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Un mondo che non esiste più
Tiziano Terzani

Per Tiziano Terzani l'importante era raccontare fatti, storie, incontri. Con le parole, ma non solo. «L'invidia per i fotografi m'era cominciata in Vietnam quando si tornava dal fronte e quelli, avendo già fatto il loro lavoro, andavano dritti al bar, mentre a me toccava ancora mettermi con angoscia davanti al foglio bianco, allora infilato in una Olivetti Lettera 22, a cercare di descrivere con mille parole il bombardamento, la battaglia o il massacro del giorno che loro – i fotografi bravi almeno – avevano già raccontato in una sola immagine. Quella di cogliere il nocciolo di una storia con un clic è un'arte che mi ha sempre attirato. Per questo forse, da allora, sono sempre andato in giro con una vecchia Leica al collo quasi a rassicurarmi che, se mi fossero mancate le parole, una traccia di ricordo mi sarebbe rimasta nella pellicola». Terzani non faceva solo il giornalista, ma anche il fotografo perché spesso accompagnava i suoi reportage con i propri scatti. L'immagine è un'esigenza, diceva, là dove le parole da sole non bastano. «Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e i filtri giusti. Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. La grande foto è l'immagine di un'idea. Bisogna capire cosa c'è dietro i fatti per poterli rappresentare. La fotografia - clic! - quella la sanno fare tutti».

Le sue foto le rinchiudeva poi in grandi casse, sperando di riuscire un giorno a riorganizzarle. «Ci sono trent'anni di fotografie in bianco e nero di un mondo che non esiste più. Ti immagini la Cina che ho visto io nei primi anni? Il Vietnam, il Mustang, tutto quello che vuoi. E mi piaceva l'idea di mettermici a lavorare. Però è un lavoro cane. Ci perdi la testa a selezionare fra centinaia e centinaia di foto, per cui io non l'ho ancora fatto. Forse, se ne hai voglia, un giorno lo puoi fare tu». Il figlio Folco l'ha fatto, infine. Ha seguito l'idea del padre e l'ha trasformata in un libro, affiancando testi, editi e inediti, alle fotografie. Ne è uscito, scatto dopo scatto, un percorso complesso attraverso diversi Orienti, dal dramma della guerra e dai grandi avvenimenti della Storia fino al rifugio di quiete nell'Himalaya. Una narrazione in fotografie e testi, due linguaggi che qui si fondono dandoci il ritratto dei luoghi ma anche di se stesso (Longanesi, pp. 304, euro 22). Di seguito Sguardi propone la nota di Folco Terzani che chiude il libro.


© Tiziano Terzani - Longanesi & c. (c) 2010 - Milano

«C'è una stanza nella nostra casa con armadi pieni di scatole piene di buste piene di foto. Dappertutto si scorgono scritte a mano: VIETNAM, MUSTANG, BIRMANIA, LAOS. Ma nonostante le apparenze è un grande caos. Oltre alle foto ci sono pacchi di stampe a contatto con gli scatti migliori cerchiati violentemente di rosso, poi però quando uno va a cercarli, proprio quelli non si trovano. Quelli sono in un archivio di Der Spiegel in Germania dove Tiziano li spediva appena tornava da un viaggio, ad accompagnare i suoi articoli. Per cui il lavoro di andare a rimestare in quelle casse romantiche anche a Tiziano faceva paura. Certo, di tanto in tanto gli piaceva calarci una mano per vedere cosa veniva fuori e queste micce facevano partire un fuoco d'artificio di ricordi, e le storie fluivano.


© Tiziano Terzani - Longanesi & c. (c) 2010 - Milano

Non avendo tempo per fare questo lavoro lo lasciò a me. Mi sono messo a guardarmele tutte, quelle foto. Uno comincia facendole scorrere fra le mani come fossero acqua. Ogni tanto ne balza fuori una, ha qualcosa di particolare: il momento in cui un medico-mago attraversa un raggio di luce accanto a una maschera che lo guarda, o la risata di una donna con i denti di ferro nelle isole Curili che ti sorprende da quanto è viva. Devono essersi proprio capiti, quei due, perché lei rida così. Se uno tira fuori anche solo le immagini che lo colpiscono, presto si forma un'altra montagna. Questa deve di nuovo essere messa al setaccio. Soltanto della Cina, per esempio, le foto che rimangono sono centinaia e, quando le lasciavo sparse per terra fra la stanza da pranzo e il salotto, chi capitava in visita e doveva attraversarle in punta di piedi, lungo uno strettissimo guado, ne rimaneva affascinato. «Ma come, la Cina del 1980? Sembra il Medioevo!»


© Tiziano Terzani - Longanesi & c. (c) 2010 - Milano

Poi vanno bilanciate, non si possono avere decine di pagode, di templi fatiscenti, di draghi e mostri che ti guardano dall'oscurità. Anche se ci vuol poco a capire che era proprio questo quel che affascinava Tiziano. O quelle grandi statue in pietra che sbucano dai campi arati. Lui voleva documentare una distruzione, lasciare una traccia di cose che sentiva stavano per finire sotto le ruspe e non si sarebbero più viste; o che, restaurate e ridipinte - male - avrebbero perso la loro antica maestà.

Infine, tutte le foto vanno sistemate in un qualche ordine cronologico. E allora ecco che pian piano emerge qualcosa. Da giovane giornalista appena arrivato in Vietnam rimane colpito dalla guerra, dai morti lungo le strade. Li fotografa senza arte, solo con lo stupore che queste cose esistano davvero. Ma sono foto quasi impubblicabili, puro orrore. Poi, sempre di più emergono persone che gli stanno simpatiche, facce nei mercati dove, col pretesto di comprare, gli piaceva girellare, scherzare, sentire il polso di una città.


© Tiziano Terzani - Longanesi & c. (c) 2010 - Milano

In Giappone ha meno voglia di fotografare, sente una sterilità, una solitudine di uomini e donne in mezzo a tralicci e insegne pubblicitarie che sta per sopraffare anche lui. Ma poi va in Mustang. E già dal modo in cui ha fatto stampare quelle immagini, molto più grandi del solito, si vede che era fiero di aver riportato a casa come dei quadri. E finalmente l'India. Dell'India ha lasciato pochissime foto. Aveva smesso di girare con la penna nel taschino e la macchina fotografica attaccata al collo, come aveva sempre fatto. Lì viveva per sé e i propri pensieri. Non doveva più mandare ai giornali qualcosa da pubblicare. Eppure, in mezzo a queste ultime ci sono tra le sue foto più belle, più precise. Non vedeva più la violenza e nemmeno la povertà, o l'antichità delle rovine, solo una serie di atmosfere di pace che forse rispecchiavano quello che cercava fuori e cominciava a trovare dentro. Posti sempre un po' bui e misteriosi, ma benevoli, con personaggi insoliti che si distinguono appena dalle statue dei santi o degli dèi che stanno alle loro spalle. E poi, d'un tratto, in una foto fatta da chissà chi, con la data in automatico stampata in basso a destra, ecco lui stesso in mezzo a quei personaggi, uno di loro!


© Tiziano Terzani - Longanesi & c. (c) 2010 - Milano

Si arriva così alla sua ultima scoperta, quel bel posto alto sull'Himalaya. A questo punto non è più lui a fare le foto, perché non è più giornalista fotografo. Si occupa di altre cose, è visibilmente cambiato, si veste ancora di bianco ma con uno stile diverso, e ha la barba. È diventato lui stesso interessante da guardare. Così ora è lui il soggetto delle foto, non più colui che le fa. Ed è Angela, sua moglie, che a volte lo raggiunge lassù, a fotografarlo nei momenti di solitudine e tranquillità.


© Tiziano Terzani - Longanesi & c. (c) 2010 - Milano

Mancava in tutto questo soltanto la sua voce, che normalmente avrebbe accompagnato queste foto con i suoi racconti. Ma lì è stato facile. Rastrellando tutti i libri che aveva scritto e i diari che aveva lasciato, avvolti in carta da pacchi e legati con lo spago, si sono trovati, nemmeno a farlo apposta, i commenti a una gran parte degli episodi da lui fotografati. Le due cose sembravano scorrere in parallelo: quel che vedeva nella luce del sole era quel che la sera, sotto una zanzariera, appuntava nel suo blocchetto o raccontava intorno alla nostra tavola. Mentre con le foto inchiodava l'impressione del momento, le parole gli servivano per rifletterci sopra: le cispe negli occhi dei bambini in Mustang o la bambola dai capelli biondi, come fosse un relitto del Pianeta delle scimmie. Le mutilazioni della guerra, i trionfi, gli ideali che svettano scolpiti nel marmo, l'antichità che si sgretola o viene soppiantata da cubi moderni; il senso del viaggio e del destino, e poi la pace. Tutte queste sono atmosfere che aveva dentro di sé. Queste foto allora sono il ritratto di un mondo, ma anche di lui stesso, come quella faccia pensosa, malinconica e serena, del rinunciatario con la barba bianca nel tempio indiano. E non solo di quello che ha cercato, ma di quello che ha trovato. È questo il bello delle fotografie, che non sono idee astratte, invenzioni. Hanno qualcosa di concreto. Il mondo è stato proprio così, almeno per un attimo».


© Tiziano Terzani - Longanesi & c. (c) 2010 - Milano

 

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