Le origini della fotografia di matrimonio

A cura di: Edoardo Agresti


Il ritratto della regina Vittoria che convola a nozze
con Alberto di Sassonia, è probabilmente la prima
fotografia di nozze della storia.

Se domandate a qualche wedding planner quando nasce la tradizione dell’abito bianco legata al matrimonio, vi risponderà nel 1840, in occasione delle nozze della regina Vittoria con Alberto di Sassonia. Ma se chiedete a un wedding photographer quando nasce la tradizione di fare fotografie a tale evento, difficilmente vi darà una risposta.

In effetti quello che possiamo dire con certezza è che il 1839 è l’anno con cui, ufficialmente, grazie agli esperimenti di Henry Fox Talbot, si identifica la nascita del negativo (calotipo nello specifico). Da allora fu possibile riprodurre all’infinito ciò che la luce “scriveva” in quel materiale fotosensibile. In quell’anno nasceva infatti la fotografia.

Qualcuno afferma che fu proprio durante le nozze della regina Vittoria che nacque la “fotografia di matrimonio”. In effetti, anche le mie ricerche non hanno condotto a fotografie di matrimonio antecedenti il ritratto della regina e del suo consorte. Quella foto ufficiale ebbe tanta diffusione che, salvo sorprese, potremmo datare con l’anno 1840 la nascita del “fotografo di matrimonio”. Sono passati 172 anni.

 



IL REPORTAGE: COSA VUOL DIRE? COME SI IMPOSTA? COME SI APPROCCIA?
(non solo da parte dello sposo e della sposa)

Sono passati 172 anni dalla nascita della fotografia di matrimonio, ma se guardiamo quel ritratto – influenzato sicuramente dal ritratto pittorico –, ci accorgiamo che forse, ancora oggi, ci sono fotografi che continuano a proporlo.
Ora dobbiamo fare una riflessione e distinguere quella che si chiama tradizione (quindi legittima) da ciò che invece è una stagnazione di una forma artistica quale spesso è considerata la fotografia.


Se guardiamo alla evoluzione nel tempo di qualsiasi arte, come la pittura, la scultura o alcuni settori della fotografia (moda, viaggio, still life), notiamo come nei decenni si siano alternate profonde ricerche a cambiamenti di stile.
Entrambi hanno portato a opere sempre diverse, legate talvolta ai profondi mutamenti sociali che il paese stava vivendo.
L’evoluzione della fotografia di matrimonio è invece piuttosto recente, avendo vissuto nel corso degli anni una forte stagnazione (almeno in Italia). Ciò ha consolidato, nella percezione comune dell’immagine del fotografo di matrimonio, l’idea di un professionista di secondaria importanza che costringe gli sposi a delle pose stereotipate e innaturali.

Il fotografo di matrimonio spesso non viene nemmeno identificato come un professionista, essendo associato a un amico o a un parente che si diletta con la macchina fotografica.
Tutto questo era ahimè drammaticamente vero fino a pochi anni fa e, per colpa di questa visione standardizzata dello scatto nuziale, si è arrivati alla scarsa considerazione che nel mondo della fotografia (che conta) si ha del fotografo matrimonialista.

Da alcuni anni però le cose sono cambiate. L’avvento del reportage, del cosiddetto fotogiornalismo anche nel racconto del matrimonio, ha portato e sta portando una ventata di novità in questo interessante settore fotografico.
Con ciò non voglio dire che chi preferisce una fotografia “non fotogiornalistica” di tale evento sia “vecchio”. Ma che la fotografia classica, posata, è qualcosa di già visto e che il rischio di standardizzare gli scatti, è purtroppo tangibile.
Ma facciamo un passo indietro. Cosa vuol dire fare del reportage? Reportage è una parola che deriva dal francese e significa “riportare”, nel senso di raccontare.
Il termine è quindi legato fondamentalmente a un evento, a una storia, a un episodio, a situazioni che devono essere in qualche modo descritte, documentate, raccontate appunto. Questo termine, da solo, lo si associa ai giornalisti che lo utilizzano servendosi “dell’inchiostro e della penna”, ma con il prefisso “foto” entra in gioco il fotografo, con la “luce e la camera”.

Il fotoreportage dovrebbe quindi con le immagini raccontare l’evento. Le fotografie dovrebbero essere la narrazione di una storia. Ciò dovrebbe essere ovvio, ma non lo è: nel reportage non deve esserci costruzione, non si deve intervenire per modificare la scena o pilotare i protagonisti, non si deve fare della fiction.



I
l fotografo – e spesso sta proprio qui la sua bravura – dovrebbe muoversi intorno all’evento per descriverlo, per cogliere dei gesti, delle emozioni, per fissare degli attimi.
Dall’insieme di tutti gli scatti si riuscirà così a leggere la storia di una vita, di una guerra, di una malattia, di un dramma oppure la preparazione di un concerto, di un festival o il giorno del matrimonio appunto.
Perciò, se si interpreta il matrimonio come un evento da raccontare, l’approccio del fotografo dovrebbe essere – almeno dal punto di vista formale - lo stesso con cui avvicinerebbe qualsiasi altra storia.
Certo, lavorare con questa visione dello scatto e considerare quindi il matrimonio come il reportage di un evento, è forse uno degli assignment più difficili con cui un professionista deve confrontarsi.
Deve essere buona la prima, perché se sbagli il servizio non è che puoi aspettare l’anno dopo o chiedere alla coppia e agli invitati di rifare tutto daccapo. Come sostiene il fotografo Ferdinando Scianna in una sua intervista(1), quando documenti lo devi fare al meglio, con il diaframma giusto e alla giusta distanza dal soggetto, e non hai tempo di pensare troppo alla tecnica – quella la devi conoscere a prescindere – perché l’evento va avanti e molto di quello che accade dura giusto il tempo di pochi secondi.
Il “momento decisivo” bressoniano vale a maggior ragione nel giorno del matrimonio.
Significativa a tal proposito è la bellissima lettera che George Rodger scrive a suo figlio(2).

Quando porti avanti un progetto fotografico, magari impieghi alcuni mesi, addirittura anni e se ancora non sei soddisfatto, puoi sempre rimandarne la pubblicazione. Se si “racconta” il matrimonio no! Tutto si esaurisce nell’arco di poche ore e il servizio deve uscire al meglio senza se e senza ma.
Tecnica, arte, colpo d’occhio, cuore, taglio, personalità, approccio al soggetto, psicologia e molto altro ancora sono quello che un fotografo di matrimonio deve necessariamente avere. Deve essere discreto, ma continuamente attento per non perdere attimi importanti e unici. Deve saper “scomparire davanti al soggetto” come dice Henri Cartier-Bresson, ma al tempo stesso essere “abbastanza vicino” in linea con la filosofia di Robert Capa.
Deve guardarsi intorno alla Paul Fusco e deve saper dosare e capire la luce alla McCurry.
Insomma, occorre fare molta autocritica quando ci si propone come reportagisti del matrimonio perché, se fatto come dovrebbe, è tra i servizi più difficili che un fotografo possa realizzare.

 

FOTOGRAFIA: ETIMOLOGIA E INTEPRETAZIONI

Il termine fotografia, dal greco antico , phôs, luce e , graphè, scrittura o disegno, significa “disegnare con la luce” oppure “scrittura di luce”. Anche se i significati sembrano analoghi, c’è una profonda differenza concettuale, ancora una volta sottolineata da Fernando Scianna in un suo recente libro.
Se prendiamo buona la prima, allora il fotografo crea e lo scatto è il prodotto di qualcosa che lui stesso ha “disegnato”. Diciamo che in questo caso il fotografo è un artista alla stregua di un pittore, di uno scultore, di un poeta e così via. Se invece prendiamo legittima la seconda definizione allora è il mondo, la natura che scrive sé stessa, e quindi il fotografo si limita a fissare entro dimensioni finite ciò che già esiste. In tal caso niente viene creato dalla mente umana, perché già tutto è scritto. La bravura del fotografo sta nel dare sintonia alla definizione bressoniana del fotografare, ossia il mettere sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore.


NOTE:
1 • Tratta dal DVD “Ferdinando Scianna” della collana edita da Contrasto Fotografia Italiana
2 • La lettera completa si può leggere nel mio blog: www.blog.edoardoagresti.it

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