Antologica

A cura di:

James Hill
Da qualche parte tra guerra e pace

Cos'è un "fotografo di guerra"? L'antologica dell'inglese James Hill - con estratti da reportage di guerre, conflitti etnici e situazioni critiche nel mondo realizzati negli ultimi dieci anni - fornisce qualche elemento di risposta. "Tra guerra e pace" ("Somewhere between War and Peace"), in mostra fino all'11 maggio nella Galleria Grazia Neri di Milano, è la prima di un ciclo di mostre che, nel suo decimo anniversario, la galleria dedica a reporter che operano come free-lance, spesso in situazioni di estrema difficoltà, per raccontare la Storia con la s maiuscola, a testimonianza dello spirito con il quale la galleria è nata e ha operato.


© James Hill
AFPAK 01-For the attention of foreign pix-Taleban prisoners of war from Kunduz,
mostly Pakistani, stood huddled on trucks on the road between Kunduz
and Mazar-i Sharif, after a group of 800 had surrendered to forces
of the Northern Alliance under the command of General Dostum.
They were being taken to an unknown destination.
Photo by James Hill/27 November 2001.

Di seguito riportiamo il testo che James Hill - che è vissuto a lungo a Kiev, Mosca e Roma ed è ora basato tra Mosca e Parigi (dal 1996 è fotografo a contratto per il New York Times) - ha scritto per l'occasione.

«La prima volta che andai a fotografare una guerra fu in Nagorno-Karabakh, agli inizi del 1992. Ero con un giornalista inglese, un veterano della Guerra in Afghanistan, che sembrava essere assolutamente noncurante nei confronti del suo destino e anche, cosa piuttosto preoccupante, delle mine. Un giorno eravamo con degli armeni irregolari che stavano pattugliando le postazioni difensive esterne di un villaggio azero, quando delle forze poste parecchio più in alto hanno cominciato ad attaccarci, costringendoci a stare giù per tre ore. Io mi sono steso con il naso nella terra di fronte a una montagnola e vedevo proiettili che sfrecciavano sopra la mia testa e che suscitavano la ridicola e strana tentazione di alzarsi in piedi. Il mio stato di "sogno ad occhi aperti" fu interrotto da un collega che mi chiedeva se avessi per caso portato del cibo con me, che so, un panino al prosciutto o al formaggio mi disse; sembrava essere più preoccupato di questo, che delle bombe che ci cadevano addosso.


© James Hill
A winter swimmer stepped out of a pool cut in the ice in the Silver Woods
in Moscow. 1996

Fin da allora sono rimasto molto sorpreso dal confuso confine tra realtà e assurdo nella guerra. Il lavoro di noi fotografi è un misto di momenti che vanno dalla monotonia allo straordinario, dall'eroico all'incongruo. Come quando ti capita di vedere un uomo afgano che continua a pregare mentre uno stormo di F18 vola sopra la sua testa. O quando vedi un soldato americano che chiede una sigaretta mentre dei colleghi a pochi metri cercano disperatamente di abbattere una statua di Saddam Hussein in Faros Square. Quanto ogni momento straordinario sia necessariamente avvolto dall'ordinario, come la voce della Storia urli altrettanto forte in questi istanti piccolissimi di quanto faccia nei momenti cruciali. Allo stesso modo, in un momento di pace, anche l'azione più silenziosa può essere eloquente. Quando una signora anziana esce con noncuranza da una pozza ghiacciata, è come se leggessi pagine di Tolstoj sull'animo dei russi.

Io sento che la fotografia di guerra è più accidentale che decisiva. Ci sono momenti in cui il volto pubblico di una persona viene svelato e si vede l'altra faccia, quella che normalmente è nell'ombra, che ci sta guardando e che racconta una storia che è molto più profonda e personale. A Beslan un mucchio di sigarette su una sedia può gridarmi l'orrore esattamente con la stessa intensità di un'immagine cruenta di attualità. A Mazar-i-Sharif, durante la prima inaspettata nevicata dell'inverno, un rifugiato in solitudine guarda fuori, incapace di credere che il destino possa essere così crudele. Sono fotografie che pongono domande e non risposte, immagini prese, come molti di noi che abbiamo deciso di diventare fotogiornalisti, in questa terra di nessuno, da qualche parte tra la guerra e la pace».


© James Hill

Chi è
Nato a Londra nel 1966, James Hill è cresciuto in Inghilterra e ha studiato storia presso la Oxford University. Ha svolto studi di fotogiornalismo presso il prestigioso London College of Printing, dove si è laureato nel 1991. Subito dopo si trasferisce in Unione Sovietica. Dopo cinque anni a Kiev (Ucraina), nel 1996 si sposta a Mosca con un contratto stabile al New York Times, per il quale documenta eventi politici e conflitti etnici in quasi tutte le ex-repubbliche dell'Unione Sovietica, soprattutto in Asia Centrale e nella zona caucasica. Dal 1998 si stabilisce tra Roma, Parigi e Mosca continuando il suo lavoro in Russia, volto ora a documentare la ripresa dei conflitti in Cecenia. Nel 2001 il suo lavoro sulla Cecenia è nominato dal New York Times per il Premio Pulitzer. Immediatamente dopo i fatti dell'11 settembre è inviato dal New York Times in Afghanistan, dove rimane dalla fine di settembre fino all'elezione di Hamid Kharzai a presidente il 22 dicembre. Il lavoro sull'Afghanistan gli fa meritare una menzione d'onore al News Photography in the Picture of the Year Awards e il suo web journal sul conflitto in Afghanistan riceve allo stesso concorso il primo premio nella sezione Multi-Media. Nel 2002 Hill vince il Pulitzer Prize for feature photography ed è tra i finalisti al Pulitzer Prize for news photography, sempre con il lavoro sull'Aghanistan. Negli ultimi cinque anni ha fotografato soprattutto in Medioriente. Nella Guerra in Iraq ha lavorato come fotografo indipendente, viaggiando con i marines americani su commissione del New York Times e di Time Magazine ed è stato uno dei sei principali fotografi scelti per la pubblicazione edita da Time Magazine "21 Days to Baghdad". Il suo web journal sull'avanzata delle truppe a Baghdad, "The Heart of the Fight," ha vinto il primo premio all'NPPA for Best News Picture Story on the Web. Nel 2004 Hill è stato ricoverato sei mesi per un grave incidente ad una gamba, ma già nel settembre dello stesso anno ha ricominciato a lavorare, recandosi in Russia a fotografare la strage di Beslan. Le sue immagini in bianco e nero delle conseguenze della tragedia avvenuta alla Scuola numero uno hanno ricevuto numerosi premi tra cui il primo premio General News Stories a World Press Photo, il Feature Photography Award all'Overseas Press Club of America e il Visa D'Or Magazine. Successivamente Hill ha fotografato i funerali di Yasser Arafat e la Rivoluzione arancione in Ucraina. Nel 2005 ha lavorato due mesi documentando per New York Times e Time Magazine i fatti connessi alla morte di Papa Giovanni Paolo II. Il suo lavoro è stato pubblicato dalle maggiori riviste internazionali tra cui: Time, Newsweek, National Geographic, Paris Match, The New York Times Magazine, Vanity Fair, Stern and Der Spiegel. Pur rimanendo fotografo a contratto per il New York Times, Hill lavora anche "su assignment" come fotografo free-lance per diverse altre riviste. È sposato, ha due figli. È distribuito da Contact Press Images, Laif e Grazia Neri.


© James Hill

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