Corso di fotografia e cultura dell'immagine

A cura di: Insegnanti dell'Istituto Bodoni-Paravia di Torino

I.I.S. Bodoni - Paravia

L'Influenza del tempo di posa nel ritratto

Sergio Mellina


L'intensità dello sguardo che possiamo constatare nei ritratti realizzati all'inizio dello scorso secolo colpisce per la profonda interpellazione che quella osservazione insistita propone a chi guarda. Una fissità che si accompagna ad una profondità dello sguardo oggi non comune. Nel constatare le condizioni di lavoro di quei primi fotografi, possiamo facilmente inferire variabili di tipo ambientale e sociologico. Fare una fotografia, un ritratto, invece d'esser la banale conseguenza della pressione di un dito su un oggetto tecnologico, ad esempio un telefono, era la cosciente consegna alla posterità della propria apparenza e sostanza culturale.


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Come già per la pittura, proprio nel ritratto fotografico, scopriamo la scelta della società intellettuale, poi anche quella piccolo borghese, di mettersi in scena definendo essi stessi come esser ricordati.


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In effetti, le attrezzature e i materiali sensibili, non permettevano certo la realizzazione di istantanee – almeno fino alla diffusione del progetto realizzato da Oskar Barnack. All'epoca, prima condizione per realizzare una fotografia era fermare il soggetto, oltre che con la sua collaborazione, attraverso una serie di sostegni che permettevano di mantenerlo sufficientemente immobile per i minuti necessari all'esposizione della lastra.


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L'atto della macchina fotografica di bloccare il soggetto, per sempre, era propiziato e reso cosciente dalla pratica materiale realizzata nello studio verso i soggetti fotografati.
In effetti, l'immobilità, quale caratteristica topica della fotografia, rinvia, per altro, alle radici profonde dell'azione fotografica: fermare il tempo1.
Ontologico, dunque, inferire che il tempo di posa influisce direttamente nei risultati fotografici, specialmente, in quelli che simulano soggetti viventi.


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A questo proposito, nel ritratto, possiamo classificare diverse scuole; tutte hanno realizzato ottimi risultati. Per sintetizzare, un ritratto si può realizzare in luce naturale, oppure, artificiale, la quale può essere continua o flash2. Sarà, quindi, scelta del fotografo, in base al soggetto, alle necessità della comunicazione da realizzare, del contesto ambientale, attrezzature, etc., scegliere quale tecnica, ovvero, quale filosofia, adottare. Oggi, molto spesso, alcuni stilemi sono direttamente influenzati dagli automatismi, dalle comodità funzionali utili ad ottenere un'immagine rapidamente. Quindi, il flash è diventato uno strumento necessario in ogni contesto poco luminoso, sempre comunque in grado di standardizzare la condizione ambientale per temperatura di colore e illuminazione della scena.

Avedon, pioniere dell'uso dei primi flash elettronici, aveva accolto i primi lampeggiatori quali strumenti per uscire dallo studio e portare le modelle nella realtà quotidiana. In questa scelta possiamo ritrovare con coerenza tutte le radici dei suoi studi filosofici universitari. Non altrettanto scelgono, forse, i moltissimi che, da quanto possiamo osservare nei ritratti realizzati con il flash quasi in asse con l'obiettivo, (nella migliore delle ipotesi con la funzione anti occhi rossi inserita, oppure, con la parabola rivolta altrimenti che non frontalmente), interpretano l'uso della luce flash come un obbligo tecnico dettato soltanto dalle circostanze luminose. Ecco, proprio in questi casi, l'effetto di appiattimento, oltre ad essere amplificato quando uno sfondo si trova vicino al soggetto, (l'ombra che si produce costruisce una sagoma bidimensionale piatta che segue i contorni del soggetto), non è solo il prodotto della scelta della luce. L'istantanea, che nel caso del flash elettronico di piccola potenza significa un'esposizione tra 1/8000 e 1/12000 di s., nel bloccare il tempo, coglie frammenti non necessariamente percepibili all'occhio umano.


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Questo fattore, di per se interessante quando si pone in termini di voluta ricerca, lascia l'apprezzamento del risultato ad un momento successivo al tempo dello scatto, ovvero, quando avviene la constatazione dell'effetto prodotto3. Ne consegue che, con il flash, il controllo sostanziale dello sguardo fotografato può avvenire in funzione dell'esperienza maturata in questa particolare tecnica4, abilità che non è affatto difficile coltivare a maggior ragione con la fotografia digitale.

Altra cosa è il ritratto in luce naturale, e nello specifico, quello realizzato con un tempo di posa lungo.

Innanzi tutto, è esiziale scegliere quali soggetti possono essere adatti a questo tipo di ritratto. I soggetti poco collaborativi sono, ovviamente, da escludere. Quindi, si pone il problema della temperatura di colore. La scelta di utilizzare le fotocamere in posizione auto w.b., per quanto la tecnologia abbia fatto notevoli progressi, non è sempre felice. Procedere ad un puntuale bilanciamento del bianco manuale, comunque, è ragione di migliori risultati5. Inoltre, le esposizioni superiori ad un secondo propongono tutte le problematicità dei sensori collegate alla latitudine di posa. In questi casi, le differenze tra i vari tipi di sensori diventano particolarmente significative e valorizzano in modo pieno le migliori fotocamere presenti sul mercato6.
Infine, gli obiettivi: nel ritratto con tempo di posa lungo, l'inevitabile micro mosso, produce un effetto molto simile alle costosissime focali a fuoco morbido. I contorni dei visi, con soggetti mediamente collaborativi, con pose intorno ai dieci secondi, pur restando perfettamente distinti, sfumano il necessario utile a ridurre le imperfezioni della pelle. I flash, invece, come noto, essendo in origine luci concentrate, esaltano, salvo opportune schiarite, ogni dettaglio della pelle. In effetti, rifacendosi alla ritrattistica dell'inizio dello scorso secolo, le ottiche non avevano certo caratteristiche lontanamente paragonabili ai nostri obiettivi. Questo progresso tecnologico, favorevole sotto moltissimi punti di vista, ha portato la fotografia in una sorta d'iper realtà, in casi estremi, con formati delle pellicole, in qualche caso Polaroid, di così grande formato, tali da rendere apprezzabili dettagli altrimenti non percepibili. Come già detto, quando questo è  il portato di una scelta, possibilmente culturalmente supportata, troviamo ottime ragioni per apprezzare la creatività tecnica congiunta allo stile del fotografo. Invece, quando il dettaglio è conseguenza automatica incontrollata, vale la pena soffermarsi per valutare quanto di questo dettaglio è necessario, utile, oppure, dannoso. Talvolta, la ricerca dei segni del tempo sul viso restituisce la personalità del soggetto fotografato. Il punto non è cancellare i segni del tempo attraverso le lunghe esposizioni. Ma è proprio a partire da questi tempi di posa che lo sguardo cambia profondamente, introducendo una introspezione lontanissima dalla dimensione consumistica dell'immagine. Anche i soggetti apparentemente più lontani dimostrano, sorprendendo talvolta anche se stessi, densità dello sguardo difficilmente raggiungibili altrimenti.


COME PROCEDERE PRATICAMENTE:
In una prima fase, per apprezzare un risultato di massima, si può procedere, macchina sul cavalletto con impostazione priorità diaframmi al valore tutto chiuso, soggetto ad una distanza di tre, quattro metri, focale 80mm,  mantenendo il white balance automatico, con sensibilità 100 iso, fuoco in manuale, in un ambiente illuminato con luce attenuata.
Consiglio i primi scatti con tempi di posa compresi tra uno e cinque secondi – mediamente sostenibili da qualunque soggetto adulto appoggiato da qualche parte, senza particolari ausili.
Poi, se la ricerca proposta è sufficientemente stimolante, fermo restando che la macchina deve trovarsi sul cavalletto, con sensibilità 100 iso, fare il w.b., utilizzare la gestione dell’esposizione in manuale. Montare un filtro grigio neutro per poter scattare in qualunque condizione luminosa scegliendo il diaframma solo in funzione della profondità di campo desiderata. Provate le pose superiori ai trenta secondi fino a raggiungere il limite del vostro soggetto. Per altro, sottolineo che il micro mosso non è facilmente apprezzabile dallo schermo delle fotocamere per questioni di definizione dell'ingrandimento proposto. Una migliore valutazione si può fare solo in fase di analisi in post produzione, praticando una visione di dimensioni adeguate alla stampa. Per le pose di soggetti inanimati, ispirati al fotografo del film di Coppola Road to Perdition è necessario ricreare le condizioni dei fotografi dell'inizio del secolo scorso, cioè utilizzare sostegni, o pose comode a distanze adeguate.

 

1: Uccidere, to shot, http://en.wikipedia.org/wiki/Shot è uno dei verbi, ad esempio,  anche utilizzati nelle lingue anglosassoni e affini, per indicare la ripresa; questo il senso per altro, della variazione di stato che pratica la fotografia nel trasformare quanto è animato in figurazione inerte. 

2: http://en.wikipedia.org/wiki/Flash_(photography)

     http://en.wikipedia.org/wiki/Category:Photographic_lighting

3: Un esempio, tipico, di questa situazione si può osservare durante le fotografie di matrimonio. L'operatore, dopo aver scattato un ritratto, si precipita sul visore per controllare che il flash non abbia fatto chiudere gli occhi ai soggetti dell'immagine.

4: Quando i matrimoni venivano realizzati con Hasselblad, a pellicola, poiché durante lo scatto, comunque, il ribaltamento dello specchio non permetteva di guardare attraverso l'obiettivo, il fotografo guardava direttamente la scena proprio per cogliere chi, durante il flash, avesse chiuso gli occhi o  si fosse scomposto.

5: Per altro, il bilanciamento manuale in tutte le situazioni possibili è un'intelligente abitudine da mutuare dai video operatori.
Per esempio: http://it.wikipedia.org/wiki/Controllo_camere

6: Quindi, è un ottimo sistema per testare la qualità dei sensori delle macchine fotografiche

 

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