[Condi]Visioni


Orienti e Ritratti

Paolo Longo & Claudio Barontini



Due fotografi, per professione e passione, di cui Sguardi propone i racconti, le visioni: dagli Orienti, non più solo esotici, di Paolo Longo alle persone, non solo personaggi, di Claudio Barontini. «Ho cominciato a fotografare a diciassette anni, con una macchina prestatami da un'amica», racconta Paolo Longo. «Una Pentax con un 35 mm dalla forma strana. Forse per questo inizio, quasi tutte le fotografie che ho fatto da allora sono molto ravvicinate. Io i miei soggetti li guardo sempre direttamente negli occhi mentre li fotografo. Da allora non ho mai smesso di fotografare.


Chang Yucheng. 2012. Un villaggio contadino a pochi chilometri dalla Capitale. A richiesta un gruppo di contadini abbandona per qualche ora gli strumenti di lavoro e si trucca per l’'Opera di Pechino, per mantenere viva la tradizione. © Paolo Longo



In questi anni ho seguito alcuni grandi modelli, August Sander, William Klein, Dorothea Lange, Rodchenko, ho percorso i diversi filoni della fotografia, arte, ritratti, reportage, bianco nero, colore e alla fine ho capito che sempre e comunque volevo essere un cronista, raccontare storie attraverso le immagini perché la fotografia è una scrittura che non ha bisogno di traduzione, capace di trasmettere emozioni e di costringere lo spettatore a far partire la propria immaginazione. Come la radio, per la quale ho lavorato per trent'anni e che attraverso le parole deve aprire un mondo agli ascoltatori.


Pechino. Novembre 2012. Poliziotti in Borghese per il controllo di Piazza Tienanmen. Il bilancio del Ministero degli Interni che gestisce la sicurezza all'interno del Paese è più alto di quello della Difesa. © Paolo Longo



Quando mi sono laureato la fotografia era parte integrante della mia tesi sulla religione popolare in Puglia che è poi diventata un libro. In Asia ho viaggiato per trent'anni, e negli ultimi undici ho vissuto, a Pechino, nella Cina della grande trasformazione economica e sociale che sta cambiando il mondo e che per me era il punto di partenza per esplorare un’area immensa e immensamente diversa. I giornalisti che hanno lavorato in Cina negli anni sessanta, raccontavano quanto i cinesi fossero tutti uguali nelle loro tute blu e sulle loro biciclette.


Shanghai. 2013. Sul Bund, lo storico lungofiume, le foto del matrimonio. Sullo sfondo Pudong, il quartiere della finanza internazionale inventato negli ultimi venti anni dove prima c’erano solo depositi portuali. © Paolo Longo



Per trent'anni dalla vittoria della rivoluzione alla morte di Mao il Paese è stato abituato a pensare in termini di collettività, di gruppi di lavoro, di masse in movimento. Io ho visto una Cina diversa, nella quale il racconto della collettività si stempera in un miliardo di storie individuali, di vittorie e di sconfitte, di ricchezza e di povertà, di scoperte, di battaglie, di rifiuti, di proteste ma sempre storie di individui alle prese con un nuovo mondo. In questi anni ho cercato di raccontare che la Cina di oggi è un paese di assolute contraddizioni.


Xia Zuhai. Il Mao del ventunesimo secolo, per tenere vivo il mito, come Elvis, si esibisce anche per il Partito Comunista. © Paolo Longo



La grande trasformazione ha spazzato via l'Oriente misterioso, fonte di ispirazione per gli artisti del passato. Oggi esiste l’Asia che ha troppa fretta di crescere per essere interessata all'Oriente, l'Asia che ha impiegato troppo tempo per diventare giovane, come direbbe Jean Cocteau, e ora non ha voglia di guardare indietro se non per attrarre qualche turista o qualche investitore in più. Paradossalmente il paese più legato alla tradizione è il Giappone che Roland Barthes definisce "il paese dei segni" e che per un breve periodo negli anni settanta era diventato un luogo dove perdersi. Pochi posti al mondo sono così ferocemente ancorati alle tradizioni e ai rituali più antichi pur vivendo nel futuro.


Giappone. Tokyo, aprile 2013. Una palestra di Sumo. Un abbraccio da trecento chili © Paolo Longo



Quando sono arrivato a Kabul, nell'estate del 1996, i talebani erano alle porte, la città viveva protetta dai sacchetti di sabbia intorno alle abitazioni. I Signori della Guerra corrotti e violenti avevano i giorni contati, qualcuno sperava che proprio loro, i talebani, avrebbero portato tranquillità. "Benvenuti se portano la pace" dicevano le donne in attesa della distribuzione del cibo. La delusione è stata immediata e durissima. I talebani hanno chiuso le scuole femminili, vietato alle donne di lavorare, la fila per la distribuzione del cibo si è allungata, le vedove sono le prime vittime, un tempo a occuparsi di loro erano le famiglie allargate, oggi la povertà le colpisce tutte.


Afghanistan. Kabul. Estate 1996. La distribuzione del cibo alle vedove. © Paolo Longo



Alla fotografia non ho mai rinunciato, anche quando lavoravo come corrispondente estero per radio e televisione, negli Stati Uniti, in Sud America, in Medio Oriente e infine in Asia. All'inizio naturalmente usavo la pellicola che ancora fa parte del mio bagaglio di fotografo, anche se nel frattempo sono passato al digitale. Oggi spesso mi scopro a usare anche il telefono con la sua crescente capacità di diventare macchina fotografica e quindi di cambiare, ancora una volta, la fotografia. La prima macchina che ho potuto comprare, una Nikon FTn con un 35 mm, ce l'ho ancora, icona pop di un'epoca che sta tramontando».


Pechino. 2013. Il maestro di Tai Qi nel parco del Bambu Viola. I parchi sono il grande polmone verde della Capitale cinese, dai tempi degli Imperatori il rifugio per sfuggire ai tormenti della vita quotidiana. © Paolo Longo



Dal reportage al ritratto. Un'incursione nella fotografia di celebrities la consente Claudio Barontini che ha raccolto oltre venticinque anni di scatti nella sua mostra Ritratti (1990-2016), in scena dal 5 agosto all'11 settembre al Museo Fattori, Granai Villa Mimbelli di Livorno. L'ultimo quarto di secolo raccontato attraverso gli scatti alle celebrità, personaggi del mondo della moda, del cinema, dell’arte e dello spettacolo immortalate dal fotografo livornese per alcuni importanti riviste internazionali.



Tra le immagini in mostra, i ritratti in bianco e nero di Carlo d'Inghilterra, Sarah Ferguson, Mario Monicelli, Vittorio Gassman, Roberto Cavalli, Clara Agnelli, Vivienne Westwood, Patti Smith, Liam Gallagher, Franco Zeffirelli e di molti altri, immortalati da Barontini con il suo stile intimo, capace di creare un dialogo empatico tra fotografo, soggetto e spettatore, in cui a parlare è l’uso delle ambientazioni, degli sguardi, delle pose spontanee. «Nella fotografia - spiega Barontini - rifiuto ogni tipo di spettacolarizzazione. Rispetto il momento e la semplicità del reale».



Secondo il curatore della mostra Valerio P. Cremolini «Barontini è ugualmente persuasivo nel trasferire tecnica, naturalezza e verità nel cogliere con la consueta chiarezza formale momenti casuali, che escludono qualsiasi preordinata messa in posa. I suoi scatti, infatti, bloccano il succedersi di attimi speciali, che caratterizzano momenti del quotidiano di personaggi più o meno famosi. In queste circostanze il tempo sfugge ancor di più a qualsivoglia misurazione e alla fotografia merita di essere attribuita l'incontrastata regalità nel proporsi come mezzo privilegiato della memoria. Mai come oggi, travolti da migliaia di immagini, non tutto, ovviamente, viene conservato, ma quanto si ha piacere che non cada nell’oblio, continua ad attivare processi riflessivi e nuove intuizioni riguardanti sia la specificità della fotografia sia la piacevole rivisitazione di quelle particolari situazioni.



Non dobbiamo aver timore, pertanto, nell'affermare che la fotografia assolve a preziose funzioni documentative. "Ho ancora da vedere una bella fotografia che non sia un buon documento", dichiarava a proposito Berenice Abbott, fotografa statunitense dalle idee molto chiare. Nelle fotografie di Barontini, soprattutto in quelle libere, non programmate, dove per vari motivi non si possono perseguire i più opportuni rapporti di luce, emerge la sua lestezza nell'afferrare ugualmente la singolarità del contesto sia la personalità dei soggetti ripresi in posture disinvolte e inconsuete. In altra circostanza ho citato un pensiero dello storico dell’arte Giulio C. Argan allorché richiamando il "miracoloso attimo dello scatto" affermava che "la fotografia deve mirare non tanto a ri-prendere la realtà, ma a prendere la realtà, cioè possederla, penetrarla, per meglio interpretarla". Ritengo che sia un presupposto, mai trascurato da Barontini lungo i suoi laboriosi decenni di professione artistica, che emerge nitidamente sfogliando il suo vasto archivio in cui convivono tanta abilità ed altrettanta sensibilità».


Chi sono



Paolo Longo

Paolo Longo. Da gennaio 2004 a febbraio 2014, capo dell'Ufficio di corrispondenza della Rai da Pechino e dall'Estremo Oriente (dopo aver trascorso due anni in Medio Oriente come capo dell'Ufficio di Gerusalemme e dodici anni negli Stati Uniti a New York prima per il Giornale Radio, poi per tutte le testate giornalistiche della Rai). In precedenza aveva lavorato a Roma nella redazione Economia del Giornale Radio 1. Nel 2003 insieme a Manuela Parrino ha pubblicato un libro intitolato “La vita al tempo della Guerra, cronache da Israele e dai territori Palestinesi”, un resoconto sul campo della vita quotidiana della gente in uno dei momenti più difficili del conflitto mediorientale. In Rai dal 1984, in precedenza aveva lavorato come fotografo e documentarista. Negli ultimi anni ha vinto diversi premi giornalistici, tra i quali, il suo preferito, il Premio Hemingway. Nei più di vent'anni trascorsi all'estero ha realizzato documentari e reportage dagli Stati Uniti, dai conflitti in Centro America, dal Venezuela, dalla Colombia e dal Messico, poi l'Afghanistan, il Medio Oriente, lo Yemen e infine Cina, Giappone, Corea del Nord. Nel 2014 ha tenuto una mostra al Castello Svevo di Bari intitolata "La tentazione dell'Asia". Nel 2015 ha esposto le sue foto sulla Cina al Castel dell'Ovo di Napoli. Nel maggio 2016 ha tenuto una mostra nella Galleria dell'Accademia d'Arte di Macerata, intitolata "Il sentiero cinese".






 

Claudio Barontini. © Luca Papini


Claudio Barontini. Nasce a Livorno, nel 1954. Comincia a fotografare negli anni ‘70, quando, per circa otto anni, inizia a girare il mondo suonando il basso e il contrabbasso nell’orchestra della celebre cantante Milva. È in questa occasione che inizia a fotografare città come Parigi, New York, Boston, Amburgo, San Pietroburgo, allora ancora Leningrado, e molte altre. Nel 1979 inizia a collaborare come fotografo free lance per il quotidiano Il Tirreno. Nel 1982 realizza una lunga ricerca storico fotografica, accompagnata da testimonianze "vive", intitolata Livorno - Parigi - Costa Azzurra, incentrata sui luoghi vissuti dal pittore Amedeo Modigliani. Alcune di queste immagini vengono acquistate, nel 1984, dal Museo Progressivo di Arte Contemporanea di Villa Maria di Livorno e altre esposte in varie mostre come Omaggio a Modigliani al Museo Montmartre di Parigi. Nel 1990 diventa fotoreporter professionista e debutta con una pubblicazione su L’Europeo. Nel 1994 conosce lo scultore Pietro Cascella con il quale instaura un rapporto di stima, amicizia e collaborazione durato fino al 2008, anno della scomparsa del grande artista italiano. Nel 1995 contribuisce, come free lance, alla realizzazione dei numeri zero della rivista Chi. Da allora innumerevoli sono le partecipazioni artistiche e le pubblicazioni su prestigiosi periodici internazionali. Dal 2008 riprende l’attività espositiva in musei e gallerie d’arte.

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Claudio Barontini






 

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