Il Maha Kumbh Mela 2013: Allahabad

 

Il racconto dei partecipanti al workshop - fatto di immagini e testi - continua con Allahabad, l’antica Prayag. Secondo la tradizione induista è qui che si è creato il mondo, è qui il centro della terra, il luogo santo per eccellenza. È qui che, ogni dodici anni, ha luogo il colossale Kumbh Mela. Rituale identitario che, nei secoli, ha attratto «una moltitudine portentosa assetata di santità», come la definì Mircea Eliade all’inizio degli anni Trenta: milioni di pellegrini induisti che, in corrispondenza di particolari congiunzioni astrali, si mettono in marcia per pregare, meditare, bagnarsi in acque cariche di influssi positivi, liberarsi dal peso dei peccati accumulati, far festa, avvicinare gli uomini santi, guadagnare prossimità con il divino. Un concentrato d’India, con lampi di bellezza, una dimensione di massa inimmaginabile, vertigini di abbandono e devozione.


© Antonio Politano - C'è l'evento e ci sono i suoi margini. La notte prima del Mauni Amavasya, il "bagno reale" più ricco di auspici per
i devoti, i custodi dei cavalli - che serviranno per la grande processione verso la confluenza sacra dei fiumi - si scaldano in un angolo
quieto del campo tendato dei naga baba.

 

L’esercito di Shiva

di Giacomo Fè

Ad Allahabad confluiscono il Gange, lo Yamuna e il mitico Saraswati, il fiume invisibile. Dove i tre fiumi diventano uno, l’acqua assume la sua valenza più magica. Lungo la piccola sponda del Sangam si bagneranno 100 milioni di induisti nei 55 giorni del Maha ("grande") Kumbh Mela. In queste acque laveranno via i peccati i pellegrini, arrivati da ogni stato dell’India. Chi in treno, chi in autobus, i più ricchi in aereo. Arriveranno anche gli indiani più poveri, quelli del Bihar, del Jharkhand, dell’Orissa, quelli del Tamil Nadu dall’estremo sud. Molti ci metteranno mesi, viaggiando a piedi, portando con sé poche cose dalla casa che lasceranno quasi per un anno. Arriveranno migliaia di Baba, gli asceti dell’hinduismo. Parteciperanno al Kumbh Mela anche i naga sadhu, asceti-guerrieri che sfilano armati con spade e tridenti, le armi di Shiva, nudi, cosparsi solo di cenere. Il loro campo si individua da lontano, l’enorme bandiera gialla dei naga è quella più alta nella sterminata tendopoli che si crea ad Allahabad, la città più grande del mondo come estensione e popolazione che nasce e si dissolve in quasi due mesi.



© Giacomo Fé - L’entrata in acqua, all’alba del Main Royal Bath, del primo corteo dei naga baba.

La notte del bagno sacro nei chowni, gli accampamenti dei naga sadhu, si respira tensione ed euforia crescenti. È isteria magica, primordiale. I naga aspettano solo il loro bagno nel Sangam travolgendo chiunque si trovi sulla loro corsa. Nelle tende prima della sfilata, tra 35 milioni di pellegrini, i naga sadhu si cospargono l’uno con l’altro la cenere sacra sulla pelle, si incolonnano come un plotone per ricevere la benedizione. Dopo indossano le ghirlande gialle e sono pronti alla grande marcia verso l’acqua, appena l’esercito avrà sgombrato dai pellegrini i tre chilometri di percorso che si snoda nella tendopoli e aprirà loro i cancelli. Har Har Mahadev (“vittoria al dio supremo”, Shiva) urlano mentre sfilano adornati da ghirlande gialle e arancio, a piedi e a cavallo. In India rappresentano l’estremismo religioso induista. C’è chi vorrebbe regolare i loro eccessi religiosi, definendoli militari e violenti. Nella storia si sono macchiati dell’uccisione di tanti buddhisti, reminiscenze violente che si ritrovano nelle armi che esibiscono durante la sfilata dove rappresentano combattimenti e figure quasi circensi. Rifiutano ogni regola, ogni divieto, sfidano le forze dell’ordine, fumano cyaras o oppio nei cylom, anche se l’uso di queste droghe è proibito in India e punito severamente. Del resto, Shiva fumava hascisc secondo le tradizioni induiste.


© Giacomo Fé - Negli accampamenti dei baba.

Si dice che in India non tutti i baba siano autentici, non tutti compiono un percorso religioso da asceta. Spesso sono persone che lasciano famiglia, lavoro e vita comune per vivere sulla strada, sopravvivendo con le offerte, spesso dei turisti. Ma al Kumbh Mela non si trovano falsi santoni, spiega un ragazzo di Manali, volontario addetto alla sicurezza. La comunità baba non accetterebbe mai impostori. Il baba fa un voto e lo mantiene per tutta la vita, spesso in povertà, vivendo del cibo offerto dai propri fedeli e diffondendo nella gente, che vive attorno agli ashram, benevolenza e saggezza. Vivono in templi, in luoghi remoti, molti in montagna. Altri sono molto ricchi, avere un ashram ampio può portare anche molto denaro. Altri come Amar Bharti Baba hanno fatto voti estremi, come perdere l’uso del braccio. Nel 1973 decise di tenere il braccio destro alzato, teso verso il cielo senza abbassarlo più, e così è rimasto fino a oggi, con la mano mummificata per la difficoltà di circolazione e le ossa calcificate per l’assenza di movimento. Questo suo grande e originale voto lo rende una persona importante, conosciuta in tutto il continente indiano, anche se lui resta in povertà. Storie dal Maha Kumbh Mela, il grande show dei naga sadhu, il grande pellegrinaggio dei più poveri dell’India.

 

La forza di un popolo

di Giulia Zanetti

Febbraio 2013, ad Allahabad ha luogo l’evento più grande al mondo. Sono celebri le immagini folkloristiche dei naga baba che si tuffano in massa nelle acque. Ma chi rende davvero unica la manifestazione è l’enorme quantità di pellegrini. Secondo alcuni alla fine saranno più di cento milioni, e per la maggior parte gente semplice che arriva con fagotti di coperte in una lunga processione che confluisce in questa grande città creata dal nulla. Giungono da lontano e spesso sono in cammino da diversi mesi per raggiungere questo luogo considerato sacro. Perdersi tra la folla è facilissimo, per questo capita di vedere intere famiglie e gruppi legati tra loro da una corda o donne in fila indiana che si tengono strette una all’altra stringendo un lembo di sari. Spazi immensi sono allestiti con tende di fortuna, servizi e mense gratuite vengono messe a disposizione. A febbraio le notti iniziano ad essere temperate ma nei mesi precedenti il freddo e l’umidità hanno portato alcuni di loro a morire assiderati. Alla sera un’atmosfera misteriosa di polvere e nebbia avvolge le sagome di milioni di persone che dormono per terra avvolti nelle coperte.


© Giulia Zanetti - Pellegrini in riva alla confluenza dei fiumi sacri, all’alba.

Turisti e pellegrini convivono nella città provvisoria scambiandosi sguardi curiosi, gesti e saluti multilingua. Molti di loro non hanno probabilmente mai visto un occidentale e con telefonini rudimentali chiedono timidamente di poter scattare una foto del diverso. Nella luce incantata dell’alba, organizzati in gruppi e orari, i pellegrini si tuffano infine nelle acque sacre per compiere le abluzioni. Essere arrivati lì è un momento guadagnato con mesi di cammino e sacrifici. Ecco perché spesso il bagno è vissuto come una vera festa. Sari e colori brillano tra schizzi e risate, mentre a riva altri aspettano il loro turno. Donne e uomini nella loro semi nudità vivono con naturalezza questo momento di condivisione prima di tutto spirituale.


© Giulia Zanetti - Il corteo degli uomini santi avanza nella notte del Main Royal Bath.

Nei prati, alle spalle della confluenza dei tre fumi sacri, i pellegrini stendono al sole i sari sorreggendoli con le mani. Un vento leggero fa ondulare il mare di stoffe dai colori splendenti. Un momento sereno, dopo il traguardo raggiunto. La loro gioia in questa atmosfera colorata fa quasi dimenticare che alcuni di questi uomini e donne, compresi anziani e bambini, per giungere fino a qui sopravvivono a condizioni di vita durissime sopportando fame, fatica e freddo. Per il popolo del Kumbh Mela l’approdo è la punta dell’iceberg di un percorso fisico e spirituale estremo.

 

La città infinita

di Guendalina Sabbatini

Ogni quattro anni il Kumbh Mela costituisce l’evento principale all’interno del calendario delle festività induiste: milioni di pellegrini si radunano in occasione del rituale bagno collettivo nel Gange. L'evento, ogni dodici anni, ha un’importanza ancora maggiore, acquista il nome di Maha Kumbh Mela e si tiene ad Allahabad. Una folla infinita si raccoglie sulle sponde là dove lo Yamuna incontra il Gange. Pellegrini, sadhu, contadini pregano, mangiano, dormono, vivono in attesa dei giorni predestinati per le abluzioni.


© Guendalina Sabbatini - Kumbh Mela, momenti di vita sul Gange di notte.
Alcuni pellegrini osservano la scena dalla riva, altri si immergono nelle acque sacre.

Quest’anno, nei giorni del cosiddetto bagno reale principale, si è parlato di oltre 30 milioni di persone, forse 35 milioni. Un record, il più grande raduno dell’umanità. È uno spettacolo indescrivibile, da togliere il fiato. Un’esperienza vissuta, per cui è difficile trovare delle parole. I pellegrini vengono accolti in uno spazio, diviso in 14 settori, che si perde a vista d’occhio, le cui dimensioni sono comprensibili solo dall’alto del ponte che congiunge il sito del Kumbh Mela alla stazione di Allahabad. Viene allestita una vera e propria città su misura, tappezzata di campi tendati che accolgono pellegrini, sadhu, baba enaga baba appartenenti alle numerose sette.


© Guendalina Sabbatini - Momento di esaltazione di un gruppo di naga baba prima dell’inizio della processione in
occasione del bagno sacro nel Sangam, luogo dove secondo la leggenda sono cadute alcune gocce del nettare dell’immortalità.

Per garantire lo svolgimento dell’evento sono stati dispiegati 14 mila agenti e aggiunti 225 treni speciali. Per gestire la folla, la stazione della città è stata divisa in sei zone, ciascuna di un colore differente, per riconoscere la direzione di partenza. Nonostante i provvedimenti almeno 36 pellegrini sono morti nella ressa alla stazione, tra cui 27 donne. Secondo alcuni testimoni la passerella è crollata generando il panico e la relativa calca. Le vittime, tutte indiane, cercavano di prendere un treno per tornare a casa dopo la cerimonia d’immersione. Poi ci sarebbero altre vittime a causa della folla, ma non se ne conosce il numero reale, le voci sono tante, molte notizie sono smentite dalle autorità locali. L’atmosfera di condivisione, spiritualità, festa, è interrotta da episodi di morte, il prezzo alto da pagare.

 

Le luci della ribalta

di Davide Sciotti

Entrare in contatto per la prima volta con il Kumbh Mela vuol dire fare i conti con una realtà dalle molte facce. Il primo impatto ha un sapore indefinito, di meraviglia mista a una punta di delusione. Non è un oceano di tende quello in cui ci si imbatte, almeno non subito. Il campo, o per meglio dire la città - che nei momenti di massima affluenza si è trovata ad accogliere 30 milioni di pellegrini - si presenta con una serie di capannoni illuminati da luci al neon e scenografie degne di un circo, circondate da manifesti che ricordano un po' un clima da campagna elettorale. Entrando si scopre che sono i luoghi di predicazione dei maestri spirituali, dei guru, degli yogi. Poi ci sono le tende dei sadhu e dei naga baba, che vivono in solitudine e convergono qui per l’occasione. I più, tuttavia, non vivono in povertà: il rispetto e la paura delle maledizioni portano i fedeli a donare senza esitazione cibo e denaro, rendendo i più famosi tra loro uomini ricchi.


© Davide Sciotti - Ragazzo porta un’offerta, sullo sfondo uno degli ingressi ai campi tendati con le sue luci.

La predica del maestro di turno è seguita da centinaia di persone grazie anche agli schermi montati fuori dalle sale principali. La folla partecipa con grida e applausi. Ma rimane una sensazione di dubbio riguardo la genuinità della manifestazione, dettata forse da cinismo occidentale. Dubbi che si confermano proseguendo la visita al campo, nello spazio e nel tempo: la notte del 10 febbraio si può assistere al raduno dei naga baba, i sacerdoti nudi coperti di cenere. Uomini santi che hanno abbandonato ogni bene terreno per ritirarsi in meditazione. Si riuniscono per celebrare il dio Shiva in una processione che termina con il bagno nel fiume sacro, Madre Gange, al sorgere del sole.


© Davide Sciotti - I naga baba si scaldano attorno al fuoco, poche ore prima della processione.

Alcuni aspetti del rituale appaiono poco formali per i canoni a cui siamo abituati. Sorprendenti. I santoni sono esibizionisti, vanitosi, cercano i fotografi e l’attenzione degli spettatori la maggior parte del tempo. Qualcuno di loro addirittura riprende la scena con il cellulare (a proposito di ascetismo), mentre altri mostrano la propria abilità in esercizi fisici più o meno complessi. Il coinvolgimento del pubblico, da una parte, e un po’ di narcisismo, dall’altra, non devono far dimenticare la sincera devozione che spinge milioni di persone ad accorrere all’evento, con il rischio in alcuni casi della vita. Vengono in mente gli ultimi versi de La città vecchia di Fabrizio De Andrè: «Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli / In quell’aria spessa carica di sale, gonfia di odori / lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano / quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano. / Se tu penserai, se giudicherai / da buon borghese / li condannerai a cinquemila anni più le spese / ma se capirai, se li cercherai fino in fondo / se non sono gigli son pur sempre figli / vittime di questo mondo».

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