Giovanni Lattanzi

A cura di:

L'anima degli oggetti (e dei luoghi)


Restauratore impegnato nella pulizia di una testa in marmo
dalla Villa dei Quintili sulla via Appia, Roma

Il mio approccio con il mondo della fotografia è stato del tutto casuale. All'inizio degli anni '90 mi occupavo di archeologia subacquea come giornalista. Mai fatto foto in vita mia prima di allora. Le riviste illustrate mi dicevano sempre "grande scoperta, bella storia, ma le foto?". In quel periodo la foto archeologica era ancora la classica foto di cantiere, spesso bianco e nero, tecnica, piatta. Avevo un amico, fotografo pubblicitario, e gli chiesi di insegnarmi.
Acquistai la mia prima "macchinetta" nel 1991 e iniziai a sognare, e scattare. Lì capii che nella fotografia poteva finalmente liberarsi quell'inquietudine, quell'energia latente che da sempre sentivo pulsare nel mio animo. Leggevo Airone e sognavo. Le redazioni gettavano nel cestino le mie foto e le mie illusioni, ma non la voglia di riuscire. Sbagliavo e imparavo, guardavo e imparavo, scattavo e criticavo le mie foto con maggior durezza dei photo editor.
Ho faticato non poco, ma ero certo che quella spinta interiore, prima o poi, mi avrebbe aiutato a realizzarmi. Ho dovuto attendere ben 9 anni prima di vedere una mia foto su quel National Geographic che leggevo con tanta ammirazione, sognando a occhi aperti. Confesso che il lavorare, dal 1993, come assistente per fotografi del Geographic quali Lou Mazzatenta e Jim Stanfield mi ha permesso di imparare moltissimo, facendo passi in avanti che da solo non avrei mai fatto.


Sala ottagonale, Domus Aurea, Roma

Sin da bambino (sono nato a Teramo nel 1964) desideravo fare l'archeologo, girare il mondo alla scoperta dei tesori delle antiche civiltà. Forse per questo il mestiere di fotografo e giornalista mi ha indirizzato sin da subito nel campo dei beni culturali e dell'archeologia, che rimane tuttora il mio principale settore di interesse, anche se adoro in pari misura fotografare le tradizioni e il paesaggio.

Per me fotografia vuol dire liberare la fantasia, stravolgere la realtà, evocare le più ancestrali suggestioni, dare corpo al sogno del fanciullo che è in noi. Mi piace molto giocare con i colori, le forme, le prospettive, trasformare la piatta realtà in una scena da fiaba. Adoro le simmetrie rotte da un dettaglio asimmetrico.
Quel che stupisce nella foto, in fondo, è il vedere in una maniera assolutamente nuova e inusuale le cose che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Credo che fare foto voglia dire mostrare il mondo filtrato attraverso la propria cultura, e la mia è una cultura profondamente influenzata dalle suggestioni medievali, dalla passione per la storia, dall'amore per l'arte, dalla Fede.

Ogni oggetto ha un'anima, cosi come ogni luogo. Sta alla nostra sensibilità percepire il respiro di Dio in un paesaggio, la passata presenza degli uomini che hanno creato e vissuto un castello, un palazzo o una povera capanna; udire, in una notte medievale, il brusio dei fedeli intenti alla preghiera in una chiesa romanica o rivivere le emozioni di chi cesellò un gioiello e della dama che lo indossò.
Se per natura si percepisce tutto ciò, allora diventa una necessità il cercare di trasferire queste sensazioni nella fotografia. È l'unico modo che conosco per dare corpo alle mie emozioni.


Chiesa romanica di S. Clemente a Vomano, Guardia Vomano (TE)

Una spada romana non è solo un oggetto fatto di un certo tipo di materiale con determinate caratteristiche fisiche, il che rende necessarie specifiche soluzioni tecniche per la sua fotografia, ma è anche uno scrigno di suggestioni legate a tutto ciò che nel nostro bagaglio culturale e nella nostra immaginazione è connesso ad essa. Dalla commistione di questi due fattori nascono le mie immagini.

Per giunta, col passare del tempo ho realizzato che fotografare un oggetto o un luogo equivale a impadronirsene in una maniera del tutto esclusiva. Riprendere un oggetto illuminato in modo particolare, o cogliere le luci uniche di un attimo irripetibile, vuol dire divenire depositari esclusivi di qualcosa che non sarà più possibile ripetere. La gratificazione sta nel poter dividere con altri, ossia i lettori di una rivista o di un libro, quell'unicità e nel vedere come essi stessi percepiscano almeno una parte di quello stato d'animo che pervadeva il fotografo al momento dello scatto.

A queste considerazioni, di tipo assai personale, si aggiunge poi un elemento che ritengo di grande importanza nella motivazione del mio lavoro. La divulgazione riveste un ruolo di grande importanza nel settore dell'arte e dei beni culturali. Se la gente impara a conoscere e apprezzare i tesori del passato, allora sarà più motivata a tutelarli, proteggerli, ma soprattutto capirli; e un'immagine suggestiva riesce a colpire l'attenzione e sensibilizzare assai più di mille appelli o pagine scritte.


Tempio di Serapide, Pozzuoli, (NA)

Attrezzature
Occupandomi di arte sono costretto ovviamente ad usare anche 6*7 e banco ottico 9*12, ma lavoro principalmente con il 35 mm per la sua eccezionale versatilità. Iniziai con Contax, ma passai rapidamente a Nikon. Era l'anno in cui venne presentata la F90, fu amore a prima vista. Ne ho 4, tre normali e una X. Macchine eccezionali, robustissime, sopravvissute a deserti, neve, pioggia, una è perfino caduta in un torrente senza grandi traumi.
La più anziana ha superato i 2000 rulli e non fa una piega. Adesso sto valutando di sostituire le più anziane con delle F100. Gli obiettivi vanno da 14 al 300 mm; come "normale" utilizzo un 20-35/2.8 AFD. Ricorro molto spesso a lenti speciali come i PC decentrabili per l'architettura e i micro (55 e in particolare 105mm, che ha una incisione straordinaria); adoro 14mm e fish-eye 16mm per la loro capacità di stravolgere la prospettiva in maniera, a volte, quasi "imbarazzante". Uso raramente filtri. Di solito li applico per correggere luci artificiali, a volte monto dei grigio neutro per allungare il tempo di esposizione in maniera da avere mosse le persone o l'acqua, qualche volta il polarizzatore.
Al contrario uso molto il flash, alcuni SB25 e 26, ma anche un anulare, per bilanciare la luce naturale, per riequilibrare quella artificiale sui volti e per ottenere il suggestivo effetto del mosso+flash, la mia vera passione. Intervengo molto spesso con illuminazione artificiale, lampade alogene a volte con filtratura, anche in esterni. La chiesa, ad esempio, è stata interamente illuminata, così come l'osservatorio. Per le pellicole scelgo Fuji, soprattutto Velvia per la sua capacità di esaltare i colori, a volte Astia per la morbidezza cromatica ideale in situazioni con differenti sorgenti luminose, 64T per le luci artificiali.

Digitale
Dallo scorso anno ho iniziato a fare alcuni lavori usando una digitale D1 con ottimi risultati, anche se devo ammettere che il tipo di immagini che realizzo può ancora affidarsi alla vecchia e cara (in tutti i sensi) pellicola.
Scatti particolari, come ad esempio le lunghe esposizioni con illuminazione a mano, sono ancora pane per emulsioni tradizionali. Faccio, al contrario, largo impiego di immagini digitali ricavate da diapositive. Ho digitalizzato l'interno archivio, che conta circa 60.000 immagini, grazie ad uno scanner Nikon LS2000 con lo speciale caricatore continuo SF200, che si è rivelato un accessorio indispensabile. Ho inserito un catalogo di immagini, soprattutto beni culturali e arte, sul mio sito www.archart.it e da li i potenziali clienti possono scaricare direttamente delle basse risoluzioni con le quali impaginare i loro lavori.


Rilievo di uno scavo archeologico,
San Vincenzo al Volturno (IS)

Al momento della stampa richiedono via Email gli originali.
Da un paio di anni tendo a distribuire direttamente le scansioni in alta risoluzione realizzate con il LS2000 e masterizzate su CD invece di far viaggiare le diapositive originali. Questo scanner infatti ha dimostrato di garantire ottima qualità fino a un formato A4.

Attualmente lavoro in maniera continuativa per riviste del settore beni culturali e archeologia, italiane e americane, come Archeo e Archaeology, per alcune case editrici e per Archeoclub d'Italia. Come freelance collaboro poi con numerose testate e case editrici, nazionali e straniere. Da alcuni anni mi occupo anche di editoria WEB e progettazione di CD Rom.

Il mio grande amore? Fotografare le chiese e i reperti archeologici. Il sogno nel cassetto? Un libro sulle più suggestive chiese romaniche del nostro paese.

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Francesco Cabras
Giovanni Lattanzi

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