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Il racconto dei testimoni
Alexandra Boulat e Andrew Lichtenstein

La galleria Grazia Neri di Milano compie 10 anni di vita e l'agenzia Grazia Neri ne compie 40. Un doppio compleanno celebrato con le esposizioni di due reporter sensibili al tema della guerra, dei conflitti, della condizione dei più umili e sfavoriti: "Modest, donne in Medio Oriente" di Alexandra Boulat (dal 17 settembre al 13 ottobre) e "Never Coming Home" di Andrew Lichtenstein (dal 22 ottobre al 17 novembre).


© Andrew Lichtenstein/Agenzia Grazia Neri
Cory Mracek, 26 anni. Ucciso a Iskandariyag, Iraq, il 27 Gennaio 2004.
Alcuni scolari guardano passare la processione funeraria,
Hay springs, Nebraska, 4 Febbraio 2004.

Spiega Grazia Neri: "La mia è sempre stata una galleria legata al reportage, attenta ai cambiamenti tecnologici e ai nuovi linguaggi della comunicazione fotogiornalistica. Una galleria sperimentale. Ispirata da scelte personali e talvolta coraggiose. Tra tanti fotografi che hanno documentato o stanno documentando la follia della guerra ho scelto senza esitazione Andrew Lichtenstein. La sua proposta di esporre il proprio reportage sui soldati americani morti in Iraq, composto da foto minimaliste ma di un'onestà sorprendente, il mio impegno, alla nascita dell'agenzia, nella diffusione di immagini legate alla guerra in Vietnam quali presa di coscienza collettiva dell'assurdità di quel conflitto, mi hanno orientata nella scelta di offrire ancora una volta una riflessione sul dolore, attraverso un lavoro umile e onesto".


© Andrew Lichtenstein/Agenzia Grazia Neri
Michael Wendling, 20 anni. Ucciso a Shaibah, Iraq, il 26 Settembre 2005.
Tomba, Theresa, Wisconsin, 5 Ottobre 2005.

Andrew Lichtenstein racconta: "Ho assistito per la prima volta a un funerale militare nel novembre del 2003. Un giornale locale aveva scritto che Jacob Fletcher, un soldato ventottenne di Long Island, sarebbe stato seppellito con gli onori militari nel cimitero nazionale di Pine Lawn. Centinaia di soldati americani erano già morti in Iraq; ero profondamente convinto del fatto che il loro sacrificio fosse importante, che le loro morti non dovessero essere ignorate. La cerimonia in sé fu breve. Un trombettiere ha intonato il silenzio, una guardia d'onore di sette soldati ha sparato in aria tre scariche di fucile, ventun colpi di saluto, e la bandiera americana che copriva il feretro è stata ripiegata con cura e consegnata alla famiglia di Jacob. Un funerale militare dà l'impressione di essere stato pensato durante la guerra, sotto il fuoco, al cimitero tutto si svolge in circa otto minuti. Nonostante la tristezza e il dolore attorno a me, ho apprezzato la semplicità e la bellezza della cerimonia.


© Andrew Lichtenstein/Agenzia Grazia Neri
Prince Teewia, 27 anni. Ucciso a Baghdad, Iraq, il 29 Dicembre 2005.
Funerali, Newark, Delaware, 13 Gennaio 2006.

In quel periodo le morti dei soldati in Iraq non venivano ancora raccontate dai media nazionali. È stato lì, accanto alla terra appena smossa della tomba del soldato Fletcher, che mi sono reso conto che per me non si trattava più solo di una storia. Era un compito che dovevo svolgere, una possibilità di essere testimone. Nella primavera del 2004, US News and World Report ha acconsentito a finanziare le mie spese di viaggio per partecipare a dieci funerali in diversi stati. Dato che le cerimonie erano brevi, e in un certo senso anche simili fra loro, sentivo che era importante aggiungere la differenza geografica. Ogni buon fotografo è anche paesaggista: questo viaggio significava per me una riscoperta del mio paese attraverso un percorso determinato dalla sofferenza e dalla morte. Così una settimana andai nelle grandi pianure del Nebraska, quella dopo nel deserto del sud dell'Arizona, poi fra i terreni lottizzati della Florida centrale. Avevo torto. Non importa quanto standardizzato sia il cerimoniale di ogni funerale militare, non ce ne sono due uguali. Nella contea di Berk, nel Massachusetts occidentale, la polizia locale aveva chiuso tutte le vie al traffico locale tranne che per i partecipanti al funerale. In Arkansas il padre di un ragazzo che aveva dato via tutti i suoi beni più cari prima di partire per la guerra, sapendo che non sarebbe più tornato, mi invitò dopo il funerale per un barbecue in ricordo del figlio. Non sentendomi a mio agio, non volendo offendere nessuno né essere un intruso, e ricordandomi sempre che le persone che vengono sepolte sono molto più importanti rispetto a una foto in più per un saggio fotografico, ci sono stati funerali ai quali non ho nemmeno estratto la macchina fotografica dalla borsa. E poi ce ne sono stati altri in cui sono stato una sorta di fotografo ufficiale, mandando poi le immagini per e-mail agli amici e ai familiari dei soldati.


© Andrew Lichtenstein/Agenzia Grazia Neri
Bryan Wilson, 22 anni. Morto nella provincia di Anbar, Iraq, il 1° Dicembre 2004.
Sua figlia, Breanne, mette una bandiera sulla sua tomba,
Pine Village, Indiana, 1 Luglio 2006.

Il rapporto con la morte è diverso da persona a persona. Per questo libro, dall'autunno del 2003 alla fine del 2006 ho partecipato a cinquanta o sessanta funerali, non so esattamente, non ho tenuto il conto. Alcuni sostenevano con tutto il loro cuore la guerra e l'amministrazione Bush che l'aveva iniziata. Una minoranza era arrabbiata col governo. Ma per la maggior parte di loro la morte del proprio caro era un fatto profondamente personale, al di là della politica. È da queste famiglie che ho imparato di più. Mi hanno aiutato a mostrare quello che davvero avevano perso, l'incredibile, inestimabile sacrificio umano della guerra".

 


© Alexandra Boulat
Rifugiate afghane a Quetta, in Pakistan, pregano per le vittime dei bombardamenti americani in Afghanistan. Pakistan, settembre 2001.

Il lavoro di Alexandra Boulat, tra i soci fondatori dell'agenzia VII, raccoglie immagini scattate tra il 2001 e il 2007: ritratti e storie di donne che vivono in Iran, Iraq, Afghanistan, Giordania, Siria, Gaza, West Bank, un viaggio nel quotidiano femminile di giovani donne che si confrontano ogni giorno con l'Islam, il fondamentalismo, la guerra, la violenza domestica. Per descrivere lo spirito con il quale le donne dell'Islam affrontano la vita e le relazioni umane e non lanciare una campagna per i diritti delle donne. L'intero lavoro è ispirato dal desiderio di arricchire la visione che in Occidente abbiamo delle donne musulmane, di mostrare la loro forza di carattere e di condividere un momento del loro destino. Un omaggio alle donne di cultura araba. La parola "modest" identifica la richiesta della società alla donna di tenere un atteggiamento pudico e riservato.


© Alexandra Boulat
In un centro governativo di accoglienza per donne sole o con problemi sociali,
un gruppo di orfane attende il proprio turno per parlare con una rappresentante
del parlamento iraniano (con il chador) invitata per l’Iftar,
momento serale di interruzione del digiuno durante il mese del Ramadam.
Teheran, Iran, 21 ottobre 2004.

Così la Boulat presenta il suo lavoro:

Iraq
Le immagini presentate sono un tributo alle donne irachene, i cui diritti sono del tutto svaniti quando è iniziata la guerra. Prima del marzo 2003 l'Iraq era un Paese laico. Né la cultura Mediorientale né la tradizione permettevano alle donne di comportarsi come le donne occidentali, ma almeno esse non dovevano preoccuparsi della propria sicurezza e dell'Islamismo. Fino alla caduta di Saddam Hussein, le donne irachene erano vincolate a una morale molto restrittiva, a costumi conservatori e a ruoli familiari di matrice araba, ma potevano andare in giro per strada, al mercato o nei ristoranti senza indossare abiti particolari. Posters di Britney Spears erano appesi nei suk, le ragazze la sera andavano in giro da sole mangiando gelati nei fast-food e le madri portavano i figli a scuola guidando le proprie auto. Oggi è tutto diverso. Le fotografie presentate in questa mostra sono state scattate agli incroci delle strade mentre le forze Americane bombardavano la periferia di Bagdad, durante l'invasione dell'Iraq nella primavera 2003 e successivamente quando Saddam scomparve lasciando le persone e il paese nel caos più totale.


© Alexandra Boulat
Al tempio di Hazrat a Mazar-i-Sharif nel giorno riservato alle donne.
Afghanistan, 29 settembre 2004.

Afghanistan, burqa blu un po' sollevati, ma tradizioni ancora rigide.
Le donne, per la prima volta in 20 anni, sono chiamate a votare. Ragazzi e ragazze siedono insieme nelle università. Tuttavia ancora molte donne muoiono cercando di riconquistare la libertà perduta dopo 25 anni di guerre e dopo l'ultimo periodo del regime talebano. Nel nord-ovest dell'Afghanistan, nel reparto ustionati dell'ospedale di Herat, Shaima lotta fra la vita e la morte. Come molte altre donne nel Paese, si è data fuoco per sfuggire alla costrizione del proprio ambiente, alla propria matrigna e ad un matrimonio sbagliato. A Kabul, Mouna era giovane e ribelle, non voleva seguire le regole imposte dalla società afghana, era diventata giornalista e presentava un programma per giovani su Tolo TV. Ma è morta presto, suicidandosi, come sostiene la famiglia, o forse uccisa dal fratello che voleva difendere l'onore familiare, tradito dal modo di vivere della sorella.

Iran, Chador nero e sciarpa chiara.
Le sorelle della Rivoluzione Islamica combattono le influenze occidentali. Dalle cadette dell'accademia di polizia femminile a Teheran, alle donne che pregano in massa nel cortile della moschea di Mashad, il valore più apprezzato in una donna mediorientale è la modestia. Poche donne spingono la moda al limite permesso dall'Islam, per cui anche una sciarpa o una calza possono rappresentare un problema. E Kalidja ha deciso di cambiare sesso ed è diventata donna col pieno sostegno di un'organizzazione governativa iraniana.


© Alexandra Boulat
Rifugiate afghane a Quetta. Pakistan, 15 ottobre 2001.

Donne di Gaza salvate dall'Islam.
Le donne combattenti di Hamas hanno un ruolo attivo, la loro missione è resistere alla violenza quotidiana e portare il loro aiuto a una società disperata. Tra essere donne kamikaze o strenue militanti sostenitrici della Pace, le ragazze di Gaza non hanno molta scelta.

Siria e Giordania.
Pur essendo la Siria un paese laico e la Giordania una monarchia aperta all'Occidente, in entrambi i Paesi la gioventù cresce fra valori conservatori e precisi codici familiari. Tuttavia i caffè di Amman sono più trendy di quelli di Gaza e a Damasco l'industria dei video clip non ha difficoltà a reclutare schiere di ragazze pronte a ballare in jeans e maglietta sui set televisivi dei cantanti arabi.

 

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