Come proporsi alla coppia

A cura di: Edoardo Agresti

Questo è un argomento che non può per sua natura avere delle linee guida che siano valide per tutti. Ovviamente sta alla sensibilità del fotografo usare delle argomentazioni idonee per vendere il suo lavoro. Infatti non voglio affrontare questo tema dal punto di vista commerciale, ma da quello professionale.
Spesso quando tengo workshop, seminari sulla fotografia di matrimonio o semplicemente dal confronto sui social network, emerge il problema di far capire l’approccio fotogiornalistico a delle coppie che magari sono ancora ancorate alla visione classica della fotografia.
Quando una coppia arriva nel vostro studio, dovrebbe in qualche modo avere già un’idea del vostro lavoro, del vostro stile. Oggi il fotografo non può prescindere dall’avere un sito Internet dove mostrare i propri scatti.
Ma questo può non bastare e allora è in occasione dell’incontro con i futuri sposi che il fotografo deve far capire come si muoverà durante la giornata.

È importantissimo che la coppia esca dal vostro studio con una visione estremamente chiara del vostro lavoro e del vostro modo di muovervi. Sottolineate sempre che il vostro stile è reportagistico e che eventuali foto costruite – tipo la sposa sul letto prima di uscire di casa, mentre guarda fuori dalla finestra, lo sposo che si toglie la giacca e sta appoggiato al muro, la coppia che corre mano nella mano e molto altro ancora – non fanno parte del vostro modo d’intendere l’evento. Ovviamente se vi chiedono la foto ricordo con i genitori siate disposti a farla, comunque suggerite sempre di fare anche quelle in modo spontaneo e naturale, magari durante l’aperitivo o la festa.
Spesso la coppia non ha le idee chiare su cosa significhi fare del reportage. Spetta quindi ai fotografi spiegare tutti i dettagli ed evitare di disattendere le richieste e le aspettative degli sposi.

Purtroppo c’è molta confusione anche tra i professionisti. Diversi “spacciano” per scatti spontanei e naturali foto palesemente costruite.
Ricordiamoci inoltre che non sempre la coppia ha una cultura fotografica tale da capire dei mossi eccessivi o dei tagli estremi nell’immagine, ma sta a noi cercare di motivare certe scelte e far capire – ovviamente argomentando seriamente uno scatto voluto e non giustificando uno scatto palesemente sbagliato – il perché di quella immagine. Direi che in questo caso è scontato – magari lo fosse – che il fotografo matrimonialista abbia maturato nel corso degli anni una sensibilità personale frutto anche di studi di fotografia e magari di storia dell’arte.



IL RITRATTO NEL REPORTAGE E IL RITRATTO CREATIVO (Creative Portrait)

Questo approfondimento sul ritratto può sembrare in contraddizione con quanto scritto in precedenza sul significato dell’approccio reportagistico al matrimonio. In realtà il ritratto è per sua natura costruito, posato. Senza scomodare l’etimologia della parola che ci porterebbe a sconfinare nella filosofia (il traho che significa “copia di” oppure dall’inglese il pro-traho che significa “stare al posto di”(3)), se pensiamo al ritratto ci viene in mente quello legato alla pittura o alla scultura. Quindi il soggetto fermo in una posizione spesso definita e pensata dall’artista che riproduce. In effetti nel caso del ritratto può venire meno il rapporto di spontaneità con il soggetto e il fotografo spesso interviene per disporre in qualche modo la coppia.
Credo che un buon reportagista dovrebbe limitarsi a muoversi intorno al soggetto per magari sfruttare al meglio gli sfondi o la luce, senza però dare indicazioni su dove guardare, come mettere le mani o altri “consigli” tipici dello scatto di moda. Diciamo che anche nel ritratto, se si lavora in modo reportagistico, si dovrebbe percepire una certa naturalezza e spontaneità.

Un sorriso colto all’uscita dalla Chiesa, una lacrima che cade durante la cerimonia, uno sguardo intrigante e d’intesa tra la coppia. Anche in questo caso il parallelo con la foto di viaggio è più che mai in linea. Se guardate il ritratto per antonomasia – Garbat Lula di Steve McCurry – e come è stato ottenuto (c’è un bellissimo reportage del backstage in un vecchio numero del National Geographic(4)) ci si rende conto di come il grande
fotografo americano abbia sì interagito con la profuga afghana, ma sia poi riuscito a cogliere quell’attimo che racconta una storia.

Se poi il fotografo reportagista volesse in qualche modo avvicinarsi alla cosiddetta “fotografia creativa”, ecco che nel ritratto può dare libero sfogo alla sua fantasia.
Esistono infatti da alcuni anni alcune “concessioni” al reportage puro derivante dal mondo anglosassone e americano: sono il “creative portrait” e il “trash the dress”. In questi casi il fotografo viene meno al suo carpe diem ma gioca con la propria fantasia e immaginazione. Questa parte, consiglio sempre di concordarla preventivamente con gli sposi, perché esula totalmente da quell’approccio di spontaneità con cui vi siete presentati e può anche influire pesantemente nelle tempistiche della giornata.


NOTE:

3 • Stefano Ferrari, Lo specchio dell’io
4 • La foto fu pubblicata nel 1985 in copertina della rivista National Geographic. Dopo 16 anni McCurry torna in Afganistan e la ritrova e la fotografa di nuovo. I due ritratti vengono pubblicati nel numero di aprile 2002 con tutto il reportage. Esiste anche un video che descrive l’incontro.

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