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A cura di:

A Journey Apart
Francesco Cianciotta

Viaggiando molto per lavoro, Francesco Cianciotta ha coltivato la sua passione più o meno segreta - la fotografia - vestendo panni insospettabili, eludendo così di fatto il problema dell'invasività dell'osservatore. Gli aeroporti sono diventati il suo luogo di elezione, concentrati di tecnologia e umanità, promessa di novità, incroci di folla e solitudine, anonimato e sospensione, cemento e figure sotto cieli diversi. Fotografando, fotografando, tra un transito e l'altro, il manager errante ha raccolto una serie di immagini battezzata A journey apart, sfociata nella pubblicazione del volume Un viaggio a parte (pp. 96, formato 40 x 25 cm, 70 bicromie, euro 55), pubblicato quest'anno da Federico Motta Editore.

© Francesco Cianciotta
© Francesco Cianciotta - Amsterdam

«Per afferrare il senso del mio lavoro», sottolinea Cianciotta «è necessario considerare lo strumento utilizzato: una macchin(ett)a senza pretese, acquistata per pochi spiccioli in un duty free, ma che possiede due caratteristiche rivelatesi poi cruciali. Innanzitutto, da un punto di vista strettamente tecnico, non c'è molto: un solo tempo (1/100), un solo diaframma (f/11) e una sola lente di plastica. In definitiva, più limiti che possibilità. Però questi limiti mi hanno permesso di concentrarmi sulle poche condizioni ambientali nelle quali uno scatto aveva una minima possibilità di riuscita. Resta in definitiva il fatto che ogni immagine di A Journey Apart è da considerarsi un'eccezione, una sfida statistica al calcolo delle probabilità (in effetti, 50 immagini estratte da circa 6000 scatti non sono una resa numericamente straordinaria)».

Sullo status che un apparecchio fotografico conferisce al fotografo, Cianciotta afferma che «tanto più l'attrezzatura è sofisticata, tecnologicamente avanzata, ingombrante, tanto più questa riverbera autorevolezza e rispetto. Equipaggiato della mia macchin(ett)a questa autorevolezza non mi è stata mai riconosciuta. Il che mi ha dato una grande libertà: in nessun aeroporto del mondo sono mai stato preso sul serio e al contempo nessuno mi ha mai percepito come una minaccia: anzi, venivo accolto con sorrisi ironici e una benevola condiscendenza, al punto che, vestito da manager (abito scuro, cravatta e bretelle) durante una trasvolata verso Boston, un pilota si mise disinvoltamente in posa dentro il cockpit prima dello scatto. Ma ciò che ha determinato la riuscita di questo progetto è che, in realtà, non ho avuto un progetto da seguire. Per dodici anni ho fotografato negli aeroporti senza un vero scopo, spinto solo dal piacere di farlo, perso e ritrovato nell'osservare spazi senza luogo e senza tempo, incapsulato nelle attese, confondendo l'alba con il tramonto. Non è forse così che inizia ogni viaggio?».

A uno specialista di non-luoghi, l'antropologo francese Marc Augé, è stata affidata l'introduzione del libro Un viaggio a parte di cui di seguito riportiamo alcuni brani.

«Gli aeroporti sono l'archetipo del non-luogo, se con questo termine si vuole intendere uno spazio in cui non è possibile intrecciare né relazioni sociali né storie condivise. Qui si incrocia e si sfiora una folla di individui che non vedremo mai più; persone presenti con il solo titolo di "passeggeri", vale a dire clienti in movimento nello spazio e nel tempo. Il passeggero ha una destinazione nello spazio; più questa destinazione è di difficile accesso, più è oggetto di attenzione da parte dei responsabili dell'aeroporto e dei rappresentanti delle compagnie aeree, ansiosi di garantire lo svolgimento dei collegamenti nelle migliori condizioni possibili. Il viaggiatore "in transito" è tra i più singolari; il suo percorso lo individualizza e si arriva ad attenderlo all'atterraggio per assicurare il suo "trasferimento" nei tempi previsti. L'individualità del passeggero, la sua singolarità, misurata in base all'attenzione di cui è oggetto da parte dei professionisti del trasporto aereo, è quindi condizionata (oltre che, ovviamente, dalla classe in cui viaggia) dal suo itinerario nello spazio, cioè in definitiva dalla sua registrazione nel tempo, in una programmazione temporale sempre più difficile da garantire quando deve combinare diversi piani di volo.

© Francesco Cianciotta
© Francesco Cianciotta - Brasilia


 
L'aeroporto è quindi lo spazio in cui si combinano più o meno difficilmente (basti pensare ai giorni di sciopero) il non-luogo degli uni (ciò che a volte viene definito un "luogo di passaggio") e il luogo degli altri (il luogo in cui lavorano). Questa duplice dimensione è resa più complessa dalla diversità degli aeroporti. Si assomigliano, questo è certo, e non si smetterebbe mai di mostrare i modi in cui i più importanti aeroporti contribuiscono all'uniformazione estetica del mondo, poiché obbediscono alle stesse necessità tecniche, sono disegnati da architetti che si ispirano l'un l'altro, quando non sono gli stessi, e sono tenuti, per vocazione, a simboleggiare la più estrema modernità. Ma non sono a compartimenti stagni. Il continente e il Paese che servono penetrano al loro interno da ogni parte: le pubblicità, i negozi, i dipendenti, la polizia e i doganieri mostrano stili molto diversi. La musica e le sonorità della lingua (non fosse altro che attraverso le chiacchiere spesso molto volubili dei dipendenti di ritorno a casa) aggiungono immediatamente un tocco di colore locale. Il colore del cielo e la temperatura si intuiscono o si fanno sentire subito dopo l'arrivo, quando i passeggeri devono prendere un autobus all'uscita dell'aereo. La divisione tra quelli che sono tornati a casa o che ci stanno per tornare e gli altri si aggiunge alle precedenti e le attraversa tutte.

© Francesco Cianciotta
© Francesco Cianciotta - Flying to Boston

Tutte queste divisioni sono facili da individuare e il viaggiatore distratto le percepisce a volte senza prenderne coscienza. Lui stesso, infatti, si sente più a suo agio negli aeroporti che conosce meglio. Se viaggia molto per lavoro, avrà infatti più punti di riferimento che gli sono familiari. Come i piloti e gli equipaggi che, una volta liberati dai loro doveri contrattuali, si riuniscono in piccoli gruppi ciarlieri e si dirigono con passo deciso verso l'uscita principale, visibilmente ansiosi di ritrovare al più presto il comfort del loro hotel abituale, il viaggiatore prova un senso di disinvoltura, di competenza, di superiorità vagamente aristocratica che lo distingue radicalmente dai suoi compagni di viaggio e da tutti i turisti, felici ma un po' persi e che cercano timidamente l'uscita. Le ragioni del viaggio (lavoro, famiglia, vacanze…) sono quindi un altro fattore di diversità e di discriminazione tra gli uni e gli altri, questa volta per quanto riguarda gli utenti. Non vi è nulla in questa diversità che permetta di immaginare la creazione del minimo legame sociale duraturo tra le mura di un aeroporto.

L'architettura interna dell'aeroporto è evidentemente concepita per prevenire e calmare queste tensioni. Le file parallele di poltrone in plastica, il moltiplicarsi degli schermi in cui vengono visualizzate le destinazioni, gli orari e i punti d'imbarco, la voce soave delle signorine che diffondono le indicazioni o chiamano qualche ritardatario, i televisori in cui vengono trasmesse a ripetizione le notizie del giorno (come a non voler strappar via il passeggero dal suo ambiente naturale) danno un'impressione di ordine assoluto e di calma relativa. Le boutique, le aree duty free, i bar e i caffè hanno lo scopo di soddisfare e suscitare il desiderio di consumo che è il segno del tempo e che diventa esasperato nelle aree di passaggio, dove sembra essere il rimedio contro l'angoscia. Nelle sale riservate ai passeggeri delle classi superiori il lusso relativo punta alla comodità delle poltrone, all'allontanamento della folla e ai consumi gratuiti di cui alcuni abusano e che sono, come il resto, un segno di "distinzione", per riprendere il termine di Bourdieu. Il passeggero nell'aeroporto è quindi incastrato tra la coscienza del suo itinerario singolare (nel doppio senso del termine: ha con sé la propria storia e la carta d'imbarco) e quella della sua solidarietà meccanica con una folla cosmopolita di cui condividerà la sorte in caso di sventura (in caso di sciopero o di attentato, ad esempio). Il passeggero nell'aeroporto si rende conto empiricamente, concretamente, che è solo al mondo ma, consultando i pannelli degli arrivi e delle partenze, o sfiorando le figure pigiate di coloro che vengono da altrove e vanno altrove, prende improvvisamente coscienza di avere il mondo sotto i propri occhi. Stordito dalla particolare atmosfera dell'aeroporto, paradossalmente si ritrova un po' a casa propria soltanto quando trova il suo posto sull'aereo che lo porterà lontano, forse all'altro capo del mondo.

© Francesco Cianciotta
© Francesco Cianciotta - Sao Paulo

(Al loro arrivo) Ci sono passeggeri che non vengono attesi e altri che vengono attesi e, tra questi ultimi, quelli che cercano di decifrare i piccoli cartelli sorretti dai vari autisti di aziende o di hotel (quelli che sono più o meno autorizzati a considerarsi dei vip e che sono per la stragrande maggioranza uomini) e quelli che si ritrovano in famiglia o tra amici. L'aeroporto è anche questa porzione di spazio in cui, in pochi minuti, delle folle si frantumano e si disperdono in migliaia di singoli itinerari. Migliaia di individui si perdono di vista senza essersi mai veramente guardati e senza aver condiviso nulla, se non un insieme di paesaggi apparentemente neutri e di sensazioni apparentemente banali. Eppure non si sa se abbiano o meno vissuto, e se rivivano a ogni viaggio, l'esperienza estetica di ciò che si potrebbe definire la nostra contemporaneità.

È la forza delle fotografie di Francesco Cianciotta – fotografie in bianco e nero che, ai nostri occhi, hanno il colore atemporale dei ricordi non datati – che costruisce una sorta di aeroporto "generico", nel senso inteso dall'architetto Rem Koolhaas quando parla di città "generica", quella che, appunto, "assomiglia ai suoi aeroporti". Penso anche al fotografo Basilico che, con le sue fotografie che ritraggono molte grandi città del mondo, a volte dà la sensazione di aver fotografato una sola città, cioè di aver fotografato il mondo. Ciò è ancor più vero in questo caso: il mondo è l'oggetto del fotografo, ma questo mondo è un aeroporto – un aeroporto dove il cielo e la meteorologia si scoprono attraverso immense aperture vetrate che esaltano l'opposizione tra interno ed esterno. Una nuvola, uno scroscio di pioggia, un raggio di sole, che cambiano in un secondo il colore e la luce delle piste di decollo, ricordano in ogni momento ai passeggeri distratti ciò che i piloti sanno da sempre: che l'aeroporto è innanzitutto uno spazio denudato, concepito per sfidare le forze naturali. Le sue trasparenze, come quelle degli alti grattacieli dei quartieri d'affari, sono commisurate alla sua ambizione dichiarata. Da qui deriva l'impressione di forza generata dalla sua architettura, che crea un arco di spinta sul terreno ma che è tutta linee rette e angoli acuti. Gli aerei che si vedono schierati l'uno accanto all'altro da queste stesse aperture vetrate offrono un altro genere di contrasto, combinando la forma arrotondata della fusoliera con la forma tagliente delle ali, acute come lame.

© Francesco Cianciotta
© Francesco Cianciotta - Bruxelles

Apparentemente un po' persa in questo universo di trasparenza e di tecnologia, in questa miscela di tempo e di spazio le cui oscillazioni vengono registrate dai tabelloni degli arrivi e delle partenze, la sagoma dei passeggeri, uomini o donne dalle provenienze più svariate, appare innanzitutto come un'illustrazione e un simbolo di solitudine, una solitudine essenziale che non ha nulla di aneddotico e non rinvia alla singola storia di nessuno. Il passeggero che scorgiamo nelle fotografie di Cianciotta è anch'esso un personaggio "generico". In piedi, esitante, cerca apparentemente la propria strada dopo aver imboccato la scala mobile che gli permette di cambiare livello. Raccolto, poi disteso, rassegnato, lo ritroviamo un po' più lontano, un po' più tardi, assorbito dalla sua lettura, come i suoi immediati vicini. Gli è stato senz'altro annunciato un ritardo che gli concede un po' di tempo. Lo rivediamo ancora mentre spinge, lungo un corridoio senza fine, un carrello sovraccarico o mentre sonnecchia su un divanetto. È lui, è un altro, siamo noi. Hanno tutti questo sguardo un po' attento e un po' perso che si ritrova, in tutte le sale d'attesa, sui visi di coloro che hanno l'aspetto di chi dipende da se stesso mentre dipendono interamente dal buon volere di qualcun altro.
Questo mondo fatto di anonimato e di tempo sospeso, che restituisce efficacemente lo sguardo del fotografo, non eserciterebbe una tale seduzione su coloro che irrita o che stanca, se non avesse l'intima certezza di essere fondamentalmente soltanto la forma esacerbata del mondo nel quale quelle stesse persone vivono tutti i giorni e, in questo senso, la sua intima verità».

© Francesco Cianciotta
© Francesco Cianciotta - La Paz

Chi sono

Marc Augé
Antropologo ed etnologo francese, è stato direttore dell'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. A partire dagli anni Ottanta ha elaborato un'antropologia della pluralità dei mondi contemporanei, attenta alla dimensione rituale del quotidiano e della modernità. Nelle sue indagini ha messo a fuoco nuovi modi di intendere le relazioni tra dimensione spaziale e appartenenza ai luoghi, coniando il termine "non-luogo": uno spazio anonimo e stereotipato, privo di storicità, in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione; uno spazio altamente rappresentativo della nostra epoca, caratterizzata dalla provvisorietà, dal transito e da un individualismo solitario.

Francesco Cianciotta
Sociologo, consulente, ha ricoperto il ruolo di manager per una multinazionale nel settore delle ricerche di mercato. Fotografo da sempre, privilegia una ricerca artistica in progress, basata sull'osservazione della realtà circostante il percorso esistenziale legato al suo ruolo professionale: in questo ambito ha prodotto lavori quali "A journey apart"  (raccolto in "Un Viaggio a parte", Ed. Motta 2009), "Concrete Pause" e "Impermanent Rooms". Espone dal 1995 in Italia e all'estero con personali e collettive; i suoi lavori fanno parte di collezioni pubbliche e private italiane ed estere.
fcianciotta@gmail.com

© Francesco Cianciotta
© Francesco Cianciotta - Shanghai

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