Viaggi (lontani)

Roberto Morelli, Vietnam e Cambogia + Valentino Carnovale, Marocco

Viaggi lontani. Nel Sud Est asiatico, in Vietnam e Cambogia, con Roberto Morelli. Nel Maghreb, in Marocco, con Valentino Carnovale. «Ci sono diversi modi per guardare e ritrarre il mondo, rapportarsi con la realtà che si sta vivendo e cercare quindi di ritagliare la propria visione», inizia a raccontare Roberto Morelli. «Nei miei viaggi fotografici, che siano su commissione o piuttosto frutto di un progetto personale, ho sempre cercato di avere occhi nuovi, ricordando Calvino, perché possa avere una lettura visiva del mondo sempre pronta ad accogliere tutte le singolarità che mi si prospettano davanti. La fotografia di viaggio è occasione per conoscere luoghi e persone diverse. A volte testimonianza di qualcosa che rischia di scomparire, spesso esigenza di raccontare cercando di far immedesimare chi osserverà i miei scatti nella situazione vissuta in prima persona.
 


La calma dell'Interno di un caffè e la frenesia del traffico. Hanoi. © Roberto Morelli
 

Per questi motivi ogni viaggio è preparato meticolosamente, con largo anticipo - quando è possibile - in modo da calcolare bene gli spostamenti, i tempi, stringere qualche contatto locale e soprattutto conoscere quanto più possibile del paese in cui si viaggerà. Ma a volte tutto ciò non è facilmente attuabile e in alcuni casi il viaggio lo si costruisce passo dopo passo, sul posto, seguendo le proprie sensazioni. È stato il caso di un mio recente viaggio nel Sud Est asiatico. Avevo voglia di calarmi in una realtà completamente diversa da quella occidentale, dove il protagonista fosse semplicemente l’elemento umano e dove potessi raccontare la normalità della vita quotidiana attraverso i volti delle persone che avrei incontrato lungo il mio cammino. Il Vietnam è stata una scelta istintiva che si è rivelata dispensatrice di continue scoperte.
 


Cambio della guardia. Mausoleo di Ho Chi Minh. © Roberto Morelli
 

Poco meno di duemila chilometri separano Ho Chi Minh, la vecchia Saigon, da Hanoi, capitale del Vietnam. In mezzo un alternarsi di paesaggi agricoli, di risaie verdissime, di animati mercati sull’acqua e di piccole città come l’antica capitale Hué, patrimonio mondiale dell’Umanità dell’Unesco. Ma ciò che mi ha colpito fin dai primi giorni è stato un duplice contrasto. Da un lato, le metropoli iperdinamiche, in corsa verso il futuro come gli sciami di motorini - non più di silenziose biciclette - che mi avvolgevano letteralmente mentre attraversavo la strada; dall’altro, il ritmo rassicurante delle campagne o delle acque placide del delta del Mekong o ancora il silenzioso profumo degli incensi nei templi.
 


Tra le valli e le montagne di Sapa. Black H'mong woman. © Roberto Morelli
 

A un primo impatto, infatti, sembrerebbe che il Vietnam viva a diverse velocità ma per capire meglio questo straordinario paese bisogna interagire con le persone. Solo così mi si è svelato quel ritmo gentile più grande, un flusso (chảy in vietnamita), che accomuna tutto il paese da nord a sud. Ho scoperto così un popolo capace di ascoltare, di contemplare e di trovare la concentrazione anche nel dinamismo serrato di una megalopoli ma soprattutto capace di accogliere lo straniero. Un approccio che nel vecchio continente è spesso andato perduto e che per questo mi ha regalato interessanti spunti di riflessione. Un’anima contemporanea in veloce trasformazione e pronta ad accogliere il XXI secolo con un’ospitalità genuina che non tradisce la propria eredità storica e culturale.
 


In preghiera, Pagoda dell’Imperatore di Giada. © Roberto Morelli
 

Ma la storia recente del Vietnam non può non farmi pensare a un paese vicino che si è guadagnato una pace ancor giovane ma stabile, la Cambogia. Qui è la maestosità degli scenari a emozionare. La magia dei templi di Angkor, incastonati nelle radici del tempo riescono a destare ancora uno stupore unico, così come quello che mi ha pervaso nell’incontrare, all’alba, un piccolo gruppo di monaci che chiedeva un po’ di riso in un villaggio poco distante dal gioiello di arenaria rosa che è il tempio di Banteay Srei. Qui, per un attimo, ho deciso di fermarmi per ascoltare, semplicemente, il fluire della vita. Per più di un mese mi ero abbandonato al flusso gentile di quei volti che hanno attraversato il mio cammino o che più spesso lo hanno accompagnato, dai sali e scendi delle montagne di Sapa, alle sponde del Mekong, fino nelle strade frenetiche delle capitali. Un contatto cercato e subito trovato».
 


Una turista all'alba nei pressi del tempio di Angkor Wat (in lingua khmer Tempio della città) nei pressi della città di Siem Reap.
Fu fatto costruire dal re Suryavarman II (1113-1150) © Roberto Morelli
 

Cambiamo continente e spostiamoci nel Maghreb. «Bastano poche ore di volo per raggiungere la Terra di Dio, il nome che ha dato origine alla città di Marrakech (Mur-Akush) che nel medioevo era proprio conosciuta come Città del Marocco», racconta Valentino Carnovale. «Appena arrivati, spostandosi di qualche km, sembra di tornare indietro nel tempo: il gran vociare dei suk cittadini, intensi e prelibati odori che escono dalle fumanti tajine, luci e colori di un paese tutto da scoprire, abbandonando quanto di più comune sulle città imperiali potete conoscere. Avventurarsi all’interno delle tortuose e strette strade della medina di Fes ti proietta dell’antichità; non ci sono auto perché sono percorribili solo a piedi e proprio per questo spesso ci si trova di fronte l’unico mezzo di trasporto utilizzato con la sola possibilità di schiacciarsi contro la parete: gli asini, carichi oltre ogni immaginazione che occupano i vicoli più stretti che senza fermarsi avanzano dietro la guida del loro padrone. Dimenticate la semplicità di qualsiasi città europea: le guide ufficiali sono il consiglio per non correre il rischio di perdersi nelle intricate e fitte strade di Fes.
 


Senza identità: due donne all’interno della Medina di Fes nascoste dal loro niqāb, dove l’unica identità svelata sono gli occhi.
© Valentino Carnovale
 

In questa striscia d’Africa anche la varietà dei paesaggi è unica: si passa da Djemaa El Fna, la piazza di Marrakech il “palcoscenico” del Marocco, alla tranquilla città di mare di Essaouira, allo sconfinato e caldo deserto del Sahara, per finire sulle cime innevate di Jbel Toubkal a 4165 metri. Quello che unisce questi luoghi sono le persone che, attraverso i loro volti, sguardi e pensieri, raccontano la propria storia e la propria cultura. Nei pressi del Mausolée Moulay Ali Chérif ho avuto l’esperienza più bella di tutto il viaggio: mentre la ressa di turisti si affretta a visitarlo, al di là della strada mi imbatto nelle abitazioni in cui si vive la vita di tutti i giorni. Incrocio gli occhi curiosi di un bambino seduto sulle scale, immobile. Qualche metro più avanti, la madre è intenta a preparare i mattoni della propria casa, fatti di fango e paglia.
 


Pausa merenda: due giovani ragazzi fanno una merenda all'ombra di una palma osservando ciò che scorre sotto la piazza.
© Valentino Carnovale
 

In uno dei tanti centri di produzione di olio di Argan lungo la strada, trovo all’interno di un’enorme stanza sole donne dedite al lavoro sui frutti della pianta di Argania. Nessuna parola, si lavora in silenzio. Colpisce la bellezza di una ragazza avvolta nel suo Hijab marrone. Chi fa parte di queste cooperative vive ai margini della società, in condizioni di difficoltà economica e sociale: donne ripudiate, madri sole e vedove. Ed è proprio questa condizione di isolamento tribale che consente alle lavoratrici di far parte della cooperativa, di recuperare una dignità e un ruolo sociale.
 


Oltre lo sguardo: la giovane ragazza libera nei suoi pensieri all’interno della cooperativa
di donne berbere per la produzione dell’olio di argan © Valentino Carnovale
 

Avete mai pensato a come il vostro giubbotto di pelle assume quella colorazione? Attraverso procedimenti industriali, lavaggi, eccetera. E nel Medio Evo come avveniva la colorazione? Esattamente come oggi nelle tintorie di Fes. Girando tra i vicoli della città antica non posso fare a meno di andare a fotografare quello che è la storia a cielo aperto: Showara, la più importante conceria della città. Un sorridente negoziante marocchino mi invita ad entrare all’interno. Attraversando una piccola porta, inizio a salire lungo una stretta scala che porta ai piani superiori; con la macchina fotografica in mano e un rametto di menta salgo i ripidi gradini senza capire bene l’utilità della piccola pianta.
 


Concerie: vista dal balcone di un negozio di pellami del cortile dove vengono lavorate le pelli per essere colorate attraverso
un procedimento Medievale. © Valentino Carnovale
 

Una volta giunto all’ultimo piano trovo una stanza piena di oggetti di pellame, dalle borse alle cinture ai sandali; qualche passo più in là verso il balcone, la foglia di menta raggiunge il suo scopo. Coprire il nauseabondo odore che proviene dal processo produttivo che ho davanti agli occhi; in un attimo ripongo la menta e inizio a scattare osservando le condizioni di lavoro. Una distesa di vasche nelle quali le pelli, insieme alle persone, vengono immerse per prendere il colore necessario, al di là di ogni norma igienico-sanitaria che possa esistere. Frammenti di vita quotidiana, vissuti con l’occhio di un fotografo.
 


Un bagno nel verde: non ci sono biglietti di ingresso, attese alla cassa: il giovane ragazzo al ritorno da un bagno nel fiume Ziz
immerso nel verde dell’oasi Aoufous. © Valentino Carnovale
 

Chi sono
Roberto Morelli: sono sempre stato affascinato da tutto ciò che riguardasse la geografia, la natura, i temi ambientali e più recentemente quelli sociali. Dopo la laurea in biologia, ho iniziato a dedicarmi alla fotografia naturalistica per poi specializzarmi nella fotografia di viaggio iniziando così a collaborare con le principali riviste di settore. Oggi mi considero un fotografo creativo realizzando servizi commerciali, editoriali ma anche campagne di comunicazione visiva per organizzazioni non profit (www.robertomorelli.com).

Valentino Carnovale: sono nato a Torino, dove vivo e lavoro. Il mio impegno lavorativo nel settore informatico nascosto dietro a un monitor mi spinge a trovare qualcosa che mi regali delle emozioni più intense e forti. Nasce così una passione, un amore: la scoperta di un oggetto in grado di catturare momenti, raccontare storie attraverso una fotografia. Ogni giorno diventa così una prova sul campo, passando dai workshop ai reportage, dietro i volti delle gente, di fronte alla bellezza della natura cercando di raccontare la vita in un fotogramma (www.valentinofoto.com).

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