting”, ovvero la fase che precede l'organizzazione dei viaggi destinati ai turisti, e nel caso specifico, dei viaggi fotografici.

Lo scouting non è soltanto visitare un paese. È molto di più. È assimilarlo in modo intimo e stabilire con lo stesso un rapporto profondo. È un lavoro chirurgico, necessario per conoscere dettagliatamente i collegamenti e le strutture, per eleggere i siti più interessanti da visitare e individuare gli orari più indicati per fotografarli, per esser pronti a eventuali emergenze e molto altro. Nel deserto, per esempio, è più utile conoscere la posizione di oasi e villaggi, che il numero di telefono del pronto intervento. Tutto ciò si traduce in pochissime ore di sonno, migliaia di chilometri percorsi in auto, centinaia di biglietti da visita in tasca e appunti sparsi qua e là nell'auto con orari, riferimenti e luoghi.

Nella fase di scouting, la fotografia rappresenta un elemento fondamentale, in quanto è il linguaggio attraverso il quale racconto il mio percorso.

Ciò che ricerco costantemente è la traduzione in immagini delle emozioni che provo in viaggio, immagini che conseguentemente voglio si trasformino in emozioni per chi le guarderà.

Ma veniamo al viaggio. Era il mese di settembre del 2012, quando decisi di tornare sulle Ande argentine per conoscere una parte della regione di Salta e Catamarca, non lontana dal confine con la Bolivia.
Rappresentava la parte più remota del paese che, nonostante i miei precedenti viaggi, non avevo ancora avuto modo di visitare.
Proprio in quel periodo mi chiamò una cliente che pochi mesi prima aveva partecipato a un mio viaggio in Namibia, chiedendomi se per novembre avessi qualcosa in programma. Non amo coinvolgere altre persone nei miei scouting, trattandosi di un lavoro impegnativo, poco programmabile, certamente non rilassante e tanto meno privo di imprevisti.

Le parlai del programma con molta schiettezza, quasi con l'intento di spaventarla. La conoscevo bene come viaggiatrice, avevo già avuto modo di riconoscerle buone capacità di adattamento in situazioni non facili. Senza esitazione mi rispose: “Ok, perfetto, è proprio quello che cerco. Quando si parte?”

28 novembre 2012 ore 16:30.
Aeroporto di Salta, giorni previsti di scouting 14, giorni da dedicare a Patagonia e Brasile 74, per un totale di tre mesi di viaggio.

Addosso, i soliti due zaini, il più ingombrante sulla schiena, con 6 kg di abbigliamento e i restanti 15 spartiti tra cavalletto, monopiede, teste idrauliche, inverter, libri, guide e documenti vari.
Sul petto, a bilanciare il tutto, il fedele “zaino clandestino” modificato a dovere per contenere attrezzatura fotografica, computer e hard disk. “Clandestino” perché si trova costantemente overweight come bagaglio a mano. Lorena è decisamente più leggera: borsone morbido e zainetto con attrezzatura fotografica.

Trascorriamo la prima sera in uno dei locali più tradizionali del paese, la Casona del Molino, dove ci aspetta un gruppo di amici, pronti a sfidarsi per l'intera notte, cantando e ballando al ritmo di chitarre, tamburi e violini.
Li fotografiamo in tutta la loro genuinità e vanità, lasciandoci accompagnare dall'ottima cucine argentina. La luce è debole e per non usare il flash decido di spremere il sensore della mia D3s che come sempre si rivela impareggiabile.

Giriamo intorno a loro, in cerca di angolazioni e inquadrature, ci muoviamo come se fossimo tutti coinvolti in una danza armonica e rituale.

La notte si fa corta, ma si rivela una pratica e rapida soluzione per evitare i fastidi provocati dal jet lag. Qualche ora di sonno in albergo e siamo pronti per ritirare l'auto che ci porterà a risalire la Cordigliera delle Ande. Per diversi giorni non avremo modo di incontrare alcuna gasolineras, così ci tocca caricare nel baule un paio di maleodoranti taniche piene di carburante. A causa della variazione della pressione atmosferica, per via dell'altitudine, ogni 1000 metri di dislivello dobbiamo fermarci e far sfiatare le taniche evitando così conseguenze irreversibili. Raggiungiamo quota 4000 metri al termine di quattro ore di auto. Le tempie iniziano a pulsare e i movimenti si fanno più lenti. Arriviamo a San Antonio de Los Cobres, l'ultimo paese, almeno sulla carta, dove fare rifornimento di acqua e cibo. Attraversiamo ancora immensi pascoli di lama e alpaca seguendo uno sterrato in buone condizioni.

Poi l'ambiente si fa più arido, il giallo inizia a prevalere sul verde, mentre all'orizzonte appare una distesa di colline color ruggine. Ci lasciamo alle spalle altre due aride vallate, per ritrovarci puntuali al tramonto nel Deserto del Labirinto, un'immensa distesa di colline d'argilla e cristalli.

Raggiungiamo il versante occidentale delle alture in cerca di un punto panoramico che soddisfi le nostre esigenze fotografiche. La composizione del paesaggio continua a mutare per via del movimento costante delle nuvole che ridipingono il cielo. Usciamo dall'auto senza dire una parola e risaliamo un'altura da dove iniziamo a scattare. I passi sono pesanti e il fiato è stanco per via dell'aria rarefatta. Non c'è vento, non ci sono suoni, né odori, l'aria è secca e la luce abbagliante. Tutto appare immobile. Poi il sole cala e la temperatura precipita. Torniamo in auto e riprendiamo il cammino, entusiasti per le condizioni incontrate.

L'intera regione si rivela un continuo alternarsi di scenari straordinari.

Il gps non è di grande aiuto. Non esiste cartografia attendibile. Molte piste vengono ritracciate al temine della stagione delle piogge. Viaggiamo seguendo i consigli e i suggerimenti delle poche persone incontrate, fonte ineguagliabile di spunti e informazioni. Ci imbattiamo così in una serie di improbabili pozze d'acqua dai colori surreali, circondate da un immenso lago salato. Nere, blu, verdi e arancioni, infossate un paio di metri sotto la superficie. Appaiono con forme tonde, ovali e a otto: impossibili da individuare senza indicazioni dettagliate.

I colori netti e intensi sono la presenza costante del viaggio. È la grande varietà di minerali presenti nella roccia a creare giochi cromatici al di sotto della linea dell'orizzonte, mentre al di sopra, il contrasto tra cielo e nuvole viene ulteriormente esaltato dall'aria tersa.

Decido di trascurare il grandangolare per dare spazio al teleobiettivo e cerco inquadrature alternative, ispirato da linee e giochi geometrici che si intrecciano.

I giorni trascorrono rapidamente, accompagnati dal susseguirsi ininterrotto di canyon, vulcani, geyser, salar, colate laviche e fumarole che riconducono a un ambiente primordiale.

Tutto appare in continua evoluzione e nonostante l'apparente staticità degli elementi, si percepisce la frenetica attività terrestre.

Prima di tornare a quote più familiari, raggiungiamo l'ennesimo spettacolo offerto dalla regione, forse il più sorprendente.
Una distesa di bianca pietra pomice dalle forme sinuose, arrotondate e taglienti, tracciata da profonde crepe e da alte pareti verticali. Per l'occasione ci accompagna Lauro, un amico geologo che ci arricchisce con dati e informazioni. Ci inoltriamo in un ambiente surreale che potremmo collocare tra il Polo Sud per morfologia e il Deserto del Gobi per il colore del cielo. Ancora una volta ci perdiamo a fotografare spazi immensi e opere d'arte create dall'inquieta mano della natura. Qualche suggerimento tecnico a Lorena, poi ognuno prende la direzione dettata dal proprio istinto.

Non è un luogo facile da fotografare, richiede concentrazione, forse meditazione, troppi spunti, troppe distanze, troppo sole, troppo bianco, troppo tutto. Ci “perdiamo” ancora una volta nella ricerca di dettagli e scatti panoramici, tra luci, ombre e riflessi.

È l'alba, tra poche ore il volo di ritorno per Lorena. Siamo a Cachi, piccolo paesino a 160 chilometri dall'aeroporto di Salta. Stiamo per partire, quando in albergo ci comunicano che una frana ha bloccato la strada diretta al capoluogo. Buttiamo in auto le borse ancora impolverate e ci fiondiamo dentro. In un solo istante i 160 chilometri che ci dividono dalla meta diventano 350. Ripercorriamo la mitica pista sterrata Ruta 40, della quale avevamo già avuto modo di “assaggiare” il fondo sconnesso il giorno precedente. Per l'occasione Lorena la ribattezza Ruta 140, causa la velocità con la quale siamo costretti ad affrontarla. L'ennesimo cambio di programma, in questo caso poco gradito e senza dubbio il più inaspettato, finale da copione per uno scouting.

Sito personale: www.davidepianezze.com
Sito viaggi fotografici: www.fattoreulisse.com

Metodi di pagamento: