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Fotografare in strada, una città, la gente
Alessandro Barteletti

La street photography ha una caratteristica unica. La presenza del fotografo non è giustificata da alcun evento particolare, il suo interesse è rivolto a scene di ordinaria quotidianità. È lì solo per documentare attimi e situazioni di assoluta normalità. Essere discreti è la regola numero uno. Nulla è o deve essere costruito. L'abilità sta tutta nel saper cogliere il momento giusto dal punto di vista più interessante. Senza interferire o alterare la situazione circostante. È come diventare parte di un film che si svolge in diretta. Davanti ai nostri occhi si susseguono un'infinità di fotogrammi unici e irripetibili di cui non possiamo essere registi. Dobbiamo limitarci a registrare quelli che reputiamo più interessanti nel preciso istante in cui sono in onda. Senza poter mandare indietro il nastro.


© Alessandro Barteletti

© Alessandro Barteletti - Elezione Presidente USA, Times Square, New York City 2008

In un contesto così incontrollabile, bisogna mettercela tutta per non lasciare nulla al caso. La scelta della giusta attrezzatura e una adeguata padronanza tecnica, in linea con il proprio modo di osservare, rappresentano un ottimo punto di partenza. Ai tempi della pellicola, la classica Kodak Tri-X era la scelta più comune e probabilmente la migliore. Una resa di carattere, 400 ASA e una latitudine di posa senza eguali ne facevano la compagna ideale in situazioni di luce continuamente variabile e esposizioni da improvvisare. Oggi, nell'era digitale, tutto sembra più facile. Si può verificare immediatamente il risultato e si può scattare tanto.

In un discorso prettamente tecnico, soprattutto con le reflex digitali di ultima generazione, qualunque sia la qualità della luce, il risultato è sempre ai massimi livelli. Si tratta di un'evoluzione che ha modificato drasticamente il modo di lavorare al punto da poter ormai considerare la sensibilità come un terzo parametro, al pari di tempo e diaframma. Se non se ne fa un uso legato ad uno stile specifico, il flash diventa superfluo. Nell'ambito della fotografia di strada è un lusso.


© Alessandro Barteletti

© Alessandro Barteletti - Giornata Mondiale contro la Guerra, Roma 2005

Ma la reflex, in un campo in cui la piccola e silenziosa Leica a telemetro ne era l'icona, è davvero la scelta migliore? La risposta è soggettiva. Personalmente, nel momento in cui ho dovuto togliere dalla borsa la M6, ho faticato a trovare una sostituta adeguata. Le Nikon D2H e D3 che uso con enorme soddisfazione in altri generi di assignments, sono troppo vistose ed invadenti in strada. Ho sempre ritenuto importante lo scambio di uno sguardo o di un sorriso con le persone dopo averle inserite nell'inquadratura. È una forma di gratitudine e rispetto, spesso il pretesto per darsi la mano e scambiare due parole dopo lo scatto. Con un tipo di attrezzatura troppo presente ho la percezione che si interponga qualcosa tra me e il soggetto. Diventa quel tipo di scudo tanto decantato dai fotografi di guerra ma in questo caso acquisisce una valenza negativa.

Alle reflex ho perciò affiancato una compatta, una Coolpix P5100 con la quale ho realizzato parte di alcuni tra i miei più recenti reportage. Il feeling è ottimo, la disposizione dei comandi ricorda da vicino quella delle sorelle maggiori. Ho provveduto a disattivare i beep acustici e l'illuminatore ausiliario dell'AF per renderla ancora più invisibile. Stesso discorso per tutti i filtri interni, dall'anti-noise al D-Lighting. Preferisco un file inalterato da correggere in post produzione e in questo senso l'assenza del RAW è forse l'unico vero difetto. Ma se la scelta finale ricade sul bianco e nero, un piccolo trucco per nascondere i difetti legati alla presenza di rumore alle sensibilità medio-alte - entro certi limiti, se desaturato, sembra grana - la differenza rispetto ai files di una reflex è pressoché impercettibile in caso di stampa o pubblicazione.

Fotografare in strada, fotografare una città significa dunque raccontarne la gente, lo spirito, la vita e la quotidianità. Il nuovo, per l'occhio di un fotografo, è notoriamente interessante e stimolante. Ma se da una parte la novità può rendere più sensibili verso certi aspetti, certe sfumature, il rischio di cadere nel luogo comune è sempre dietro l'angolo. L'esperienza insegna a partecipare senza interferire. Ad adattare il proprio sguardo alla vera realtà di un luogo.


© Alessandro Barteletti

© Alessandro Barteletti - New York City, 2007

Lavorando ad un progetto personale su New York - realizzato a più riprese tra il 2007 e il 2008 e portato a termine la notte delle recenti elezioni presidenziali - una sera, freddissima, mi trovavo nell'area di Ground Zero. Per chi ha vissuto le tragiche ore dell'attentato davanti alla tv, anche a distanza di anni, la suggestione di quelle immagini è ancora forte. L'impatto dal vivo è devastante. Un vuoto immenso, inconcepibile per l'occhio assuefatto ai volumi, alla densità e all'altezza di Manhattan. Per chi invece era ed è ancora lì, è solo un terribile ricordo a cui ormai si è fatto il callo. Da non pensarci più. “The show must go on” sembra dire la gente che scorre veloce intorno alla recinzione di quel gigantesco cantiere, con il passo frenetico che puoi vedere soltanto a New York. Ecco, dovevo superare l'ingenuo stupore provato all'inizio e cogliere piuttosto quella presenza umana in movimento, simbolo di una ritrovata normalità. Sensibilità a 800 ISO e un tempo pari a circa 1/15 di secondo, un'accoppiata perfetta per congelare le silhouette che transitavano davanti a me senza privarle del loro dinamismo. E per avere la giusta grana per il mio bianco e nero. Al freddo, quella sera si contrapponeva l'immancabile vapore che sbuffa dai tombini di New York. Una situazione abbastanza al limite, un banco di prova che per nulla ha messo in crisi la piccola compatta con cui stavo lavorando. Al contrario della reflex digitale di prima generazione - fuori uso - di un altro fotografo che in quel momento era nei paraggi.


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© Alessandro Barteletti - Ground Zero, New York City, 2007

Se anche in strada proprio reflex deve essere, tendo a dare la priorità alle ottiche fisse: 24mm f/2.8, 35mm f/2 e 50mm f/2. Reflex e zoom - un 17-35mm f/2,8 - è invece la scelta quando posso far sentire la mia presenza senza troppi scrupoli e quando avere qualche "millimetro" in più o in meno, rapidamente e a portata di mano, può fare la differenza. Rimanendo nell'ambito della strada, è la combinazione che preferisco in occasione di manifestazioni dove alla discrezione e all'invisibilità di prima, si sostituisce una partecipazione più attiva, adeguata al clima della manifestazione stessa.

Citando il motto di Robert Capa - «se le tue foto non sono abbastanza buone, allora non sei abbastanza vicino» - ho sempre preferito avvicinarmi fisicamente e usare un grandangolo anziché avvicinarmi otticamente con un teleobiettivo. Il futuro osservatore dello scatto avvertirà una forza diversa se quel manifestante, mentre inveisce, è così vicino all'obiettivo da appannarne quasi la lente frontale. È anche attraverso scelte tecniche come questa che ci si indirizza verso un certo tipo di immagine e di risultato.


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© Alessandro Barteletti - Campionato Italiano Motocicliste, 2008

La fotografia non è un'attività a camere stagne, il modo di vedere una certa situazione tende inevitabilmente a modificare il proprio approccio anche in circostanze diverse. Diventa una fusione di generi, un intreccio di esperienze. Parlando di reportage in senso più ampio, ho sempre ritenuto interessante individuare storie e raccontarle in modo diverso rispetto a come la gente è abituata ad osservare un determinato contesto. Quando nel 2004 - anno della sua prima edizione - ho cominciato a seguire il Campionato Italiano Motocicliste, ho capito subito che dovevo concentrarmi sulla sua peculiarità. Non mi interessava il risultato sportivo, bensì la figura della donna ai box che si prende cura della sua femminilità, che tiene in braccio suo figlio e che pochi minuti dopo, in sella ad una moto da centocinquanta e più cavalli, sfida le sue colleghe tra sorpassi e staccate sul filo dei 300 km/h mentre mariti, compagni, figli e fidanzati seguono dal muretto dei box quelle fasi di gara così concitate. L'ambiente è pur sempre quello degli autodromi dove colore, teleobiettivi e panning la fanno da padrone. Ma io volevo uno stile più giornalistico, volevo raccontarne i retroscena dall'interno. Proprio per rimanere coerente con questa scelta, ho imposto al mio lavoro un certo linguaggio attraverso un taglio tecnico ben preciso: bianco e nero, focali fisse e corte - prevalentemente un 24mm - e di tanto in tanto il supporto di un flash. Ho vissuto tutte le fasi dei weekend di gara, dalla mattina alla sera, entrando in stretto contatto con la realtà dei singoli team, dei meccanici, delle pilote. E così, mentre qualcuno era già appostato con il suo 400mm dietro ai guardrails, oltre le vie di fuga, o sulla griglia di partenza in attesa dello schieramento, io rimanevo insieme alle protagoniste di quel circus per vivere, condividere e fotografare la preparazione, la vestizione, l'attesa, la tensione, la concentrazione, gli ultimi gesti di intimità e incoraggiamento. Ero diventato una comparsa invisibile. Come quando sono in strada.


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Campionato Italiano Motocicliste, 2008

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Campionato Italiano Motocicliste, 2006

Essendo un lavoro svolto nel corso di più anni, compresi quelli del mio passaggio dalla pellicola al digitale, è stata l'occasione per trasferire e adattare le tecniche di camera oscura a Photoshop. Il potente software di fotoritocco permette tutto, anche perdersi tra le sue infinite possibilità. Ma le ore passate con l'ingranditore, filtri e mascherature hanno contribuito a dare un ordine e una direzione ai passaggi digitali. Il file RAW è come un negativo. Pieno di informazioni ma da interpretare. Desaturandolo, agendo sulle curve, creando nuovi livelli da unire con vari metodi di fusione e dando un'impronta finale al tutto con la maschera di contrasto a valori invertiti (una piccola percentuale unita ad un raggio molto ampio, superiore a 80-100 pixel) ho ottenuto una resa più che soddisfacente.

Il contatto con la gente, la curiosità nei confronti delle loro storie, la volontà di mostrare la loro quotidianità, sono tutte abitudini ed esigenze nate in qualche modo dall'esperienza in strada e da cui non riesco più a prescindere. Anche nel ritratto ne sento ormai l'influenza. Ambientato innanzitutto. Sia che si tratti di immagini singole o di reportage costruiti attraverso gallerie di persone. Il progetto che ho dedicato ai militari italiani in partenza per l'Iraq è stato uno dei miei primi esperimenti in questa direzione. L'intento era quello di dare un volto a quei soldati che la gente, all'epoca, stava imparando a conoscere in maniera anonima attraverso le notizie delle missioni raccontate da giornali e telegiornali. Ogni immagine avrebbe mostrato una categoria e raccontato un'attività specifica associando la presenza di un suo rappresentante al contesto di quella determinata azione.


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© Alessandro Barteletti - Carlo Fiani, collezionista auto d'epoca inglesi, Roma 2008

Soprattutto in esterni, tendo ad illuminare il soggetto con una luce aggiuntiva. Per essere il più possibile mobile mi affido a piccoli flash a batteria, Nikon SB-28 prima e SB-800 adesso.
Fondamentale è collocare la fonte di luce in una posizione diversa da quella della macchina. In situazioni molto rapide basta anche l'aiuto di un assistente per sostenere il flash. Altrimenti - se le circostanze lo permettono - si può gestire il set in maniera autonoma con uno stativo ed eventualmente un diffusore per ammorbidire la luce. È una soluzione che trovo vincente. L'ho collaudata a fondo, sia con sistemi tutti manuali (anche medio formato Hasselblad) che in TTL con macchine compatibili. Nel primo caso la misurazione e la regolazione dell'esposizione, con particolare attenzione alla scelta del diaframma, è necessaria per bilanciare e fondere in maniera ottimale la potenza del lampo con la forza della luce ambiente. Nel secondo ci si affida ad un automatismo che sta diventando sempre più affidabile e che, con la compensazione EV, permette di dosare correttamente la forza della luce in base al risultato che si vuole ottenere. E se un tempo l'utilizzo  del dorso Polaroid - pur con i suoi costi e i tempi di attesa per lo sviluppo di ogni scatto - era un ottimo metodo di verifica, oggi il display di una digitale con preview e istogramma sono una soluzione davvero ottimale per avere senza tempi morti tutto sotto controllo.


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© Alessandro Barteletti - Eros Galbiati, attore, New York City 2008

Chi è
Alessandro Barteletti nasce a Roma nel 1981. Durante gli studi classici collabora con periodici di aviazione e scrive un libro - vincitore di premi editoriali di settore - sulla rocambolesca storia di un prototipo di caccia italiano della Seconda Guerra Mondiale. Pur non abbandonando la scrittura, presto scopre la fotografia come suo linguaggio di comunicazione principale e si dedica a reportage e ritrattistica, spesso fondendo i due generi in un modo unico di raccontare le sue storie. Dal 2003 pubblica su importanti giornali italiani e stranieri tra cui "Specchio", "La Repubblica", "Australian Women's Weekly", "Ling", "A", "Io Donna", "Ruoteclassiche" fino a "National Geographic Italia". Concentra l'attenzione sull'approfondimento e sui retroscena degli eventi sociali, sportivi e di cronaca degli ultimi anni, dall'intervento militare in Iraq nel 2004 alle recenti elezioni presidenziali negli USA. Nel corso del 2008, le sue immagini sono state esposte all'interno della mostra itinerante sui dieci anni dell'edizione italiana del National Geographic ospitata dal Palazzo delle Esposizioni a Roma e in diverse altre città.

www.alessandrobarteletti.com


© Alessandro Barteletti

© Alessandro Barteletti - Backstage Italian Soldiers, Aeroporto Militare di Pratica di Mare 2004
 

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