Grandi Ritratti

Annie Leibovitz


Arriva in libreria l’ultimo libro di Annie Leibovitz, una delle fotografe più influenti del nostro tempo, Ritratti 2005-2016, pubblicato da White Star (formato 26,7 x 35,9 cm, 304 pagine, euro 75), un volume che raccoglie dieci anni di scatti della fotografa, immagini iconiche dell’America dello star system e dell’establishment culturale, e prosegue idealmente i due volumi-capolavoro: Annie Leibovitz: Photographs, 1970-1990 e A Photographer's Life, 1990-2005. Riproduciamo, di seguito, alcuni estratti dell’introduzione della stessa Leibovitz.




«The Decisive Moment di Henri Cartier-Bresson; The Americans di Robert Frank; Magazine Work di Diane Arbus; Observations e Nothing Personaldi Richard Avedon; Diary of a Century di Jacques Henri Lartigue... ho sempre amato i grandi libri fotografici e ne ho sempre tratto profonda ispirazione.  Mi ricordo di Bea Feitler […] Bea aveva generosamente condiviso la sua profonda conoscenza del processo di realizzazione artistica. Uno dei principi su cui più insisteva è la necessità di fermarsi di tanto in tanto a riconsiderare ciò che si è fatto in passato: diceva che è un modo sia per imparare sempre di più sul proprio lavoro, sia per capire come progredire ulteriormente. È un consiglio di cui ho fatto tesoro. Così, pubblicai un libro che copriva i primi vent’anni della mia carriera (1970-1990) e successivamente A Photographer’s Life: 1990-2005, che comprende gli anni in cui ho vissuto con Susan Sontag.




Qualche tempo fa mi sono resa conto che dal 2005 ho accumulato una grande mole di opere. In questi casi si corre il rischio di perdere il senso della propria storia, così ho deciso di prendermi una pausa, tirare le fila e realizzare un nuovo libro, […] Tra i libri che ho pubblicato, A Photographer’s Life è l’unico che accosta immagini personali e fotografie su commissione. Sono due elementi che, allo stesso tempo, collidono e convergono. Quando uscì, Susan era appena morta, e così mio padre; le mie tre figlie, una era bambina, le altre due appena nate. Era un periodo di grande emotività, e forse per questo il materiale personale divenne l’elemento più presente e significativo del libro. Questo aspetto mi creò qualche preoccupazione dopo la pubblicazione, perché mi resi conto di aver esposto al giudizio del pubblico la mia famiglia e i miei amici più intimi. Il fatto è che mentre realizzavo il libro con ossessiva frenesia, per qualche ragione non immaginavo neppure che altre persone lo avrebbero letto. Ora guardo con orgoglio a quel volume. Mi sembra la raccolta più significativa delle mie opere ed ebbe su di me un effetto illuminante: mi fece capire che per progredire nel mio lavoro avrei dovuto concentrarmi di più sui ritratti. Non che mi mancassero gli incarichi di ritrattistica, ma cominciai a insistere maggiormente con i miei editor affinché mi assegnassero i soggetti che volevo io. […]




Bruce Springsteen © Annie Leibovitz

Nel definire la sequenza delle fotografie che avrebbero costituito questo libro, mi accorsi che vi stavo inserendo ritratti realizzati prima del 2005, ma che non avevano trovato posto in A Photographer’s Life perché in quell’opera mi ero concentrata soprattutto su immagini di natura personale. Per esempio, le fotografie di J. K. Rowling e Pete Seeger e Leonard Cohen risalgono al 2000 e 2001. Vi ho incluso anche foto tratte da Pilgrimage, un libro in cui, pur non comparendo figure umane, le immagini hanno un taglio ritrattistico. Lì i soggetti sono cose, stanze e paesaggi associati a personaggi del passato per me significativi, come la scrivania di Virginia Woolf o una pagina dell’erbario di Emily Dickinson. Pilgrimage è un’opera a sé, ma amo nondimeno considerare i singoli progetti come elementi integranti dell’intero mio lavoro. Pilgrimage ha a che fare con la ritrattistica anche perché ho lavorato molto sulla resa di luoghi dove la gente vive.




Barack Obama © Annie Leibovitz

Io non sono, per natura, una fotografa da studio. Quando riconsidero il mio primo lavoro per Condé Nast, negli anni ’80, ammetto di provare un certo disagio. Ero ammiratissima di ciò che Richard Avedon e Irving Penn erano riusciti a realizzare in studio, ma mi ci volle parecchio tempo per riuscire ad adattarmi a quel tipo di lavoro, perché ho sempre preferito fotografare in un luogo che abbia qualche attinenza con il soggetto. Il ritratto di Sally Mann è un esempio eccellente di questo approccio […] Sally era restia a farsi fotografare e inoltre avevamo a disposizione una sola giornata, ma avevo preparato il lavoro con un fitto scambio di email prima di raggiungere la fattoria. Nel tardo pomeriggio, feci appello al mio coraggio e dissi che forse saremmo potute andare giù al capanno sul fiume per fare qualche scatto. Il capanno e il fiume rappresentano il cuore del lavoro di Sally. Non fu facile chiederle di fotografarla in quel luogo, e comunque restammo nei pressi della soglia del capanno, senza spingerci fino all’acqua. Lei sedette su un gradino, dando vita a un’immagine che compendiava in sé l’intera storia della sua famiglia.




Rihanna © Annie Leibovitz

Il luogo è parte integrante dell’immagine, ma non come semplice sfondo o abbellimento. La storia di un luogo, così come i suoi suoni e odori, influenza un’immagine in modi impossibili da riprodurre in studio. Il luogo in Messico in cui ho fotografato l’avvocato per i diritti delle donne Andrea Medina Rosas, per esempio, è poco visibile nel suo ritratto, ma è fondamentale per la sostanza dell’immagine. Ci eravamo recate di mattina presto in una località all’estrema periferia di Città del Messico dove sono state erette delle croci rosa per commemorare le donne assassinate i cui corpi sono stati ritrovati lì. Andrea difende donne vittime di violenza sessuale. L’aver effettuato lo scatto in quel luogo conferisce il giusto registro all’immagine, perché la consapevolezza di ciò che lì era successo è impressa sul suo volto.




Annie Leibovitz, 2012

So di non essere una brava regista. Nel progettare e realizzare un’immagine faccio molto assegnamento sulla collaborazione del soggetto, e l’atteggiamento e le idee di quest’ultimo hanno una notevole influenza. [] A volte vorrei che le mie immagini fossero più incisive, ma capisco che ciò non fa parte della mia natura di fotografa. A determinare il risultato di uno scatto concorre una grande varietà di circostanze. Probabilmente la forza del mio lavoro è l’accumularsi delle immagini, è il loro riferimento reciproco che le fa diventare elementi di una storia più ampia. La storia contenuta in questo libro - o almeno gran parte di essa - è stata raccontata con una fotocamera digitale. Cominciai a usare questi apparecchi nel 2006. Non è il modo in cui iniziai a scattare fotografie, ma qualcos’altro, una prospettiva diversa da cui guardare alle cose: ma è comunque fotografia e certamente non meno “reale” di quella in bianco e nero. A tutta prima non mi sentivo del tutto a mio agio, ma con il tempo sono giunta a padroneggiare il mezzo, forse anche perché non sono mai stata una fotografa con un approccio tecnico: sono sempre stata più interessata ai contenuti.  Da un lato, il fascino che provo per questa nuova tecnologia mi induce a definirmi un’artista concettuale che si serve della fotografia; dall’altro, mi rendo conto di avere un approccio molto tradizionale al mio lavoro. Il mio obiettivo è sempre quello di creare un ritratto che regga alla prova del tempo. E, qualunque apparecchio si utilizzi, è difficile dire come andrà a finire, perché un ritratto dipende sempre dal momento in cui lo si realizza».



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