Nikon Df: l’anello di congiunzione tra il secondo e il terzo millennio

A cura di: Gerardo Bonomo

Nikon ridisegna i confini tra le fotocamere Nikon reflex a pellicola e le Nikon reflex digitali con l'introduzione della Nikon Df, una fotocamera digitale in grado di utilizzare la quasi totalità degli obiettivi che Nikon ha prodotto dal 1959 ad oggi.

 

Un po' di storia Un primo sguardo da vicino
Porsi un obiettivo 16 milioni di pixel, 39 punti AF, 5,5 fps…
Gli accessori del sistema Scattare
Trasmettere e ricevere Obiettivi e conclusioni

Negli anni settanta Nikon era come un sogno inarrivabile, per me come per molti altri appassionati. Allora c'erano meno soldi ma c'era anche meno crisi: i soldi erano pochi e quindi gli appassionati si limitavano a sognare la loro macchina dei desideri. Anche il mercato dell'usato non era ancora florido come a partire dagli anni ottanta – l'usato è sinonimo non di primi acquisti, ma di cambi di fotocamere, e quindi di benessere – e ci si doveva accontentare di marchi certo altrettanto importanti, ma privi di quell'aura di mito che circondava brand appunto come Nikon. Nel secondo dopoguerra lo stato dell'arte della tecnologia, nella fotografia come nell'audio, era di appannaggio assoluto della Germania. Il made in Japan ancora non si era veramente fatto strada in Europa. Nikon venne adottata innanzitutto dagli Stati Uniti, certamente il paese che nel dopoguerra si riprese ben prima dell'Europa, il paese dell'industria fotografica e cinematografica, il paese di Kodak. Nikon venne innanzitutto adottata dalle forze armate statunitensi, e per osmosi dai fotoreporter di guerra e a seguire dai reporter. Nikon fu la prima fotocamera reflex usata appunto sul campo, nelle condizioni di lavoro più estreme. Una volta consacrata sul campo Nikon diventò la fotocamera professionale per antonomasia sugli schermi del cinema. Era la macchina al collo dei reporter impegnati nella guerra del Vietnam, era la macchina che David Hemmings utilizzava nella parte del fotografo Thomas nel film Blow Up di Michelangelo Antonioni, e siamo solo nel 1966.
 

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David Hemmings in una scena di Blow Up di Michelangelo Antonioni del 1966 impugna una Nikon F.
Una Nikon F degli anni 60. A sinistra si legge che è della Università Statale di Kyushu.
La mia Nikon FE, comprata nel 1983 insieme al Micro Nikkor 55mm f/2.8.
La mia Nikon F3, qui con un 35mm f/2 innestato.


Perché questa aura ha circondato Nikon come nessun altro marchio? Neppure la madre di tutte le fotocamere, Leica, ha avuto questo successo di pubblico, questo riconoscimento di visibilità internazionale. Marketing? Ma negli anni sessanta il marketing quasi non esisteva e l'informazione correva lenta su quotidiani e periodici, non c'era nulla di virale, allora. Eppure la maggior parte degli appassionati – mentre quasi tutti i professionisti la possedevano – volevano una Nikon. Io sono riuscito ad avere, dopo anni di volere e non potere, una Nikon FE – prodotta dal 1978 al 1983 – proprio agli inizi degli anni 80. Il mio parco ottiche era a dir poco scarno: un Micro Nikkor 55mm f/2.8 Ais, che è forse l'ottica che più ho usato nella mia vita, e un 20mm f/3.5 Ais.

Dennis Hopper fotoreporter visionario e quasi profeta in Apocalypse Now di Coppola si presenta non con una e neppure con due, ma con ben quattro Nikon F al collo, ciascuna con una focale fissa montata. Gli zoom all’epoca della guerra in Vietnam esistevano già eccome, eppure i reporter preferivano girare con un corpo macchina per ciascuna focale che avrebbe usato più spesso.
 

Un parco ottiche apparentemente folle, quasi bipolare, ma con cui ho scattato migliaia di foto. Inutile dire che ho ancora tanto la macchina che i due obiettivi, e non solo per il fatto che sul mercato dell'usato non valgono molto – ma rispetto ad altri brand e altri prodotti valgono ancora il valore a nuovo dell'epoca – ma perché la FE anche se anagraficamente non è stata la mia prima macchina fotografica, per me lo è stata, e comunque è stata la mia prima Nikon. Gli anni passano, e dell'arricchimento del mio parco ottiche e delle fotocamere dico solo che poco dopo il 2000 comprai un'altra macchina che quando uscì non poteva neppure essere sognata, la Nikon F3: l'idea di possedere una vera fotocamera professionale di Nikon, la possibilità di cambiare gli schermi di messa a fuoco con una scelta quasi infinita, la possibilità di cambiare il pentaprisma erano eventi davvero da sogno. Comprai quindi, usata ma in eccellenti condizioni una F3, naturalmente HP, un paradiso per noi occhialuti. Nikon Camera Chronicle.

 

Anche nel film Full Metal Jacket di Stanley Kubrick, film emblema non solo sulla guerra in Vietnam ma sulla Guerra, Nikon la fa da padrona.

Un po' di storia

Nippon Kogaku K-K- è stata fondata il 25 luglio del 1917.

 
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Il progetto originale dell’otturatore della Nikon I.

 
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Un esemplare di Nikon F2 “cut away”: è impressionante la mole del pentaprisma.
 

Fiumi di inchiostri sono stati spesi su Nikon, inutile aggiungere altri rivoli, ma davvero solo una gocciolina di inchiostro, anzi, qualche Kb. Nikon, o meglio, Nippon Kogaku K-K- è stata fondata il 25 luglio del 1917. Questo vuol dire che fra tre anni compirà cento anni. Nasce come un'azienda di ottica di precisione, come Zeiss e Leitz, fondate però addirittura nell'800. Ottica di precisione a quell'epoca non significava fotocamere, ma innanzitutto microscopi, telescopi, binocoli, cannocchiali e sistemi di puntamento militari. I due principali clienti erano quindi due discipline umane esattamente opposte, le forze armate e gli ospedali, come dire, guerra e pace – che in realtà e per fortuna da sempre hanno collaborato tra loro. Quando ancora non erano stati inventati i radar, i sonar e i satelliti, la precisione ottica era fondamentale per ingaggiare un combattimento, per esempio per individuare una corazzata avversaria e mandare a segno un colpo di cannone.
La prima fotocamera Nikon, la Nikon I, viene presentata nel 1948, e ha molto in comune con la produzione Leica coeva. Non va dimenticato che prima del Made in China c'è stato il Made in Japan, che era nella fotografia come negli apparecchi radio, audio e televisivi, la copia del made in Germany, allora – e per molti settori ancora oggi – considerato lo stato dell'arte. Ma facciamo un salto in avanti nella storia di dodici anni, e arriviamo al 1959, anno in cui Nikon presenta la Nikon F, la prima fotocamera reflex 35mm della storia. Questa fotocamera, insieme alla Leica UR costruita nel 1914, ben tre anni prima della nascita di Nikon, sono indubbiamente le due tappe fondamentali nella storia delle fotocamere. Poi è successo tutto, ma la sostanza non è cambiata: “Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutti cambi”. Così diceva Don Fabrizio, Principe di Salina, meglio conosciuto come il Gattopardo, l'omonimo romanzo di Tomasi di Lampedusa.
La Nikon F e le sue eredi hanno letteralmente rivoluzionato il mondo della fotografia: una fotocamera leggera e robusta, con pentaprismi, schermi di messa a fuoco e naturalmente obiettivi intercambiabili. Certo, bisogna citare l'invenzione dell'autofocus e naturalmente del digitale ma come ho detto la sostanza è rimasta immutata dal 1959; perfino il formato del sensore è rimasto il medesimo del fotogramma 24x36mm della pellicola. Cosa è successo negli ultimi anni? Dopo che è stata raggiunta la perfezione teoricamente assoluta, grazie alla sostituzione della pellicola con il sensore, grazie a sistemi esposimetrici e autofocus sempre più sofisticati e a impostazioni personalizzate della fotocamera tali da renderla talmente su misura che neanche fossimo da Caraceni a provare un abito, il pubblico, soprattutto coloro che hanno iniziato a fotografare con la pellicola, si sono stufati sia della perfezione raggiunta che di questi favolosi automatismi, oltre che di questi menù e sottomenù che molti non hanno mai neppure aperto completamente, e anche di queste forme sempre più moderne, sempre più vicine al design esoterico e sempre più lontane dall'immutabile concetto e forma di macchina fotografica.

A proposito del fatto che la materialità si riduce ogni giorno, ha scritto in modo esemplare Roberto Cotroneo sul numero 49 di Sette (supplemento del Corriere della Sera) del 6 dicembre 2013, riferendosi più a librerie, siano esse vere proprie, piuttosto che musicali, o di immagini o di film tutti ridotti a file digitali piuttosto che agli strumenti atti a utilizzarli e naturalmente a crearli.
Ho sentito di recente sempre più persone, amici, conoscenti, annoiati piuttosto che esausti di questa continua tecnologia touch, di questa impossibilità di prendere tra le dita una qualsivoglia ghiera e girarla a mano. Sì, gli orologi a energia solare, così come quelli automatici, sono un gran bella comodità.
Ma qualcuno di voi ha mai provato il sottile piacere di caricare a mano, tutte le sere, un orologio meccanico sentendo tra l'indice e il pollice la ghiera di carica zigrinata ruotare tra i polpastrelli, percependo di star caricando il proprio orologio di riserva di tempo – del proprio tempo-, mantenendolo letteralmente in vita? È la differenza che passa tra somministrare una soluzione salina a un paziente e dare il latte a un neonato col biberon: entrambi sono liquidi vitali, ma il tipo di somministrazione è enormemente differente. E non è un caso se molte fotocamere mirrorless presentate negli ultimi tempi dispongono di anelli di raccordo opzionali per poter montare su questi corpi digitali ma con un design vintage, obiettivi manual focus, Nikon e Leica, soprattutto. Nikon, per diversi motivi, ha sempre mantenuto identica la baionetta F Mount di tutte le sue fotocamere reflex, così da permettere, sulla maggior parte dei modelli di reflex, di poter montare anche le ottiche Nikon F degli anni sessanta, così che sempre quel tipo di pubblico potesse ancora quantomeno regolare la messa a fuoco a mano, piuttosto che impostare il diaframma attraverso la sua ghiera meccanica ma soprattutto di continuare a utilizzare il proprio parco ottiche. Con la presentazione della Nikon F6, l'ultima ammiraglia a pellicola nata quando il digitale era già ampiamente affermato, Nikon fece una sua precisa mossa. Con la presentazione della Nikon Df, Nikon ha dato scacco. Matto in due mosse, producendo la regina di qualità circa rapporto segnale disturbo ad alti ISO.

Un primo sguardo da vicino

“Using its large, metallic mechanical dials, photographers will rediscover a more direct connection with their camera”.
Questa è la prima frase che si legge in apertura nel sito Nikon dedicato alla Df. “Usando ghiere di controllo in metallo, larghe e meccaniche, i fotografi riscopriranno un contatto più diretto con la loro fotocamera”.

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Una Nikon F a sinistra, a destra la Nikon Df Silver.
La Nikon FE a sinistra, a destra la Nikon Df Silver.
“Using its large, metallic mechanical dials, photographers will rediscover a more direct connection with their camera. This is Nikon's smallest, lightest FX-format body, yet it delivers the same exceptional image quality as the D4 – from low to extremely high ISO. The Df represents a fusion between tactile precision mechanics and the exquisite image quality of the flagship camera D4, stimulating artistic sensibilities and inspiring photographers to new levels of creativity beyond previous limitations of time, place and volume of available light. This is Nikon's proposal to passionate photographers: rediscover the fulfillment of measured, deliberate photography, and create your pictures one frame at a time. The Df is a new proposal from Nikon, offering a creative approach to photography. One of photography's fundamental tenets is to search the environment for meaning and then find the right combination of shutter speed and f-stop to appropriately convey it. From the first modern camera nearly a century ago until the recent past, mechanical dials were the favored interface for discovering such combinations, and manipulating them was a skill that became second nature to countless photographers. When Nikon began designing the Df, mechanical operation was the natural choice since it provides the photographer with the tactile pleasure of shooting with precision mechanics. Constant visibility and access to key camera settings reinforces the direct connection between photographers and their cameras, inspiring them to be more deliberate with each frame.”


È come se la tecnologia si fosse spinta troppo oltre, certo, la tecnologia di solito non fa mai danni se si spinge oltre, questa è l'anima del progresso, ma forse si è spinta troppo oltre nella sua interfaccia. Il robot de “L'uomo bicentenario” con Robin Williams, all'inizio del film, prima che di fatto decidesse di trasformarsi in un comune mortale, per la famiglia d'adozione era quasi ripugnante al tatto, benché svolgesse le sue mansioni in modo assolutamente perfetto, meglio di qualsiasi essere umano. Sarebbe come svegliarsi una mattina e stropicciarsi ancora insonnoliti anziché gli occhi ingrommati dal sonno due webcam. Questa è quindi e innanzitutto la Nikon Df, una fotocamera le cui impostazioni di scatto e di uso possono anche essere regolate attraverso ghiere meccaniche – anche perché volendo tutte le impostazioni possono essere regolate attraverso menù e jog dial come in una “normale” reflex digitale. Questo, unito al suo design, ne fanno da subito una macchina con un aspetto molto, molto familiare. I primi rumors parlavano di una Nikon FM2 digitale.

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Nikon Df, made in Japan, versione black


 

Mi ha fatto sempre sorridere quel FM2, perché non FM, visto che la FM2 altro non è se non una FM con un tempo di scatto più veloce (1/4000 di sec. contro al 1/1000 della FM) e un sincro flash altrettanto veloce (1/200 di sec.) un nuovo fotodiodo esposimetrico e, questa è forse l'unica nota interessante, la possibilità di lavorare in TTL flash: implementazioni davvero di scarso interesse sul campo, ma sta di fatto che oggi la FM2 insieme alla sua evoluzione, la FM2 New, sono più ricercate è apprezzate della gloriosa FM. Tornando ai rumors, quelli per immagini, le prime che hanno iniziato a circolare su Internet davano ragione sul fatto che si parlava di una riedizione della FM2 per il fatto che il pentaprisma sulla Nikon Df sembrava tornato ad essere molto simile a quello della FM, con la parte superiore della calotta a piramide appuntita. Ma non si notavano altre similitudini, soprattutto nelle dimensioni, quando i rumors le rivelarono, che allontanavano decisamente la Df della FM, nella lunghezza come nell'altezza, ma soprattutto nella profondità. Già, il dorso di una macchina a pellicola deve tenere conto unicamente appunto dello spessore della pellicola. Centesimi di millimetro qui, diversi millimetri in una fotocamera digitale: lo spessore del sensore, lo spessore del display posto sul retro della fotocamera: una reflex digitale è fisiologicamente ben più spessa di una reflex a pellicola.
Insomma, poca somiglianza con la FM/FM2/FM2New e mentre ero in autostrada alla volta di Torino per vedere in anteprima questa mitica Df, mi chiedevo se l'avrei considerata davvero mitica o meno. E poi eccola finalmente, anzi, eccole, declinate in finitura Black e in finitura Silver, una cosa che mi ha subito spiazzato: entrambe affascinanti, era davvero difficile dare una personale palma di riconoscimento a una o all'altra: la finitura Silver indubbiamente dà una sensazione molto più retrò della finitura Black. Ma non va dimenticato che una volta le fotocamere erano per lo più nere: la prima Leica UR era nera e tutte le macchine coeve erano nere con qualche cromatura di servizio. Io da tempo preferisco sulle fotocamere la finitura black, e non certo perché il 99% delle reflex digitali sono black, ma perché a partire proprio dalla Nikon FM trovo che il black sia il colore più indovinato e più vicino al vintage più recente, ovvero quello degli anni ottanta. La impugno e me la trovo immediatamente adesa alla mano destra, in modo perfettamente ergonomico. Non mi sembra né troppo ridotta né corposa nelle dimensioni, ma esattamente perfetta, come ci si deve comunque aspettare da una flagship. Certo, molti in questo periodo cercano misure meno impegnative, complice anche il benedetto/maledetto smartphone che spesso sostituisce la fotocamera, e stiamo da tempo assistendo a un fiorire di fotocamere sempre più compatte con sensori sempre più vicini o sovrapponibili a quelli delle reflex, con qualità sbalorditive. Io credo che la macchina perfetta la presentò Pentax negli anni 70, nel 1979 per la precisione, e fu la Pentax Auto 110, una vera e propria reflex miniaturizzata, con tanto di obiettivi intercambiabili – era disponibile perfino uno zoom – e un winder. Tutto il corredo stava nel cavo delle mani, come una sorsata d'acqua presa da una fontana di montagna. Peccato che utilizzasse appunto la pellicola in caricatore 110, una sorta di microfilm che mal si sposava con le esigenze del tipo di pubblico amatoriale di alto livello a cui era dedicata. Per tornare ai giorni nostri Nikon alcuni mesi fa ha presentato la COOLPIX A: un sensore APS Nikon DX in una compatta a focale fissa di eccezionale qualità. Sì, è vero, siamo tutti stufi di girare col borsone o con lo zainone, ma tant'è, ancora oggi la versatilità e la qualità del sistema reflex autentico è imbattibile, sul piano dell'ergonomia, della velocità e precisione dell'autofocus, della visione al 100% dell'immagine inquadrata in un autentico mirino reflex corroborato da un vero pentaprisma in cristallo ottico, dell'intercambiabilità degli obiettivi, della qualità finale dell'immagine che ad oggi solo un sensore che risponda a delle generose dimensioni può garantire. Fotografare usando un telefono è ormai di uso comune, telefonare con una reflex non ancora. Di fatto, se è da pazzi immaginare di telefonare usando una macchina fotografica, lo è in teoria altrettanto fotografare usando un telefono.
 

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Confronto tra la Nikon F3 a sinistra, e la Nikon Df Black a destra.
Confronto della calotta Nikon F3 e della Nikon Df Black.

Continuando a girare tra le mani la Nikon Df, balza subito all'occhio una rassicurante scritta “Made in Japan” sul dorso della calotta superiore. Niente contro i thailandesi, i malesi, i cinesi o i coreani. Ma Nikon è celebe anche per il fatto che è un azienda giapponese, e i giapponesi a loro volta si sono conquistati negli ultimi cento anni un posto di tutto rispetto nel panorama della tecnologia d'eccellenza mondiale. Dopo, o forse prima che salti all'occhio il Made in Japan colpiscono immediatamente alcune ghiere sistemate sulla calotta superiore: la prima, a destra, è la cara vecchia ghiera dei tempi di scatto, con i tempi che vanno da 1/4000 fino a 4 secondi posa, esattamente come le Nikon F analogiche degli anni 70 (a seconda dei modelli potevano partire da 1/4000 fino a 8 secondi o partire da tempi meno veloci fino ad arrivare a tempi meno lenti) a cui si aggiunge il riferimento X per il sincro flash, la posa B e anche la posa T. La posa T, insieme a un pulsante esterno dedicato all'alzo intenzionale dello specchio, oltre all'attacco filettato sul pulsante di scatto per collegare il più classico e universale degli scatti meccanici a filo, davvero dà l'idea di trovarsi tra le mani una Nikon F3. Poi, sempre sulla stessa ghiera, un “tempo di scatto” piuttosto inusuale: 1/3 STEP: è di un color ciano che ricorda il colore con cui era contrassegnato il riferimento del diaframma f/16 o f/11 nelle ottiche F e Ai manual focus, di norma era il riferimento del penultimo diaframma più chiuso disponibile; questo color ciano, insieme al colore arancio dei tempi di posa da 1 secondo in poi – che contrassegnavano il terz'ultimo diaframma più chiuso, ma già impiegato su fotocamere come la F3 per evidenziare i tempi di posa da 1 secondo in poi – ricordano appunto e innanzitutto i riferimenti dei diaframmi dei vecchi obiettivi Nikon; selezionando il riferimento 1/3 STEP e ruotando una differente ghiera, è possibile selezionare sia in manuale che in priorità di tempi appunto i tempi di scatto in terzi di step. In questo modo i tempi lunghi impostabili manualmente vanno oltre i 4 secondi per arrivare a 30 secondi. E siamo a due ghiere…

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