Steve McCurry a Genova

Viaggio intorno all'uomo

 

Steve McCurry - uno dei grandi nomi della fotografia contemporanea, punto di riferimento per un larghissimo pubblico, membro dell’agenzia Magnum, inviato di Time, Life, Newsweek, Geo, National Geographic - è ormai di casa in Italia. Il Palazzo Ducale di Genova ospita fino al 24 febbraio una nuova grande mostra fatta di oltre 200 foto, stampate in vari formati, un nuovo appuntamento (curato da Peter Bottazzi, che ha progettato le cinque “stanze” del percorso espositivo, e da Biba Giacchetti), che prosegue il percorso espositivo che Civita e SudEst57 hanno iniziato nel 2009 a Milano, per poi toccare Perugia e Roma, a cui hanno partecipato complessivamente più di 300 mila visitatori.

 


© Steve McCurry - Jodhpur, Rajasthan, India, 2005.


Un’antologia della produzione trentennale di McCurry, con numerose delle sue immagini più celebri, a partire dal ritratto della ragazza afghana dagli occhi verdi, e i lavori più recenti insieme ad alcuni inediti, come il progetto The last roll con le immagini scattate utilizzando l'ultimo rullino prodotto dalla Kodak, gli ultimi viaggi a Cuba, in Thailandia e in Birmania, con una serie di immagini dedicate al Buddhismo, una selezione delle fotografie scattate nei recenti e numerosi soggiorni italiani, da Venezia alla Sicilia, da Roma all’Aquila, le immagini realizzate di recente in Tanzania per il progetto di sostenibilità Lavazza ¡Tierra!.

 


© Steve McCurry - Figlio della tribù Hamer, Omo Valley, Etiopia, 2012|

 

McCurry ha fatto del viaggiare una sua dimensione di vita «perché già il solo viaggiare e approfondire la conoscenza di culture diverse, mi procura gioia e mi dà una carica inesauribile». «La maggior parte delle mie immagini», ha detto McCurry, «trovano radici nelle persone, e io sono sempre in cerca del momento inaspettato, l’essenza dell’anima che si affaccia per una frazione di secondo, le storie di vita incise sui volti. Voglio capire e mostrare cosa significhi essere quella persona, una persona colta in quel contesto universale che puoi definire la condizione umana». Il tempo è fondamentale: «ho imparato a essere paziente», spiega McCurry, «se aspetti abbastanza, le persone dimenticano la macchina fotografica e la loro anima comincia a librarsi verso di te».

 


© Steve McCurry - Pescatori, Weligama, costa Sud, Sri Lanka, 1995

 

Nella pubblicazione che accompagna la stagione espositiva italiana del fotografo - Steve McCurry / Icons (100 pp., 50 illustrazioni, euro 25, Edizione Sudest57/Steve McCurry Studio) - MCurry ha selezionato insieme alla curatrice Biba Giacchetti le sue immagini più belle, più famose o verso le quali nutre un sentimento particolare, legato al momento in cui le ha scattate. E, per la prima volta, racconta le sue icone una ad una nel corso di una lunga chiacchierata, svelandone spesso i retroscena. Lunghi appostamenti in cerca dell’inquadratura perfetta o incontri fortuiti che lasciano il segno nei suoi ritratti, a cominciare da Sharbat Gula, la ragazza divenuta icona del conflitto afghano sulle pagine del National Geographic, fino al nomade Kuchi, in testa al suo branco di cammelli, fermato per le strade di Srinagar in Kashmir, eletto protagonista della copertina del libro, simbolo di dignità e fierezza.

 

 

«Il mio viaggio con Steve inizia quindici anni fa, nella stagione dei monsoni ad Angkor Vat», racconta Biba Giacchetti, «in Cambogia un bambinetto lacero e sveglio mi vede sola che fotografo a Pra Tom, il tempio sovrastato dagli alberi che troverete in mostra e nelle pagine di Steve McCurry/Icons, e si offre di mostrarmi le inquadrature fatte da un fotografo famoso che ha passato lì tanto tempo. Il fotografo era Steve, che all’epoca non avevo mai incontrato, ma con cui avrei iniziato da lì a poco la straordinaria avventura umana che ha prodotto queste pagine. Con Steve abbiamo viaggiato davvero nel corso dei tanti progetti realizzati insieme, ma abbiamo soprattutto sperimentato, con coraggio, forme diverse di presentare il suo immenso lavoro».

 


© Steve McCurry - Le Torri Gemelle, World Trade Center, la mattina dell'11 Settembre, 2001, New York, USA

 

Mostre inconsuete, teatrali, vere installazioni. A Genova il “viaggio intorno all’uomo” di McCurry si apre con la scoperta: tra i veli, quinte di una galleria di ritratti, ogni visitatore cerca il suo percorso nel gioco di rimandi che lega uomini e donne provenienti dai luoghi più disparati della Terra. Ci si avventura poi nella vertigine della guerra, del dolore e della paura che McCurry ha documentato. Nella sala successiva si apre un mondo di poesia, dove l’uomo si avvicina alla natura e ritrova la gioia di vivere. La sorpresa e lo stupore caratterizzano il quarto spazio, dove si incontrano le immagini più curiose e inattese. In un’ultima sala è la volta della memoria, con la proiezione di un video che racconta la ricerca della ragazza, divenuta icona del conflitto afghano sulle pagine del National Geographic, venti anni dopo l’incontro da cui è nata una delle immagini più famose di tutta la fotografia mondiale. Quando Steve McCurry fu finalmente in grado di ritrovare Sharbat Gula dopo, disse di lei: «era cambiata; c’erano rughe, ma lei ti colpiva con la stessa intensità di anni prima».

 

© Steve McCurry
Sharbat Gula, ragazza afghana al campo profughi
di Nasir Bagh vicino a Peshawar, Pakistan, 1984
© Steve McCurry
Sharbat Gula, Peshawar, Pakistan, 2002

 

A Roma, per la tappa precedente della serie di mostre di McCurry (di cui pubblichiamo alcune coppie di immagini esposte), si era realizzato all'interno dei grandi spazi del Museo d'Arte Contemporanea, negli spazi espositivi della Pelanda a Testaccio, «un allestimento come un villaggio nomade, strutture che si compenetrano per restituire quel senso di solidarietà che si respira nelle foto di McCurry», secondo il pensiero del curatore Fabio Novembre. «Quando Benoit Mandelbrot, il padre della geometria dei frattali, descriveva la sua esperienza di ricercatore, era solito definirla: "nomadi per scelta, pionieri per necessità”. Così, quando penso a Steve McCurry», argomenta Novembre, «tendo ad applicare lo stesso aforisma alla sua vita da instancabile ricercatore della natura umana. I frattali di Mandelbrot sono la realtà nascosta dietro quel principio di ordine euclideo che abbiamo sempre associato alla natura. I soggetti delle foto di McCurry sono la realtà nascosta dietro quella comunicazione patinata che pensa di rappresentare l'umanità.

 


© Steve McCurry - Dal calzolaio, Mumbai (Bombay), India, 1996.


E così come Mandelbrot ha fornito i primi strumenti matematici per affrontare il caos, McCurry ci fornisce testimonianze visive per confrontarci con la diversità. Steve ha tutte le caratteristiche del ricercatore puro: dalla pazienza che ci vuole per portare a termine un esperimento (o per scattare una foto), all'inquietudine che lo spinge sempre verso una nuova frontiera da varcare. La sua vita assomiglia a un lungo viaggio in cui la residenza newyorkese su 5th Avenue è più un deposito bagagli che un rifugio per ritemprarsi, perché, senza alcuna retorica: la sua casa è ovunque. Mentre la nostra idea di casa assomiglia sempre più ad arroganti dichiarazioni di potere ben salde sulla terra che occupiamo, a manifesti di felicità individuale che non contemplano alcuna ricaduta collettiva, le case nelle sue foto sono precarie, come le vite di chi le abita, simili a strutture cellulari labili».

 

© Steve McCurry
Giovane monaco, Myanmar (Burma), 2010.
© Steve McCurry
Donna Kara nella Valle dell'Omo, Etiopia, 2012.

 

 

Chi è

Steve McCurry è stato insignito dei massimi premi nel campo della fotografia e del fotogiornalismo. Maestro del colore, nella migliore tradizione documentaria, membro di Magnum Photos dal 1986, McCurry - nato a Philadelphia - si laurea con lode in Arti e Architettura alla Pennsylvania State University. Lavora due anni in un giornale prima di intraprendere un viaggio verso l’India come freelance. È in India che McCurry impara a guardare e aspettare la vita. La sua carriera viene lanciata quando, travestito in abiti locali, attraversa il confine pakistano, ed entra nel territorio afghano controllato dai ribelli, appena prima dell’invasione russa. Ne esce con i rullini cuciti dentro i vestiti, e consegna al mondo immagini uniche, in assoluto i primi scatti documentativi di quel lontano conflitto. Il suo reportage vince il Robert Capa Gold Medal, premio riservato ai fotografi che dimostrano il coraggio più estremo e la più grande intraprendenza. McCurry ha ricevuto molti premi tra cui il Magazine Photographer of the Year dalla National Press Photographers’ Association. Nello stesso anno ottiene quattro titoli World Press Photo. Ha inoltre vinto due volte l’Olivier Rebbot Memorial Award.



© Steve McCurry - Auschwitz, Polonia, 2005.


Steve McCurry ha documentato molti conflitti e guerre di portata internazionale in varie parti del mondo tra cui Birmania, Sri Lanka, Beirut, Cambogia, Filippine, la guerra del Golfo, l’ex Yugoslavia, e ha eseguito reportage ininterrottamente in Afghanistan e Tibet. Il suo obiettivo è quello di mettere in luce le conseguenze umane delle guerre, mostrandone le ferite impresse non solo sul territorio ma soprattutto sui volti delle persone. Steve McCurry pubblica le sue immagini nelle più importanti riviste del mondo e spesso firma copertine per il National Geographic sul quale ha recentemente pubblicato articoli sul Tibet, Afghanistan, Iraq, Yemen, e sui templi di Angkor Wat e Cambogia.

www.stevemccurry.com

 


© Steve McCurry - Bandiere di preghiera, Tibet, 2005.

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