[Condi]Visioni


Solidarietà

Grecia, Lying in Between + Repubblica Centrafricana, Al cuore nero del mondo



Lo spazio [Condi]Visioni di questo numero è dedicato a due progetti che raccontano visivamente il nostro tempo tormentato, situazioni sociali difficili e interventi di solidarietà conseguenti. Da una parte, Lying in Between. Hellas 2016 promosso dalla Fondazione Fotografia di Modena, che ha sempre sostenuto come un uso responsabile delle immagini possa contribuire a innescare riflessioni profonde sulla contemporaneità, mettere in discussione certezze e risvegliare le coscienze. Dall’altra, Al cuore nero del mondo sulla missione africana dei padri Betarramiti, un pugno di missionari italiani che da trent’anni ha rivoluzionato con la sua paziente e generosa opera la vita di un’intera regione di una delle nazioni più misere e disastrate del pianeta, il Centrafrica.




La locandina della mostra fotografica allo Spazio Aperto San Fedele Al cuore nero del mondo, di Vittore Buzzi. A Milano, fino al 17 dicembre 2016



La Fondazione Fotografia di Modena ha commissionato, nel maggio-giugno scorso, un lavoro sul campo per documentare l'emergenza umanitaria che si è prodotta in particolare in alcune isole greche a seguito delle forti migrazioni provenienti dalla Turchia e ha dato vita a una mostra che ne illustra i risultati: Lying in Between. Hellas 2016, al Foro Boario di Modena fino al prossimo 8 gennaio. In più, lo scorso mese, una troupe di ripresa (video e foto) è ripartita per Lesbos, Kos, Samos e Chios con l'obiettivo di portare una testimonianza di solidarietà e aggiornare il materiale raccolto finora con ulteriori riprese video e immagini che entreranno a far parte dell’allestimento della mostra e saranno in grado di documentare come si è evoluta la situazione negli ultimi mesi (i dati diffusi dall’UNHCR evidenziano un drastico incremento degli sbarchi dai primi di maggio ad oggi).




Francesco Radino, dettaglio del polittico Una faccia, una razza, volti di migranti, abitanti di Lesbos e volontari, 9 fotografie 40x40 cm, stampa ai pigmenti su carta cotone


Alla missione hanno preso parte sette fotografi italiani caratterizzati da sensibilità e stili differenti: Antonio Biasiucci, Antonio Fortugno, Angelo Iannone, Filippo Luini, Francesco Mammarella, Simone Mizzotti e Francesco Radino. I sette fotografi impegnati nella missione si sono trovati "nel mezzo", in between, hanno potuto calarsi completamente nel contesto. In un primo momento hanno documentato la loro esperienza in tempo reale, attraverso una cronaca fotografica quotidiana, condivisa attraverso i canali web e social di Fondazione Fotografia. Al rientro in Italia, ciascuno ha rielaborato le immagini raccolte da una prospettiva personale e secondo il proprio stile, compiendo un'analisi più lenta e ponderata che ha dato luogo alle opere finali esposte in mostra.




Una bandiera greca sventola sul molo della spiaggia di Klima a Samos


Ad affiancare le loro opere e a completare l'allestimento della mostra c'è inoltre un'installazione video a tre canali, realizzata e prodotta da Fondazione Fotografia. Andrea Cossu, Daniele Ferrero, Mara Mariani e il direttore della fondazione Filippo Maggia hanno compiuto un viaggio negli stessi luoghi toccati dai fotografi, dando vita ad un racconto in parallelo. La mostra è accompagnata da un catalogo di Skira Editore (formato 28x24 cm, 120 pp., 28 euro) e da un programma di eventi collaterali, che comprende incontri con i fotografi impegnati nella missione, con scrittori, giornalisti e rappresentanti di associazioni e ong.




Antonio Biasiucci, The Dream, particolare, stampa inkjet


 

The Dream, il progetto portato avanti a Chios da Antonio Biasiucci, in linea con una poetica personale che da sempre si impernia sul costante tentativo di decifrare i codici dell'uomo, cerca di ridare spiritualità a semplici gesti, che diventano atti puramente simbolici impregnati di luci e ombre. Fotografare volti, mani e piedi in maniera ripetitiva e quasi automatica diventa un gesto rituale, attraverso il quale si vuole riconsegnare una valenza simbolica alla moltitudine delle immagini, cosicché il singolo non sia più singolo, ma nasconda e riveli un numero infinito di persone.



 


Antonio Fortugno, Hotel Captain Elias, stampa digitale, 68 x 95 cm


 

Il progetto CoO di Antonio Fortugno prende spunto dall'omologia tra la parola 'Coo', nome italiano dell'isola di Kos, e la formula chimica del monossido di cobalto, 'CoO'.
 I temi della forma, della memoria e del ricordo sono il fulcro cardine dell’opera: l'immagine geografica dell'isola viene ricostruita con il monossido di cobalto, per permettere poi di osservarne la disgregazione e il dissolvimento attraverso le immagini di un video. L'aspetto temporale del viaggio, dell'attesa e dell'abbandono prendono spazio all'interno della caserma di Linopoti (luogo predestinato all'hotspot di Kos), che assume i connotati di una quinta teatrale dove si è attori e spettatori al contempo, attraverso una sequenza di dieci immagini simili ma diverse tra loro. CoO è un lavoro intimista sulla condizione storica dell'uomo come viaggiatore, sul viaggio che ogni uomo compie a suo modo, lungo il corso della vita.



 


Angelo Iannone, Untitled #0309, stampa inkjet Giclée, 60 x 70 cm


 

Nulla che già non sappiate di Angelo Iannone è basato sull'indeterminatezza di un viaggio: sapere dove si vuole andare, ma non se si riuscirà a raggiungere l'obiettivo, né soprattutto quanto durerà il tragitto; un limbo in cui si è intrappolati. Una sensazione paragonabile a quella che si deve provare seduti su un aereo, senza avere la benché minima idea di quando si atterrerà, costretti all'interno di uno spazio ben definito senza alcuna indicazione temporale. Un tempo indefinito, quindi, da un lato. 
Dall'altro, un tempo che invece si frammenta attraverso il racconto mediatico e la percezione che si è soliti avere, completamente mistificata, di questi viaggi e di questa crisi umanitaria che, da lontano, diventa solo una parola che si sente troppo spesso al telegiornale.



 


Filippo Luini, dalla serie “The young men say hello”, stampa inkjet, 40 x 60 cm


 

The young men say hello di Filippo Luini è un lavoro nato dall'incontro sull'isola greca di Lero con un gruppo di giovani migranti afghani. Sono ospiti del centro di accoglienza Pipka, allestito in una ex-caserma italiana costruita negli anni venti, ai tempi dell’occupazione del Dodecaneso. In una stanza vuota attigua alla camerata in cui i ragazzi vivono, attraverso un processo fotografico interattivo, l’artista ha voluto raccontare il loro itinerario dal paese di origine alla Grecia, con l’aiuto dei pochi oggetti in loro possesso e altri presenti nello spazio nel momento dello shooting. Le immagini si muovono al confine tra il tableau vivant e la documentazione della performance artistica e rappresentano in modo stilizzato alcuni momenti significativi del loro viaggio.




Francesco Mammarella, dalla serie “Paura secondo grado”, stampe inkjet Giclée, 80 x 55 cm


 

La convinzione che in questo preciso momento storico la paura dell'uomo moderno nei confronti del prossimo sia in vertiginoso aumento è alla base del progetto Paura secondo grado di Francesco Mammarella. Tra i vari fattori che indica come sintomo di questa condizione c'è la costante volontà da parte della gente di isolare quanto la circonda in maniera più o meno evidente, talvolta addirittura di isolare se stessi in ogni modo e in ogni luogo. L'illusione di vivere in un mondo globalizzato ha reso l'uomo ancora più timoroso e diffidente. I profughi che giungono in Europa vengono raccolti in campi d'accoglienza circondati da alti muri, filo spinato e telecamere: gli stessi elementi che sempre più di frequente compaiono intorno alle abitazioni di noi occidentali.




Simone Mizzotti, Fortezze, installazione di 25 fotografie 30x25 cm ciascuna, c-print


 

In Camp Inn*** di Simone Mizzotti aree di servizio o di sosta, porti, ferrovie e campi, anziché sfruttati per lo scopo per cui sono stati concepiti, si trasformano in aree permanenti per la sopravvivenza. Tettoie delle pompe di benzina diventano tetti per ripararsi, la ferrovia si trasforma in un luogo di stanziamento e non più di passaggio. Dai porti non si salpa, si aspetta, e il terminal passeggeri diventa la casa per più di 800 persone. La terra, anziché essere coltivata, viene occupata per coltivare la speranza di sopravvivere e di ricongiungersi con le proprie famiglie. La permanenza di migliaia di persone ha determinato il trasformarsi di queste aree in terra di nessuno, creando una quotidianità quasi surreale, modificando le abitudini e trasformando il territorio.




Francesco Radino, dalla serie “No news, bad news”, stampa ai pigmenti su carta cotone, 106x150 cm


 

Francesco Radino ha portato avanti due lavori: No news, bad news e Una faccia una razza. Lo sbarco a Lesbos è un tuffo nel passato, non solo in quello prossimo popolato dai nostri ricordi ma di quello dell’intera umanità: qui la cultura occidentale affonda le sue radici e qui sono nate la filosofia e le forme più straordinarie di architettura e d’arte. Ma la Grecia è anche terra di grandi tragedie e questa dei migranti è solo l'ultima in ordine di tempo. Queste 'cartoline' da Lesbos ci portano insieme buone e cattive notizie, come nella vita di ciascuno di noi e come in ogni tempo della storia degli uomini. La tipica frase "una faccia una razza" usata dai greci nei confronti degli italiani è sempre stata quella dell'accoglienza. Oggi i greci di Lesbos estendendo quel concetto ai popoli migranti li riconoscono come propri fratelli, come fu in passato e come sarà in futuro.




© Vittore Buzzi

A Milano, fino al 17 dicembre, allo Spazio Aperto San Fedele c’è Al cuore nero del mondo, mostra fotografica di Vittore Buzzi, realizzata in collaborazione con la Congregazione Sacro Cuore di Gesù di Bétharram (Betarramiti), il Vicariato d’Italia, l’Associazione Onlus Amici e il Centro di comunicazione BetAgorà. Oltre 50 mila bambini hanno frequentato le classi dei padri Betarramiti, almeno 100 mila persone sono passate dalle loro cure, più di diecimila famiglie hanno beneficiato del microcredito per acquistare sementi. Grazie al loro dispensario-ospedale, i bambini non muoiono più di malaria né le donne di parto, sono nate 130 cooperative contadine e 50 scuole di villaggio, il loro centro assiste a domicilio mille malati di Aids. E il testimone-reporter Buzzi, arrivato «da un altro pianeta, laico e poco credente», confessa di aver «ricevuto una grande lezione da uomini semplici e tenaci che giorno dopo giorno, mese dopo mese, con perseveranza e umiltà fanno grandi cose».




© Vittore Buzzi


 

Scrive Roberto Beretta presentando le immagini del fotografo: «Il “cuore di tenebra” dell'Africa qualcuno l’ha già descritto magistralmente oltre un secolo fa, puntando il dito contro il colonialismo che ha sfruttato e violentato le culture diverse. Al "cuore nero del mondo" ora è sceso Vittore Buzzi, anche lui con le vesti dell’occidentale che penetra un mondo misterioso, perché a tratti oscuro, ma certo affascinante. "Cuore" perché il Centrafrica – lo rivela il nome stesso – si trova affettato dall'Equatore nel mezzo geografico del continente, e del mondo stesso infine: se è vero, com’è, che l’umanità ha mosso i primi veloci e guardinghi passi in quelle terre. Ma "cuore" nello stesso tempo in quanto materia pulsante di vita prepotente, così lontana dalle stanchezze manierate e virtuali dell'Europa. E poi "nero": nero come il colore araldico dell'Africa, nero come l'oscurità di un mancato sviluppo che incupisce i destini di tantissimi, nero come il buco profondo in cui si smarriscono troppe nostre incomprensioni. Nero, eppure sempre cuore. Cuore, ma macchiato di nero.




© Vittore Buzzi


 

Le foto di Buzzi restituiscono questo medesimo contrasto. Lui le ha scelte pacate, composte, quasi in posa: non le urlanti immagini della fame, delle violenze - ahimè tante volte vedute; questi scatti non muovono al pietismo. Sono persone (molte volte persino oggetti) contornate dai colori della modernità, ma nello stesso tempo velate da un’ombra inesorabile. Still life in cui le sfocature, i riflessi, le trasparenze - che sovente appaiono sugli sfondi - accentuano un’idea di domanda sospesa, anzi di attesa. Probabilmente è questo che il fotoreporter ha colto, affondando il suo sguardo negli orizzonti di uno sperduto avamposto missionario di una piccola famiglia religiosa nel Paese tra i più poveri del mondo. Non disperazione né rassegnazione, nonostante i postumi di una guerra incomprensibile ai poveri e la pochezza ancestrale delle risorse per vivere, dolori che vestono ogni viso di un velo. Che però non basta a nascondere la domanda di vita, la dignità profonda, la speranza, persino la gioia risorgenti continuamente come germogli da ferite che noi forse reputeremmo intollerabili.




© Vittore Buzzi


 

Vittore Buzzi ci vuole mostrare, cristallizzate nel fotogramma, le domande mute di un mondo che merita di più, e che vuole cambiare. “Piano piano”, magari: quest’espressione i missionari laggiù gliel'hanno ripetuta tante e tante volte; però con la tenacia di ricominciare ogni volta senza darsi per vinti. Lui, del resto, ha collocato come guide e modelli davanti alla macchina fotografica e a quella di ripresa degli europei testardi e irremovibili, tipi che in trent'anni di fedeltà africana e senz'alcuna enfasi, con l'indispensabile cooperazione dei locali nonché di molti volontari anche italiani, hanno costruito una silenziosa ma concreta rivoluzione per un intero territorio: decine di scuolette di brousse, un dispensario-ospedale che è il migliore della zona, tante cooperative agricole e una “banca delle sementi”, un centro d'avanguardia per l'assistenza domiciliare ai malati di Aids, pozzi, ponti, chiese, case… Risultati decisivi per l'intera regione del Nana Mambéré, dove, per esempio, oggi nessun bambino muore più di malaria. Il reportage di Buzzi documenta anche questo, ma ha l'ambizione di andare oltre: e si vede. Dove? Non lo possono sapere ovviamente i tantissimi bambini ritratti, non lo sanno neppure gli occhi socchiusi dei vecchi: ma come ciascun umano, del resto. Ciò che traspare è l’umile sfida di un gruppetto di irriducibili, che hanno osato nonostante le evidenze; piano piano, il mondo può cambiare. Batte il cuore nero».




© Vittore Buzzi


 

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