Teoria e pratica della fotografia con foro stenopeico su pellicola e in digitale

 

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Ingrandisci l'immagineIntroduzione

È piuttosto difficile condensare in poche righe un concetto fotografico come il pinhole.
Proviamoci innanzitutto col dire che da oltre centocinquant'anni i laboratori di ricerca delle aziende fotografiche hanno sempre lavorato a strumenti atti al miglioramento della qualità dell'immagine fotografica.
Significa che le aziende produttrici di pellicole hanno incessantemente lavorato per ottenere una pellicola con la grana sempre più fine e la miglior risoluzione.
Significa che le aziende produttrici di ottiche hanno a loro volta lavorato allo studio e alla fabbricazione di ottiche con la miglior risoluzione, e non solo possibile.
Significa che, da qualche anno, le aziende produttrici di fotocamere hanno lavorato alla realizzazione di sensori con la miglior risoluzione possibile.
Quindi da quasi due secoli tutta l'industria fotografica ha lavorato con il comune obiettivo di migliorare la capacità di riproduzione del reale nelle immagini e nelle fotografie.


Se da un lato la sfida è anche stata puramente accademica e scientifica, se ha coinvolto anche e in assoluto il progresso dell'umanità, dall'altro è evidente che i fotografi innanzitutto hanno sempre preteso – e continuano a pretendere – fotocamere e sistemi di registrazione delle immagini di qualità assoluta.
Quasi nessun fotografo è mai entrato in un negozio di materiale fotografico chiedendo una fotocamera e/o una pellicola che assicurasse dei risultati piuttosto scadenti.
Immaginate una persona che entra da un concessionario di auto e chiede una macchina scadente, che sbandi un po', freni poco, consumi molto e sia resistente il meno possibile alla ruggine...
Ma una macchina fotografica anche se è un prodotto industriale non ha sempre delle similitudini con altri prodotti industriali, dai quali si pretende, per il fine per cui sono state fabbricate, sempre e solo il massimo della qualità.
E il motivo è semplice: la fotografia è un insieme di specializzazioni, e di fini: un satellite deve fotografare con la massima risoluzione possibile; nella fotografia scientifica come in quella medicale ancora una volta una foto tecnicamente perfetta e con il massimo dei dettagli non è mai un contro.
Anche in altri generi fotografici, come la caccia fotografica o la fotografia sportiva, un dettaglio eccellente non è mai preso come un difetto, al contrario.
Già nella fotografia ritrattistica, invece, non sempre si è pretesa la massima risoluzione: già alla fine dell'ottocento erano stati progettati obiettivi soft in grado di restituire il dettaglio ma modulando la nitidezza finale sull'immagine, usando diversi artifizi meccanici o ottici.
Ma la fotografia non è solo "riproduzione della realtà oggettiva"; la fotografia può anche essere riproduzione della realtà soggettiva, e non va dimenticato che la fotografia è una "emanazione" della pittura che dagli albori dell'uomo è sempre stata una riproduzione di norma soggettiva di quanto vede l'autore.

Nel corso dei millenni e di recente lungo la storia della fotografia, si sono alternate situazioni in cui la riproduzione della realtà poteva essere reinterpretata o in modo consapevole o a causa dell'approssimazione dello strumento utilizzato.

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Per rifocalizzarci sulla fotografia, i primi tentativi fotografici dell'ottocento restituivano visioni incerte e approssimative della realtà non generate da una consapevole volontà dell'autore, ma appunto dall'approssimazione degli strumenti e dei medium fino ad allora scoperti e messi a punto.
Infine c'è ancora un genere fotografico, che qui definiamo in modo vago come "ricerca" dove non sempre il fine dell'autore è quello di fotografare la realtà con il massimo dettaglio possibile.
Ecco allora la necessità di uno strumento e/o di un medium e/o di un approccio di ripresa di qualità volutamente non eccellente, a cui non chiedere il massimo del dettaglio e della risoluzione, ma la restituzione spesso approssimativa della scena, dove la realtà è riprodotta ma in modo più o meno accennato, lasciando così all'occhio di chi guarda la possibilità di completare il "rebus", generando nel contempo e in questo modo una emozionalità che difficilmente una fotografia satellitare ci può restituire – fatta salva l'emozionalità data dalla valenza scientifica del metodo -.
Se quindi agli albori della fotografia l'approssimazione con cui veniva restituita la realtà era dovuta alla strumentazione primitiva, in seguito l'approssimazione e l'interpretazione della realtà sono diventati fatti consapevoli, in cui l'autore usando a bella posta strumenti approssimativi, o usando in modo approssimativo strumenti perfetti riusciva a restituire una visione della realtà personale e più o meno lontana dall'oggettività.
Ecco allora, per cominciare, gli approcci di ripresa fuori dal coro, come un certo tipo di mosso, piuttosto che di volontarie sovra o sottoesposizioni, dove è l'atto volutamente non accademico dello scatto che toglie qualità tecnica al risultato.
Ecco il medium di qualità non eccellente, come la pellicola scaduta, o forzata in sviluppo, o ancora, parlando di molte compiante emulsioni di Polaroid, la manipolazione fisica dell'emulsione durante lo sviluppo.

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E ancora ecco la fotocamera di mediocre qualità, dalle toycam alle fotocamera cinesi di bassissimo costo e conseguente bassissima qualità nel risultato tecnico finale.
E ancora ecco le ottiche a fuoco morbido, o defocus control “DC” come le attuali a listino Nikon AF DC-Nikkor 105mm f/2D e AF DC-Nikkor 135mm f/2D, o ancora le ottiche di qualità scadente, usate su macchine scadenti e non.
E ancora ecco il medium scadente/scaduto unito alla fotocamera scadente e all'approccio di ripresa sapientemente fuori dagli schemi, tre variabili che si vanno così a sommare generando immagini dove una buona parte del risultato è lasciato anche e volutamente al caso, anche se comunque guidato dall'autore.
E ancora e per finire ecco il sistema di stampa su medium ancora una volta sapientemente mal manipolati, o ancora una volta scadenti o scaduti o i medium non convenzionali riattati a medium argentici.

Oggi si può ancora parlare di pellicole scadenti/scadute inserite in fotocamere scadenti, domani non lo sappiamo: il mercato mondiale della pellicola fotografica si riduce ogni anno di più.
Nessuna persona ci ha fatto o ci fa una malattia quando avendo necessità di fototessere se le vede stampate con sistemi a sublimazione o ancora più futuristici, e comunque non col classico metodo Polaroid.
Nel mondo della ricerca fotografica la recente dismissione di molte pellicole e negative Polaroid ha letteralmente bloccato irreversibilmente la ricerca creativa di molti autori letteralmente Polaroid-dipendenti.
Provate a immaginare se una mattina nei negozi di belle arti non fossero più disponibili i colori ad olio, o gli acrilici; certo, qualche pittore passerebbe ad altri medium, ma la maggior parte si ritroverebbero con il pennello asciutto davanti a una tela bianca.
Oggi si parla invece di digitale: difficile trovare in giro sensori scadenti, tutt'al più sensori da relativamente pochi megapixel, ma difficilmente scadenti.

Col digitale nasce infatti una postproduzione, fatta di fotoritocco ed elaborazioni al limite della grafica che partendo da un'immagine di ahinoi ottima qualità cerca di eliminare la qualità superflua per arrivare a una seconda essenza dell'immagine stessa.
Sempre col digitale valgono invece ancora le regole degli approcci di ripresa volutamente fuori dagli schemi.
Ancora col digitale vale la regola di impiegare ottiche di qualità scadente, addirittura ottiche giocattolo, prodotti però non sempre facili da reperire in commercio.

C'è poi il problema, comune anche a un certo tipo di ripresa fotografica fatta su pellicola, di poter contare comunque su uno strumento che dia risultati, oltre che di qualità tecnicamente mediocre, anche ripetibili.
Ed eco il sistema, o strumento, per altro rinato alla fine dell'ottocento, il foro stenopeico, che permette di ottenere una ricerca fotografica con un risultato qualitativamente indeterminato e ripetibile, e che grazie ai plus noti a tutti del digitale, può rinascere a nuova e migliorata vita proprio grazie al digitale.
Il primo grande vantaggio del pinhole è che è possibile fabbricarselo e facilmente da sé, o contare su pinhole più o meno ricercati fabbricati con grande perizia da diversi artigiani.
Ma vedremo tra poco come la perizia costruttiva, in questo campo non è essenziale. Al contrario.
Ma da dove parte il pinhole?


La scoperta del foro stenopeico

Le prime interrogazioni sul concetto di camera obscura se le pone addirittura Aristotele, nel quarto secolo a.c. La camera obscura altro non è se non un locale buio con un “pertugio” praticato in una delle pareti, attraverso il quale l'immagine della realtà si rivela, con una certa nitidezza, andando a proiettarsi capovolta sulla parete opposta del locale oscurato. Facendo un balzo avanti fino ad arrivare all'anno mille troviamo il fisico e matematico Alhazen a sua volta impegnato nell'obscuro quesito; mezzo millennio più tardi Leonardo Da Vinci descrive la formazione dell'immagine attraverso il foro stenopeico nel Codice Atlantico.
Il resto è storia, e diventa fotografia quando nel "foro" trova posto un obiettivo e sulla parete opposta prima un opalino su cui i pittori cominceranno a ricalcare manualmente su un foglio la realtà, poi un sistema sensibile alla luce in grado di memorizzare automaticamente e in un unico momento – di diversa durata – la proiezione della realtà che lo colpisce.
Il foro stenopeico è ancora materia di insegnamento a vari livelli scolastici per spiegare dal vivo il funzionamento della macchina fotografica. Quando il foro stenopeico è stato abbandonato come necessità grazie al progresso, a vari stadi e in varie epoche storiche è comunque tornato a farsi vivo come sistema fotografico "primordiale" in grado di riprodurre ricerche e percorsi artistici da parte di vari autori.

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La camera obscura non ha un sistema di messa a fuoco: la "nitidezza" su tutte le distanze si basa proprio sulle dimensioni microscopiche del foro stenopeico, dimensioni che oscillano su corrispondenti diaframmi tra f/45 e f/360.
Questi diaframmi molto chiusi, uniti spesso a medium di bassa sensibilità, portano ad esposizioni piuttosto lunghe anche in giornate di sole. Rigorosamente su treppiedi, solo gli edifici e i basamenti della vegetazione secolare rimangono fermi e assolutamente riconoscibili, fotografati; il resto, dalle vegetazione più leggera e decidua alle persone che si muovono, che corrono, che si spostano, sostano e si spostano, nuovamente vanno a confondersi, fino a non risultare in nessun modo nell'immagine finale. Le persone che sostano, si muovono e nuovamente sostano risulteranno duplicate in multipli di loro sé stessi più o meno riconoscibili, a seconda del tempo di sosta e dalla luce ambiente; questo però nulla toglie al ritrarre l'elemento umano con il foro stenopeico, quando di vero ritratto obbligatoriamente posato si tratta, dove alla fine, comunque, a seconda della capacità del soggetto di stare fermo e di conseguenza anche al tempo di posa necessario, qualcosa dell'identità del soggetto va ad annullarsi, per rimanere fissata l'essenza stessa del volto, le proporzioni, la quantità di capelli, il taglio della bocca, molto difficilmente l'espressione dello sguardo, che è la vera anima di una persona.
Una ricerca fotografica, quella stenopeica, ancora attuale, estremamente interessante e difficilmente contenibile sotto precisi schemi tecnici, da qui la forza espressiva del mezzo – fotografico – nient'affatto usato al meglio delle sue potenzialità tecniche attuali.

Già alla fine dell'ottocento, comunque il movimento pittorico impressionista influenza la neonata fotografia spingendo alcuni autori ad abbandonare lo sharpness dei primi neonati obiettivi fotografici per cimentarsi con la fotografia stenopeica, ricercando nella fotografia l'atmosfera propria dei pittori impressionisti.
Nato insieme alla camera obscura da un'idea di Leonardo da Vinci, il primo foro stenopeico, oltre 500 anni fa, era impiegato dai pittori per eseguire velocemente l'abbozzo del quadro, ricalcando l'immagine proiettata dal foro stenopeico all'interno della camera obscura.
Già prima della nascita della fotografia chimica tutti gli sforzi si sono tesi a migliorare il foro stenopeico per aumentare la qualità dell'immagine proiettata e il conseguente ricalco pittorico.
Nel film “La ragazza con l'orecchino di perla” ambientato in Olanda alla fine del 600, il pittore Jan Vermeer mostra a una giovane serva – che diventerà poi il soggetto di uno dei suoi quadri più famosi – il funzionamento di una camera obscura, sottolineando il fatto che la sua era dotata di un obiettivo per migliorare la definizione dell'immagine.

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Dato per assodato che la ricerca ottica ha portato già da tempo ad obiettivi con una risoluzione in linee per millimetro fantascientifica rispetto a quella di un primitivo foro stenopeico, il pinhole è tornato alla ribalta in fotografia come primitivo e volutamente scadente sistema di acquisizione delle immagini, molto apprezzato da fotografi e professionisti costantemente tesi nella ricerca di uno strumento fotografico tecnologicamente meno invadente e preciso, per lasciare alla creatività la possibilità di esprimere in una fotografia una visione umana della realtà, e non quella del perfetto occhio di un sempre più perfetto androide ciclopico qual è la macchina fotografica.

Nel sistema reflex full frame 35mm FX la minima focale ottenibile applicando un foro stenopeico alla baionetta di innesto ottiche è di norma intorno ai 50mm, che corrisponde, micron più micron meno, alla distanza tra il foro stenopeico e la pellicola, o il sensore.
Nel sistema reflex digitale in formato DX, esattamente come per le ottiche, la focale innestata diventa “apparente” e va moltiplicata per 1,5, portando l'inquadratura reale alla focale superiore, in questo caso 75mm, una focale buona per il ritratto – che non è però di norma il soggetto ideale per il pinhole – meno buona per la fotografia di paesaggio o di architettura.
Ci sono decine di sistemi per costruirsi un pinhole: i sacri testi raccomandano di procurarsi una sottile lastrina di metallo, un ritaglio di una lattina di alluminio, per esempio, di bulinarlo con la punta di una biro, di limare la parte concava ottenuta e di forarla poi con uno spillo. Il foro deve essere il più circolare possibile, ma soprattutto completamente privo di sbavature di lavorazione e deve avere un preciso diametro che si calcola in base alla focale. Un diametro superiore porta a immagini sfuocate perché troppo poco rettificate dal diametro del foro stesso, un diametro inferiore porta a immagini confuse perché il foro troppo piccolo ha creato una diffrazione eccessiva nell'immagine ottenuta.
Esistono naturalmente decine di modelli di pinhole acquistabili soprattutto per corrispondenza, di solito attraverso siti americani.
 

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