Profondità di campo in macro: orientarsi tra focale, diaframma e distanza soggetto in correlazione con la dimensione sensore

A cura di: Valerio Pardi

Quando si opera in macro, o a distanza ravvicinata, la profondità di campo può essere un problema. Questa eXperience cerca di far luce sulle diverse soluzioni offerte da Nikon per ottenere la massima profondità di campo quando ci si avvicina al rapporto di ingrandimento di 1:1

 

Introduzione Un po' di teoria e un passo indietro...
La macro rimescola le carte Un diaframma disubbidiente?
Maggior profondità di campo nella macro, quale soluzione? Il test
Considerazioni sulla PdC Fotogallery e link correlati

Introduzione

La profondità di campo è uno degli elementi “essenziali” in fotografia, non solo perché legata a un aspetto tecnico che occorre gestire per riuscire ad ottenere la fotografia che si ha in mente, ma piuttosto perché introduce nuove possibilità e potenzialità creative durante lo scatto. Poter isolare il soggetto e staccarlo dallo sfondo per valorizzarlo al meglio, oppure realizzare una fotografia in cui tutto è perfettamente a fuoco, sono solo due casi estremi dell'utilizzo della profondità di campo, ma offrono un quadro abbastanza completo di ciò che si può realizzare sfruttando le proprietà del diaframma dell'obiettivo in relazione alle dimensioni del sensore in uso. Nel passato si dovevano utilizzare aggettivi di qualità in relazioni alle dimensioni dei sensori ma, oggi, con la qualità permessa anche ad alti ISO da sensori usati sui sistemi Reflex, su Compatte ad ottiche intercambiabili del sistema Nikon 1 oppure compatte di fascia alta, la scelta del formato di ripresa può essere meglio deciso in relazione alla profondità di campo ricercata. Non si può asserire “bella” una foto con tanta oppure con poca profondità di campo ma la stessa, andrà strumentalmente ricercata in relazione alle necessità fotografiche. Oggi si potrà scegliere una fotocamera digitale in base al formato sensore o in relazione a quanti ne potrà fornire in unica fotocamera, così da ottenere assieme all’obiettivo anche versatilità nella gestione della profondità di campo PdC.

DISTANZA RAVVICINATA MACRO
PAESAGGIO
RITRATTO
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Sebbene il concetto di profondità di campo sia famigliare a molti fotografi, cerchiamo nel prossimo paragrafo di fare un breve riassunto per capire meglio come si comporta e come si può gestire al meglio.

Un po' di teoria e un passo indietro...

Premesso che per sviscerare ogni aspetto della gestione della profondità di campo “PdC” occorrerebbero diverse eXperience basate sulla fisica ottica coinvolta, vogliamo in questo paragrafo solo riassumere i concetti basilari che ne regolano il funzionamento. Prima dell'avvento del digitale, la teoria era piuttosto semplice e lineare, in quanto la PdC poteva avere al massimo tre variabili per scatti a distanze molto maggiori rispetto alla lunghezza focale dell'obiettivo: diaframma utilizzato, lunghezza focale impiegata e distanza del soggetto rispetto alla fotocamera.

DIAFRAMMI A CONFRONTO
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f/1,4 (tutta apertura)
f/4
f/8
f/16

Ovvero: la profondità di campo è direttamente proporzionale alla distanza di ripresa e al numero f/ di apertura del diaframma; mentre è inversamente proporzionale alla lunghezza focale.
In pratica, per avere un’estesa profondità di campo bisogna chiudere il diaframma ai valori minimi (f/16, f/22, ecc...) e/o allontanarsi dal soggetto da riprendere e/o utilizzare una focale corta (grandangolo). Al contrario, per meglio isolare il soggetto e quindi avere una ridotta PdC si può scattare con diaframma molto aperto (f/1,4, f/2, f/2,8,...) e/o utilizzare una focale lunga (teleobiettivo) e/o avvicinarsi al soggetto il più possibile.

PER MINIMIZZARE LA PROFONDITÀ DI CAMPO PDC CON FOCALI NORMALI E MEDIOTELE
Nel vasto catalogo di ottiche Nikkor si possono selezionare modelli particolarmente indicati per sfruttare al meglio la capacità di isolare il soggetto con una profondità di campo minima e uno stacco dallo sfondo marcato. Da sinistra a destra: AF-S Nikkor 50mm f/1.4G, AF-S Nikkor 58mm f/1,4G, AF-S Nikkor 85mm f/1,4G, AF-S VR Micro-Nikkor 105mm f/2.8G IF-ED.
PER MINIMIZZARE LA PROFONDITÀ DI CAMPO PDC CON FOCALI MEDIOTELE E TELE
Nel vasto catalogo di ottiche Nikkor si possono selezionare modelli particolarmente indicati per sfruttare al meglio la capacità di isolare il soggetto con una profondità di campo minima e uno stacco dallo sfondo marcato. Da sinistra a destra AF-S Nikkor 70-200mm f/2.8G ED VR II, AF-S Nikkor 200mm f/2G ED VR II, AF-S Nikkor 300mm f/2.8G ED VR II, e AF-S Nikkor 400mm f/2.8E FL ED VR. Il particolare rapporto tra lunghezza focale e apertura massima li rendono eccellenti per questo scopo.

Ovviamente ogni variabile può essere dosata in funzione del soggetto da riprendere. Non occorre utilizzare per forza un 600mm per avere poca profondità di campo, piuttosto con un diaframma relativamente aperto e una distanza dal soggetto non eccessiva anche un 50mm potrà offrire un isolamento del soggetto piuttosto evidente.

PROFONDITÀ DI CAMPO A CONFRONTO
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Per ottenere una PdC minima occorre utilizzare un diaframma piuttosto aperto, una lunga focale e avvicinarsi al soggetto. Per realizzare questo ritratto è stato scelto il luminoso AF-S Nikkor 85mm f/1,4G che, utilizzato a tutta apertura, ha permesso di staccare il viso della ragazza dalle luci sullo sfondo.
Questo effetto di "tutto a fuoco" è stato ottenuto utilizzano un obiettivo AF Nikkor Fish-eye 16mm f/2,8D chiuso a f/22. In questo modo è stato possibile rendere nitido sia il muschio in primo piano, a pochi centimetri dalla lente frontale dell'obiettivo, sia il castello sullo sfondo.
Anche con una focale grandangolare come con l'AF-S Nikkor 35mm f/1,4G, è possibile ottenere una limitata profondità di campo, a patto di utilizzare un diaframma molto aperto e una distanza dal soggetto non eccessiva, come in questo caso.

Il passaggio alla fotografia digitale, a cavallo degli anni 2.000, ha portato a un'ulteriore variabile: le dimensioni del sensore. Infatti, se anche in passato si usavano diversi formati di pellicola (135, 120, 4x5", ecc...) era indubbiamente il formato 24x36mm (135) quello di gran lunga più diffuso ed utilizzato. Per questo motivo le regole che ancora oggi si trovano nei libri di tecnica fotografica erano sviluppate principalmente in funzione di questo. Il digitale invece offre più soluzioni, si parte dall'FX, il formato full frame 24 x 36mm per passare a formati più piccoli come il DX o ancora il più piccolo CX del sistema Nikon 1.
Ma come un diverso formato del sensore può influire nella profondità di campo?
Immaginiamo di dover fotografare un paesaggio e l'inquadratura necessaria per renderlo al meglio obblighi all'utilizzo di un grandangolo con un angolo di campo di circa 84°. Se lo fotograferò con una reflex con sensore formato DX, ad esempio la recente Nikon D5300, dovrò utilizzare un obiettivo in grado di coprire quell'angolo di campo. Scegliendo tra le numerose possibilità offerte dagli obiettivi del sistema Nikon, posso optare per l'AF-S DX NIKKOR 16-85mm f/3.5-5.6G ED VR che alla focale minima (16mm) raggiunge proprio l'angolo di campo richiesto: 84° circa.
Se invece volessi scattare con una reflex con sensore FX, come la Nikon D610 o l'affascinante Nikon Df, dovrò scegliere un'ottica che copra il formato del sensore maggiore e che permetta comunque di raggiungere gli 84° di campo. Le possibilità del catalogo Nikkor di Nikon sono molteplici, ma potremmo optare per l'AF-S NIKKOR 24-120mm f/4G ED VR che, oltre a fornire proprio 84° di campo alla focale minima, è molto simile all'altro obiettivo utilizzato per quanto riguarda il range dello zoom, la presenza del sistema di riduzione delle vibrazioni VR e per la buona compattezza generale delle dimensioni dell'ottica.
Ora, se le condizioni di illuminazione richiedessero, ad esempio, di scattare a f/5,6 con 1/60s a 200 ISO, otterremmo due foto con la medesima inquadratura, la stessa esposizione, ma con una profondità di campo differente! Infatti, tra le tre variabili che influiscono sulla PdC vi è la lunghezza focale. Maggiore focale, a parità degli altri parametri porta a una riduzione della PdC. La foto eseguita con la Reflex DSLR con sensore DX ha utilizzato una focale di 16mm per coprire 84° di campo, mentre sul formato FX sono stati necessari 24mm. La maggiore focale impiegata sul Full frame porta quindi a una sensibile riduzione dell'area nitida di fronte e dietro al soggetto, ovvero meno profondità di campo PdC.

COOLPIX P7800
NIKON 1
FORMATI SENSORE
NIKON DX
NIKON FX/DX
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A confronto le dimensioni dei quattro sensori in esame in questa eXperience. Da sinistra a destra: COOLPIX P7800, Nikon 1 V3, Nikon D5300 e Nikon Df.
Quattro recenti modelli di fotocamere proposti da Nikon caratterizzati da sensori di dimensioni differente, si parte dai 7.44x5.58mm della COOLPIX per raggiungere i 24x36mm della full frame Nikon Df.

Una prima informazione l'abbiamo ottenuta, ovvero più il sensore è piccolo, a parità di angolo inquadrato e degli altri parametri di ripresa, la profondità di campo è maggiore.
Quindi se nel caso appena esposto avessimo affiancato anche uno scatto realizzato con una Compact System Camera del sistema Nikon 1 con sensore in formato CX, avremmo ottenuto una fotografia con una profondità di campo ancora maggiore. Infatti per ottenere un angolo di campo di circa 84° avremmo dovuto utilizzare l'obiettivo 1 NIKKOR 6.7-13mm f/3.5-5.6 VR posizionato a circa 8,8mm di focale. Risulta quindi evidente che un 8,8mm a parità di diaframma utilizzato e a parità di tutte le altre condizioni di ripresa, offra una maggiore profondità di campo di un 16mm e ancor di più rispetto a un 24mm!
Il problema quindi sembrerebbe risolto, per avere maggiore profondità di campo occorre scegliere fotocamere con sensori più piccoli. In linea di principio è assolutamente corretto, ma attenzione a non eccedere, altrimenti quando dovremo invece isolare il soggetto con una minima PdC potremmo trovarci nei guai, in quanto in questa situazione le posizioni si ribaltano, ed è il sensore con formato maggiore ad offrire le migliori prestazioni in tal senso. Quindi, anche senza scomodare Aristotele e il suo ideale "In medio stat virtus", è evidente che se non si hanno esigenze particolari, il formato DX può rispondere adeguatamente ad ogni esigenza di ripresa, così come i formati FX e CX, se utilizzati con cognizione di causa, possono far valere i loro naturali benefici.

La macro rimescola le carte

I più attenti avranno notato nel paragrafo precedente che nel descrivere i tre parametri che regolano la PdC ho aggiunto la frase "a distanze molto maggiori rispetto alla lunghezza focale dell'obiettivo". Infatti le regole che abbiamo appena visto valgono per soggetti ripresi a distanze medie e lunghe.
Man mano che il rapporto di ingrandimento tende verso l'1:1, ovvero quando le dimensioni del soggetto sono uguali alle dimensioni dell'immagine formata dall'obiettivo sul sensore, l'influenza della focale sulla PdC viene meno. Quando si opera in macro infatti è il rapporto di ingrandimento a decretare la profondità di campo a un dato diaframma, focale e distanza di ripresa si annullano. Quindi una ripresa fatta a un rapporto di ingrandimento di 1:1 con l' AF-S DX Micro NIKKOR 40mm f/2.8G oppure con l' AF-S Micro NIKKOR 105mm f/2.8G VR allo stesso diaframma, mostrerà una profondità di campo del tutto comparabile, ma una diversa prospettiva e un diverso sfondo per via delle focali differenti dei due obiettivi. In pratica la profondità di campo resta invariata su obiettivi di diversa lunghezza focale a patto che vengano mantenuti in entrambi lo stesso diaframma e lo stesso rapporto di ingrandimento. A questo punto occorre dedicare due parole sul concetto di rapporto di ingrandimento e di diaframma in macro. Il rapporto di ingrandimento, o di riproduzione o più semplicemente "ingrandimento" si definisce come il rapporto tra le dimensioni dell'immagine proiettata dall'obiettivo sul sensore e le dimensioni fisiche del soggetto reale.

L'ingrandimento, di fatto, descrive quanto è grande l'immagine di un determinato soggetto ripreso rispetto alle sue dimensioni reali. Questo è un passaggio chiave: le dimensioni si riferiscono all'immagine formata sul sensore, non quindi al campo inquadrato e a quello che appare nel mirino.

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Le ottiche macro mostrano, oltre che la distanza di messa a fuoco in metri e in piedi, anche il rapporto di riproduzione reale. In questo caso indicato dalla scala dei numeri colorati in arancio.


Se si inquadra un'area di 24x36mm con una reflex con sensore in formato FX significa che il rapporto di ingrandimento è pari a 1x, ovvero 1:1. Ma se lo stesso campo inquadrato lo si sta fotografando con una reflex con sensore in formato DX, allora il rapporto di ingrandimento sarà inferiore, 1:1,5 per l'esattezza. Per ottenere ancora un rapporto 1:1 si dovrebbe inquadrare un campo di dimensioni esattamente come quelle del sensore, ovvero circa 16x24mm. Ma se volessimo avere dei riferimenti per riempire il fotogramma con un determinato soggetto, si potrebbe parlare di rapporto di ingrandimento equivalente. Oggi infatti l'offerta di strumenti fotografici digitali è estremamente vasta, si passa dalle compatte con sensori di piccole dimensioni alle compatte ad ottiche intercambiabili del sistema Nikon 1 con sensore da 1" per passare poi alle reflex che offrono la scelta tra sensori in formato DX e FX. Risulta piuttosto evidente che se ci basassimo solo sul rapporto di ingrandimento, ci troveremmo di fronte a immagini molto diverse in base alla dimensione del sensore utilizzato. Prendiamo l'esempio di una moneta da 1 Euro fotografata con sensori di dimensioni via via differenti. I diversi scatti sembrano essere eseguiti a differenti rapporti di ingrandimento, mentre in realtà, per tutte le fotografie, il rapporto è lo stesso, ovvero 1:1!

RAPPORTO DI INGRANDIMENTO 1:1 REALE SU SENSORI DI DIMENSIONI DIFFERENTE
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