Pellicola, sensore, e di nuovo pellicola Perché stampare un file digitale su cartoncino baritato?
Un confronto, innanzitutto La grana: una grana in più?
Primi esperimenti: il Polaroid ProPalette Altri esperimenti: l'internegativo
I confronti: stampa da pellicola contro stampa da file Ancora confronti: stampa da internegativo contro stampa da file digitale
Le dolenti note dei costi Conclusioni

 

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Difficile eXperience, questa; non per il percorso tecnico, che in realtà è andato quasi liscio come l'olio, ma per il fatto che tocca argomenti tecnici che non credo siano considerati attuali da tutti.
È probabile che solo leggendo il titolo molti abbiano già girato la pagina web, comincio dunque col cercare di spiegare perché è stata concepita questa eXperience.
Io non ho cominciato a fotografare in digitale, visto che ho avuto la mia prima macchina fotografica nel 1965. Ho iniziato a fotografare in pellicola, bianco e nero, per la precisione, e per una questione di costi e non di gusti. Poi la passione è lievitata, il bianco e nero è rimasto, alla passione per lo scatto si è aggiunta quella della camera oscura, e chi se le scrolla più di dosso...
Sono il primo quindi a rendermi conto che, essendo io stesso innanzitutto "datato" anche la mia passione fotografica è a sua volta datata. Chi tra di voi non ha mai stampato in camera oscura non può quindi comprendere il piacere e la fatica che stanno/stavano dietro a uno scatto analogico.

Oggi le Aziende che producono stampanti hanno messo a punto diversi sistemi per stampare gli scatti digitali in bianco e nero, con risultati tecnicamente ineccepibili e su diversi piani tecnici superiori ai risultati che si ottengono da un negativo sotto l'ingranditore.
Ma, c'è sempre un ma, anzi, due ma: una stampa bianco e nero ink jet, anche con gli inchiostri appropriati e il miglior supporto oggi disponibile NON è una stampa fotografica ai sali d'argento sviluppata in camera oscura, né come percorso, né come risultato.

Sfogliando Io Donna – il femminile del Corriere della Sera – di sabato 24 novembre 2007, ho innanzitutto notato che almeno una campagna pubblicitaria su quattro era in bianco e nero – e non certo per una questione di costi… -, che all’interno due reportage non erano solo in bianco e nero ma certamente scattati con pellicola in bianco e nero, e restituivano infatti un sapore fotografico inequivocabile, e infine, per spiegare il titolo di questa eXperience, che anche una campagna pubblicitaria con Mr. Clooney come testimonial era in bianco e nero e ritraeva Mr. George in una stampa in cui erano state incluse anche le perforazioni e la numerazione progressiva di un autentico fotogramma in bianco e nero.
Oggi – 26 novembre 2007 – a Milano è stato presentato il calendario 2008 di Epson, autore Gianni Berengo Gardin, dodici immagini tutte ovviamente e naturalmente in bianco e nero.
Nonostante quindi si continui a scattare anche su pellicola in bianco e nero, il mondo ne subisce solo occasionali conseguenze, tanto di autori che di art director illuminati.

Di contro, nonostante la pellicola in bianco e nero sia ancora reperibile e prodotta, i produttori stessi in primis non ne fanno più parola; chiaro quindi perché oggi si tende naturalmente a scattare più in digitale che in pellicola. Ma, tornando al bianco e nero, non è possibile, quando si scatta in digitale, ridare alle stampe il sapore della vera stampa a mano bianco e nero? Lo vedremo tra poco.
Quindi, ancora – e sempre -: Black & White, what else?

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Pellicola, sensore, e di nuovo pellicola
Da questo momento in poi parleremo di confronti tra diverse metodologie, e unicamente sul fronte di ottenere come risultato una stampa fotografica in bianco e nero.

Sul fronte del percorso nessuno può avere dubbi: una stampa fotografica è scritta con la luce, una stampa ink jet è scritta con l'inchiostro (fotografia, encaustografia, o melanografia, a seconda della etimologia letterale della parola derivandola dal greco).
Sul fronte del risultato, tanto il percorso interamente analogico che quello interamente digitale, che il percorso ibrido analogico/digitale di cui parlerò in questa eXperience portano a differenti risultati.
I risultati devono poi essere passati al vaglio di diversi parametri:
se parliamo di nitidezza, sia in termini di risoluzione in linee per millimetro che in termini di "sensazione" di maggiore o minore nitidezza, io sono del parere che il percorso digitale vince sul percorso analogico, quando per percorso analogico intendiamo una fotografia scattata su negativo 24x36mm e ingrandita poi in stampa in formato A3 rispetto ad una stampa ottenuta da un file digitale anche solo di una DSRL in formato DX; se la stampa è in formato inferiore o lo scatto di partenza è su un negativo di medio o di grande formato, a seconda del formato di pellicola e della fotocamera digitale di confronto, anche sul piano della mera nitidezza la vittoria dell’uno o dell’altro supporto non è sempre così scontata.
Se parliamo invece di sensazione tattile e visiva di superficie, è indubbio che una stampa fotografica su cartoncino baritato, sviluppata a mano è nettamente differente da una stampa ink jet: la superficie di una vera stampa baritata è unica e attualmente ancora non ripetibile con una per quanto adeguata carta ink jet.

Se infine parliamo di "sapore" io personalmente sento una grande differenza tra una fotografia stampata a mano e una stampata "a macchina", a dire con una stampante ink jet: è vero che la fotografia è nata anche per la possibilità di riprodurre immagini multiple e identiche, ma una stampa baritata non è mai perfettamente uguale a un'altra – mentre lo possono essere le stampe ink jet -; sono d'accordo: la stampa altro non deve essere che il supporto su cui materializzare un'immagine, che è il fine stesso del percorso, ma conoscendo e amando la fatica dell'immagine partorita su un cartoncino baritato, ancora oggi ne sono affascinato, così come resto più affascinato guardando un dipinto a olio – unico – rispetto a una litografia, anche se d'autore.

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Nell’oscurità del procedimento di stampa fine art manuale

Anche il differente percorso, obiettivamente, non può non affascinare: la camera chiara, lo ripeto ancora, porta a risultati qualitativamente superiori; anche la postproduzione gestita in digitale è nettamente più raffinata della poca e primitiva "postproduzione" della stampa analogica; ma non se avete mai visto uno stampatore provetto al lavoro in camera oscura, quando interpone le mani a coppa tra l'obiettivo e il foglio di stampa, o le muove come ali di farfalla, per aumentare o diminuire la luce su questa o quest'altra parte dell'immagine? O quando dopo aver immerso il foglio nello sviluppo inizia a scaldare una parte dell'immagine fregandola con le dita immerse nelle chimica, per dare più densità a un punto della stampa: vi assicuro che si rimane a bocca aperta quando dopo questi rozzi movimenti apparentemente privi di significato appare poi una stampa perfetta in ogni suo punto, neanche da pensare a provare a rifarla, se non si ha un'esperienza di anni e anni di camera oscura. Non che la postproduzione digitale sia un gioco da bambini, anzi, ha un tal numero di variabili da essere a sua volta appannaggio di pochi eletti ma, grazie al mitico comando "undo" o "passo indietro" tutti ci possono provare e riprovare senza trovarsi dopo una giornata di camera oscura, con qualche decina di stampe una più fangosa, oscura e piatta dell'altra.
Da non pensare neanche di darsi all'ippica, ma direttamente agli ippopotami...

Sì, tra una stampa baritata e una stampa ink jet non c'è la differenza che passa tra una tela a olio e una litografia, ma una differenza c'è, indubbia e percepibile.

 

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