Serengeti 2012

A cura di: Vinicio Fosser, Federica Nai Fovino

Chi in Africa c'è stato, può capire le emozioni e le sensazioni provate dagli autori di questo Life. Le migrazioni nel Parco Nazionale del Serengeti sono fra gli eventi naturalistici più belli da vedere e fotografare.

Faccio fatica a staccarmi da questo viaggio e da questo mondo. Mi difendo ascoltando Anouar Brahem suonare nell’iPod, qui in aeroporto a Roma, aspettando il volo per Verona. Federica legge sul Kindle mentre, poco fa, in aereo, Riccardo riguardava le sue foto al portatile, e le correggeva, con piccoli aggiustamenti di luce e di dettaglio, lisciando il pelo alle scimmie e “croppando” elefanti. Lo avevo osservato curioso, sbirciando fra i sedili, invidiandogli qualche immagine.

Chiudo gli occhi e nella mente lascio passare la dimensione del tempo, l'estensione degli spazi, i colori, le luci e le nuvole, le immagini impresse negli occhi e nel mirino della macchina, il profumo del legno di acacia, il fresco della sera, le voci imparate: quella di Carlo... «Venite, venite in Africa che è caldo!», mentre chiudeva i bottoni delle maniche della camicia; quelle al campo, la sera, di Kome ed Eric che salutavano lo staff di cucina; di Andrea che chiamava Rama e chiedeva l’acqua calda nella doccia per togliersi il “pulvuruzzu”. Ripercorro il piacere della doccia calda sulla pelle prima di cena, prima di rimanere sotto la volta arancione del tramonto e poi nera della notte. Quel cielo tempestato di stelle brillanti.

Tutto era cominciato così: «Fede, fanno questo viaggio per vedere le grandi migrazioni in Serengeti… Io andrei a fotografare...». «È il sogno della mia vita, amore! Verrei anch’io…». «Allora definiamo il giorno che ci sposiamo e andiamo!». E così abbiamo fatto e siamo andati, prenotando per primi o tra i primi. Io, che in Africa ho viaggiato abbastanza, anche a piedi e in molti posti da quasi una vita, e Fede, che era al suo primo viaggio. Io, che faccio foto dal millennio scorso e Fede che è alla sua prima macchina fotografica seria...
 

Conoscevo Carlo per aver partecipato a un paio di workshop e mi piacevano soprattutto le sue foto e il modo di essere contemporaneamente riservato e immediato, ma non avevo mai viaggiato con lui. Dico viaggiato perché viaggiare è la parola giusta. Perché questo viaggio è stato vivere un’esperienza, visitare, entrare, scoprire e amare un mondo, rimanendo momentaneamente staccati dal proprio senza avvertirne la mancanza, nessun bisogno di collegamento.

Grande Carlo! A lui il merito di questa avventura e della gestione del gruppo. Grande perché ci ha fatto entrare in una dimensione pur nuova senza retorica e tecnicismo, amichevolmente, un passo alla volta, con suggerimenti discreti ed efficaci, stimolandoci a guardare e a capire per poi portare dentro al sensore e dentro di noi.


In questo viaggio non ci è mancato nulla: non la comodità dei campi, veramente da “top star”; non la facilità negli spostamenti (fuoristrada Toyota spaziose e mai in difficoltà sui terreni difficili); non l’abbondanza e la bontà del cibo; non la quantità e la frequenza con cui abbiamo incontrato leoni, elefanti, ippopotami, leopardi, ghepardi, coccodrilli, uccelli di ogni genere. Non la moltitudine mistica degli gnu raccolti in mandrie infinite e in grado di chiamarsi, parlarsi e decidere, tutti insieme, se e quando passare il Mara. Non le file ordinate di zebre che, per chilometri e chilometri, camminano annuendo verso una invisibile destinazione; non i colori del giallo e dell’ocra, della terra e dell’erba che rapidamente rispunta dopo ogni incendio.

Ricordo l’orizzonte tremare nelle ore più calde, il vento che ti soffiava intorno e portava nuvole grigie sul confine del Kenia, i voli dei grandi uccelli e i piccoli gechi che Federica catalogava immediatamente con nome e cognome, gli sguardi delle gazzelle e dei leoni, il passo delle iene e il trotterellare dei facoceri… L’attenzione e la soddisfazione di scatti bellissimi…


Ricordo la sera, quando era ormai tardi e buio, in cui non abbiamo raggiunto il campo previsto e Carlo ci ha condotti in un posto da sogno, un campo tendato di un fotografo e regista, un posto surrelae, con libri di fotografie, divani, tovaglie di lino, camerieri, eccezionali spaghetti all’arrabbiata e poi una tenda che era una reggia...

Non c'è mai mancato il piacere di condividere una battuta scherzosa, il gusto di bere una birra fredda presa dal frigo… pensando al presente e desiderando un altro, prossimo viaggio, e dove e quando, magari con una macchina o un obiettivo nuovo. Sì, perché l’abbondanza di materiale a disposizione, tra cui la Nikon D800 e il mitico “bazooka” (il 600mm ) ha coinvolto tutti, portandoci a nuovi desideri. Guardo Federica che legge e mi domando cosa poi stia covando dentro. Le chiedo a cosa stia pensando…

A dire il vero, all’inizio e per molti giorni non sono riuscita a pensare… ma solo a sentire…
Il vento, la polvere, la luce del sole e delle stelle, i rumori nella notte, i click delle macchine fotografiche nel silenzio, le risate…
Ci siamo incontrati a Roma. Io non conoscevo nessuno, a parte mio marito. Tutti un po’ riservati, consapevoli del fatto che la riuscita del viaggio sarebbe stata anche legata al gruppo. Ero certa, però, che sarebbe stato bellissimo. Era il nostro viaggio. Era un sogno che si stava avverando…

“Nata Libera” è sempre stato il mio film. Da piccola io ero Joy e sognavo Elsa. Poi ho avuto Rocky: penso al mio leone cresciuto con amore. Penso all’inevitabile doloroso distacco per inserirlo nel gruppo di leoni al momento giusto… È passato tanto tempo e lui è sempre stato il mio leone. E adesso vado verso il suo mondo…

Il viaggio è confortevole. Arriviamo ad Arusha. Tutto lo staff è preoccupato: stiamo bene? Siamo stanchi? Sono quasi stupita! Al lavoro a volte sono sfinita, nessuno mi chiede come sto! Carlo si concentra per il viaggio. Si vede che vuole sia perfetto. Ha una specie di negozio Nikon appresso, anche una specie di culla per neonato (mi dicono con rispetto che si chiama “seicento”). Tutti lo guardano, nessuno osa toccarlo. Partiamo.

I panorami sono bellissimi se sai guardare, ogni angolo del mondo ti offre spettacoli interessanti. Qui hai colori e natura che ti lasciano senza fiato, le piantagioni di caffè, la strada in mezzo alle case, i mercatini, i Masai che camminano e camminano.
La prima tappa è Lake Manyara. Percorriamo lenti una pista nel bush e spunta dinanzi a noi un elefante, due, tre, quattro elefanti, tanti elefanti, tante scimmie, tanti uccelli. Tutti pronti a farsi ammirare e… a girarsi quando li vuoi fotografare. Che impresa!

Le mie prime foto sono un disastro. Poco male, i fotografi le avranno fatte belle, guarderò le loro. Dopo Lake Manyara partiamo per il Serengeti. Dobbiamo passare per il cratere. Il mitico Ngorongoro, la montagna dell’acqua. Dall’alto vediamo mandrie, gruppi di animali che si spostano nell’erba gialla, verso l’acqua. Oggi lo attraversiamo soltanto, lo visiteremo al ritorno.

L’ingresso al Serengeti è un arco nella savana, una pista dritta nel secco di agosto. Subito gazzelle di Thompson ci accolgono correndo di qua e di là. Tre leonesse dormono sotto uno spinosissimo cespuglio. Non ho ancora capito bene come funziona, come entrare in sintonia con questo mondo. Guardo, ascolto, annuso. Invidio gli indigeni che sanno già cosa sta per succedere. Devo imparare anch’io a sentire questo mondo.

E poi il primo gruppo di bufali. Sono bellissimi, neri e lucidi sotto il sole, imponenti e dignitosi vicino all’acqua. Starei a guardarli ore, aspettando l’attimo da immortalare.
Dobbiamo arrivare a Moru, il nostro campo. Arriviamo che è quasi buio. È bellissimo, fra i koopies, in alto, con la vista sulla savana. Vita da campo.
Nei giorni successivi visitiamo Seronera, i koopies, tanti posti segnati sulla cartina… Kom ed Erick i nostri autisti: si fermano a chiacchierare con alcuni viandanti, chiedono notizie su dove sono stati visti gli animali. E ci portano senza dirci dove e perchè. Non vogliono deluderci con false illusioni.

E così inaspettato: un leopardo insonnolito, sull’albero, si gode la pancia piena. Ci guarda dall’alto, esempio di bellezza e mimetismo. «Come hanno fatto a indossare questa pelliccia viva e pulsante per sfoggiare un cadavere a teatro?», mi chiedo.

Le leonesse che si stanno preparando alla caccia: si riuniscono quando il caldo inizia a essere meno intenso. Una arriva da qui, una da là, una è già appostata e nessuno l’ha vista. Le gazzelle iniziano a preoccuparsi, annusano l’aria smettendo di brucare, sono nervose, saltano a zig-zag. Forse una di loro non vedrà domani. Sarà pasto per una famiglia di leoni, per sciacalli, iene e per chi ama gli avanzi della sera prima.

Mentre abbandoniamo il primo campo per dirigerci a Lobo, penso di aver visto così tante cose belle da non potermi aspettare altro. Eppure abbiamo ancora più di una settimana, quasi dieci giorni.
E anche Lobo è magico. Incontriamo le mandrie di gnu che stanno migrando vero Nord, verso il Mara. Sono tantissimi. A gruppi brucano e si riposano oppure procedono chiamandosi con il loro richiamo inconfondibile.

Tramonto e alba a Lobo. Poi arriviamo al Mara, fiume che rappresenta la vita e insieme la morte. Coccodrilli, ippopotami, carcasse contese dagli avvoltoi, alcune in acqua, altre vicino alle piste. Uno gnu isolato, ferito, distante dal gruppo attende, con dignità la fine. Non conosciamo la sua storia ma lo guardiamo rattristati e con rispetto.

Poi prendiamo una pista nel “giallo” e cosa ci troviamo difronte? Due rinoceronti neri. Non riusciamo a crederci. Sono grandissimi. Mi sento piccolissima difronte a loro. Potrebbero rovesciare la jeep come niente. Per noi si alzano da sotto l’acacia, si posizionano per farci fare le fotografie e se ne vanno, camminando tranquilli fino a un'acacia più in là.

E poi sul Mara la massa degli gnu. Cercano il posto per passare, il cross, aspettano di essere in tanti, anzi in tantissimi. Brucano, lottano, si riposano e si chiamano continuamente. Sembra che il richiamo li renda più forti per affrontare la prova difficilissima che li aspetta. È uno spettacolo che fa accapponare la pelle. Non riesco a vederli brutti, per me sono bellissimi, hanno delle sfumature del pelo davvero particolari, quelle barbe che a volte brillano al sole.

E qui Carlo inizia a capire che “razza di Federica” ha fra i piedi: «Non puoi dirmi che sono carini, sono tra i big five dei brutti!». Sarà ma a me piacciono.

Il nostro campo al Mara è sul fiume. Nella notte gli ippopotami ci deliziano con ogni sorta di verso. Chissà cosa gira intorno, nel buio: si odono versi, passi sospettosi, qualcuno annusa rumorosamente fuori dalla nostra tenda.

La partenza dal Mara è solenne. Non abbiamo potuto guadare il fiume con le jeep perché c’era troppa acqua e poteva essere pericoloso… Una buona scusa per tornare una prossima volta…
Dobbiamo fare il percorso inverso per il ritorno, ma il viaggio non è ancora finito e vediamo animali diversi. Tante zebre, giraffe, ancora gnu che adesso ci vengono incontro.

Una pausa al Lobo. Il Lodge è bellissimo, pieno di scimmie, procavie e agama (il coloratissimo parente africano del pogona), con un panorama mozzafiato.
Tramonto e poi domani mattina un lungo viaggio per raggiungere il campo al cratere.

Nel viaggio di ritorno ritroviamo leoni sui koopies, antilopi, gazzelle, elefanti e ogni volta sembrano diversi, hanno qualcosa di nuovo da dirci. Che meraviglia questa Africa, non andrei mai via.

Il campo sul cratere è in un bosco di acacie molto suggestivo. Le chiome a ombrello sono un tetto sulla testa che filtra la luce producendo ramages sempre in movimento. Ultimo giorno fra gli animali. Un elefante vecchissimo dall’aria molto nobile si riposa appoggiando la proboscide alle zanne immense. Una colonna infinita di zebre si dirige all’acqua per bere. Uccelli tra i più vari: gru, fenicotteri e hammerbird ci mostrano con orgoglio la loro bellezza. E il saluto finale viene da loro: i leoni. Un maschio con quattro femmine e i cuccioli. Li osserviamo e fotografiamo a lungo, da varie posizioni e in vari momenti. Rocky è qui.

Quando siamo tornati ad Arusha e abbiamo dormito in albergo, ci siamo guardati tutti e ci siamo detti “era più bello in tenda”: dormire, svegliarsi alla mattina, fare colazione con caffè e latte in polvere, le omelette del cuoco…
È stata una bellissima esperienza, poco descrivibile a parole, di cui sono anche un po’ gelosa. Penso che per noi sia stata unica e irripetibile. Ho già il Mal d’Africa, e questo anche grazie a Carlo –big six- e al suo accento genovese!

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