Intervista 1

A cura di:

Nero profondo
Antonio Biasiucci

di Elena Ceccarelli

Pani – Volti è il titolo dell'intensa mostra di Antonio Biasiucci: circa 30 opere esposte al Museo di Capodimonte di Napoli, fino al 3 aprile, che ruotano attorno a un tema tanto semplice quanto profondo: pani e volti, ovvero vita e morte. Per Biasiucci i pani – che qui vengono visti come meteoriti, crateri lunari, figure antropomorfe – rappresentano l' "epifania della vita", mentre i volti – calchi di volti africani realizzati dall'antropologo Lidio Cipriani negli anni '30 – si trasformano in un'allegoria disperata dell'esistenza umana, ricordando i migranti che attraversano il Mare Nostrum in cerca di un futuro.

Con la scelta di un bianco e nero quasi esasperato Biasiucci continua la sua ricerca: i soggetti sono avvolti in un nero profondo, in una sorta di universo che unisce vita e morte. Negli anni il fotografo è passato dalla rappresentazione di vulcani al mondo arcaico delle campagne del Sud, attraverso le spoglie periferie e la religiosità degli ex-voto: così continua il suo percorso verso le "profondità inaccessibili del nero", grazie anche a un uso sapientissimo della luce. Di seguito, risponde ad alcune domande, in occasione della sua mostra, che sarà anche al Magazzino d'arte moderna di Roma dal 15 marzo e poi a giugno a Rio de Janeiro, su vari temi, dalla memoria come fonte di ispirazione al valore sociale dell'arte.

Antonio Biasiucci
Antonio Biasiucci


Il suo lavoro negli anni ha spaziato dai vulcani agli ex-voto, dall'arcaicità delle campagne alle spoglie periferie. Come è nato l'ultimo progetto Pani – Volti?
Considero Corpus, Magma, Vacche, Res, Ex Voto, dei tomi appartenenti allo stesso progetto che spazia dalle origini alla catastrofe, dalla vita alla morte e viceversa. Sono, in questa lunga ricerca oramai ventennale, considerati soggetti che per la loro unicità appartengono alla storia degli uomini a prescindere dalla loro collocazione geografica; per esempio: la mia ricerca sui vulcani punta dritto al mistero della creazione che il vulcano nasconde, le mie vacche sono animali emblematici della storia degli uomini e diventano protagoniste di una ricerca sulla natura delle cosePani-Volti si inserisce perfettamente all'interno del mio progetto.

Citando le sue parole, «i pani e i volti sono la vita che comprende la morte, la morte che comprende la vita». Quanto incide su questa lettura la sua storia autobiografica, la sua origine del Sud, dove eventi come la morte vengono vissuti in maniera intensa?
Il culto dei morti praticato nel Sud sicuramente ha avvicinato la morte alla vita: una persona morta entra a far parte della tua vita, preghi per lui affinché possa andare in paradiso, in cambio chiedi grazie per i tuoi cari. Detto questo, penso che un artista ha sostanzialmente delle perdite da compensare (non vite umane soltanto) che lo spingono a rivelare a se stesso i propri misteri attraverso l'arte. La mia ricerca è sostanzialmente al femminile, probabilmente se non avessi perso da giovane mia madre, alcuni soggetti non li avrei trattati ma addirittura la mia stessa ricerca fotografica forse si sarebbe arenata o il mio fare fotografia avrebbe preso una strada diversa.

A proposito delle sue opere si parla di «ricerca delle profondità inaccessibili del nero», del nero e della luce come «precategorie che formano il punto di vista», di «senso misterioso e imperituro di forme perdute»: qual è per lei il significato del nero e della luce nella composizione di una foto?
Il mio è un "nero primigenio", un punto di partenza imprescindibile, l'inizio. La luce evidenzia le cose che mi interessano. Io sono bravo a saperla cercare. Il nero cancella quello che è superfluo, mi aiuta a rendere essenziali le immagini, ad aprirle affinché chiunque possa trovarci in esse una parte di sé e dare un senso a quello che sta vedendo; se questo non accade l'immagine non è buona, è esclusivamente autoreferenziale.   

© Antonio Biasiucci
© Antonio Biasiucci - Volti, n. 4

Come si coniuga la scelta del bianco e nero con l'influenza sul suo lavoro del regista e attore teatrale Antonio Neiwiller che lei definisce il suo maestro?
Il mio maestro e persona a me cara Antonio Neiwiller non c'entra nulla col bianco nero. Antonio mi ha insegnato ad andare dritto verso un'immagine scarna ed essenziale così come erano i suoi spettacoli teatrali. Ho applicato i suoi metodi laboratoriali alla fotografia.
Mi ha insegnato a riconoscere quel confine a volte labile tra un'immagine fine a se stessa e un'immagine necessaria.

Per la serie di fotografie Vacche la ricerca è durata quasi dieci anni e si è conclusa a Varanasi, in India, dopo una lunga evoluzione. Quanto tempo è stato necessario per maturare e realizzare il progetto Pani – Volti?
Ogni ricerca ha un suo tempo. La ricerca termina quando il mistero che mi spinge a cercare mi si rivela anche se a volte questo non accade affatto. Ho fotografato pani per lungo tempo e non è stato facile capire bene cosa veramente era importante per me in questa ricerca. I volti nascono da un progetto promosso dal museo Madre di Napoli in occasione della mostra Barock. Proposi di fotografare i calchi presenti al Museo di Antropologia di Napoli per farne una ricerca sui migranti che muoiono nei nostri mari. La scelta di questo soggetto era da subito funzionale ad un progetto ben preciso e ha avuto tempi sicuramente più brevi.

Quale ruolo ha la memoria, personale e atavica, nel suo percorso artistico?
I miei primi lavori fotografici in età giovanile sono dedicati alla ricerca di una identità; dopo il trasferimento a Napoli ritorno con la macchina fotografica nel paese in cui sono nato e inizio un lavoro sulla memoria personale, fotografando luoghi e segni a cui non avevo mai dato importanza. Nel tempo la mia ricerca diventa un viaggio dentro gli elementi primari dell'esistenza. 

© Antonio Biasiucci
© Antonio Biasiucci - Pane, n. 21

I volti che fluttuano ai lati dell'osservatore, i loro occhi chiusi rimandano ai migranti scomparsi in mezzo al mare durante i viaggi della speranza verso le nostre coste. È un tema che le è caro, l'arte come «forma di comunicazione sociale pura e senza barriere».
In un contemporaneo in cui le misure esistenziali non esprimono alcuna urgenza o necessità, il mio invito a guardare semplicemente un pane, una vacca, delle pietre, un ex voto, un teschio ecc. questo trasforma la mia ricerca, che nasce esclusivamente come desiderio di scoperta delle cose fondamentali dell'esistenza cancellando il superfluo, in un lavoro sociale.

Tre ambienti, dai pani ai calchi dei volti di tribù africane, passando attraverso un ex-voto e l'occhio di sua nonna che scruta da un muro bianco, con tende chiare come sipari verso un sancta sanctorum: come è nato l'allestimento della mostra?
Tre ambienti diversi, tre luoghi divisi da leggere tende bianche che ti permettono di isolarti e vivere in intimità quel momento. Pochi sono i passi dell'attraversamento, grande è il viaggio che unisce la vita (i pani) e la morte (i calchi); poi si è costretti a ritornare e dalla morte è ancora la vita. Il piccolo ex voto è il passaggio terreno, è mia madre. L'occhio aperto di mia nonna è la metafora di un nero primigenio.

Per descrivere il suo modo di esprimersi, alcuni parlano di "fotografia antropologica": si riconosce e, se sì, in cosa consiste?
Per rispondere cito una parte del testo di presentazione della mostra Dei pani, dei volti che sarà dal 15 marzo al Magazzino a Roma. «Così la fotografia di Antonio Biasiucci è una rivelazione visionaria di "fenomeni ignei", di sacralità nel quotidiano delle cose dell'esistenza. E' il trovare l'essere nelle tracce remote della natura, tracce di memorie nascoste. E' uno speleologo che si cala nelle profondità del sogno dell'umanità, per rintracciare gli antichi percorsi che hanno configurato il programma della nostra stessa umanità».

Antonio Biasiucci
Antonio Biasiucci

Chi è
Antonio Biasiucci nasce a Dragoni (Caserta) nel 1961. I suoi primi interessi vanno alla fotografia antropologica e al mondo contadino campano, al quale dedica numerose ricerche. Si trasferisce a Napoli nel 1980 dove comincia un lavoro sugli spazi delle periferie urbane. Nel 1984 inizia a collaborare con l'Osservatorio Vesuviano, svolgendo un ampio lavoro di documentazione sui vulcani attivi in Italia. Nel 1987 conosce Antonio Neiwiller, attore e regista di teatro: con lui nasce un rapporto di collaborazione che durerà fino al 1993, anno della sua scomparsa. Nel 1992 vince ad Arles il premio "European Kodak Panorama". Fin dagli inizi della sua attività, lavora a una ricerca che si radica nei temi della cultura del sud e dell'Italia e si trasforma, in anni recenti, in un viaggio dentro gli elementi primari dell'esistenza e della memoria personale. Molte sue opere fanno parte della collezione permanente di musei e istituzioni tra cui: Centre Méditerranéen de la Photographie, Bibliothèque Nationale di Parigi, Departamento de documentaciòn de la cultura audiovisual di Puebla, in Messico, Centre de la Phothographie di Ginevra, Château d'Eau di Tolosa, Maison Européenne de la Photographie di Parigi, Fondazione Banca del Gottardo di Lugano, Musée de l'Elysée di Losanna, Galleria Civica di Modena, Fondazione Banco di Napoli, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per l'Arte Contemporanea di Guarene (Cn) e Galerie Freihausgasse di Villach, Austria, Calcografia di Stato, Roma, PAN-Palazzo delle Arti, Napoli, Collezione Banca Unicredit. Ha ottenuto importanti riconoscimenti: gli ultimi per il volume Res: Lo stato delle cose, pubblicato nel 2004 sono il Kraszna-Krausz Photography Book Awards vinto a Londra nel marzo 2005 e il premio Bastianelli vinto a Roma nell'aprile 2005.



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