Sguardi+ 1

Introduzione

Nel cuore mistico dell’India

La più grande democrazia del mondo, un miliardo e 200 milioni di abitanti, un’incredibile eterogeneità, 28 etnie riconosciute, Himalaya e Tropico. Una società multiculturale, un’economia in crescita esponenziale, nazionalismo e tradizioni. Agiatezza e povertà, upper class e due/terzi della popolazione ancora indigente. Molte religioni - una nazione (come recita uno slogan), convivenza e scontri tra induisti e musulmani, poi sikh, jainisti e buddhisti, i loro templi e pantheon (solo l’induismo vanta 330 milioni di divinità). Il sistema delle caste, i matrimoni combinati, la condizione della donna, la lotta alla corruzione e alle discriminazioni. Il pittoresco per turisti, lo splendore oltre l’immondizia, le feste. L’India è un paese in festa. Un proverbio indiano dice: «nove giorni di festa su sette», paradossale ma vero. Nessun altro paese al mondo può avvicinarsi alla varietà e ricchezza del subcontinente indiano. Ogni stagione, ogni divinità ha il suo giorno speciale. Vi sono feste legate ai ritmi della natura, e cioè ai pleniluni e solstizi, ai monsoni, all’inizio della mietitura, alla fine del raccolto. E feste, soprattutto, in onore degli dei, occasioni per pregare, purificarsi, acquisire meriti, trascendere la routine del mondo, entrare in contatto con il divino. L’evento tra gli eventi è il Kumbh Mela.

In occasione del Kumbh Mela 2013 (dal sanscrito kumbh, il vaso che conteneva il nettare, e mela, festa) - il più grande raduno di esseri umani al mondo, pellegrinaggio di massa, sogno di molti viaggiatori - abbiamo organizzato in India un workshop di scrittura e fotografia in viaggio. E abbiamo creato un’edizione speciale di Sguardi cui pensavamo da tempo, chiamata Sguardi+, per ospitare i dispacci-corrispondenze - fatti di immagini e parole - realizzati dai partecipanti al laboratorio da me diretto sul campo. Contributi multipli, prodotti non solo da specialisti/addetti ai lavori ma da appassionati/gente comune, elaborati e inviati dalle stanze degli alberghi, dalle carrozze dei treni, dai campi tendati (compatibilmente a folle e problemi di connessione).


© Antonio Politano - Il primo dei naga baba entra nelle acque sacre del Gange, all'alba del giorno
del Main Royal Bath, il più atteso del Kumbh Mela.

Il Kumbh Mela - rituale dell’induismo più arcaico, un po’ processione, un po’ esibizione - offre un'opportunità unica di immergersi nel composito universo indiano. Si tiene ogni tre anni, nel momento di particolari convergenze astrali, a rotazione in una delle quattro città sante: Allahabad, Haridwar, Ujjain, Nasik. Quello di Allahabad è il più importante - Maha (“grande”) - perché si svolge (per 55 giorni, fino al 10 marzo) alla confluenza - la Triveni Sangam - di tre fiumi sacri (i reali Gange e Yamuna e l’immaginario Saraswati) e si ritiene che immergersi lì, nei giorni del Kumbh Mela, favorisca straordinariamente la purificazione e la liberazione dal samsara, il ciclo di vita, morte e rinascita. Per questo attrae pellegrini provenienti da tutta l’India, asceti, eremiti, mistici, maestri spirituali, guru, sadhu, yogi, naga baba (nel 2001 calcolati in 60 milioni, oggi le stime arrivano a parlare di 110 milioni).

Prima della sconfinata città di templi, ashram, campi tendati e strade di sabbia nata ad Allahabad nella piana attorno alle rive della Triveni Sangam (a cui sono dedicate la seconda e terza corrispondenza), il viaggio ha toccato Varanasi (a cui è dedicata la prima corrispondenza), l’antica Benares miraggio di generazioni di viaggiatori, con un rapido passaggio nella vecchia Delhi e a Sarnath dove Buddha tenne il suo primo sermone dopo l’Illuminazione. E, poi, le mete iperturistiche di Khajuraho e Agra (a cui è dedicata la quarta corrispondenza), colme di torpedoni e venditori di souvenir, per i templi adornati da sculture erotiche e il mausoleo all’amore eterno di un imperatore per la sua amata. Una quinta corrispondenza è infine dedicata alla gente incontrata sul cammino, ritratti, facce, ambienti. Tessere - parzialissime, naturalmente - di un universo a parte.

[Antonio Politano]

 

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